martedì 2 agosto 2022

Abbiamo bisogno di viaggiare



Articolo da La chiave di Sophia

Estate 2022: la prima estate in cui si potrà tornare a viaggiare senza lockdown, mascherine e green pass, “come nell’epoca pre-covid”, ossia in libertà. Ebbene sì, perché viaggiare implica e tende alla libertà: si viaggia a condizione di essere liberi e parallelamente si viaggia alla ricerca della libertà. 

Scrive Walt Whitman in Song of the open road: «Afoot and light-hearted I take to the open road,/ Healthy, free, the world before me,/ The long brown path before me leading wherever I choose»1. Una canzone, questa della seconda edizione di Leaves of grass (1856), che è un inno alla libertà e alla leggerezza calviniana; un invito a intraprendere un percorso di quête – quasi da eroe fiabesco o da protagonista di un Bildungsroman2 – e un’esortazione, scandita dal refrain «allons!», a scegliere e ad affermare se stessi. «Allons! from all formules!»: il viaggio, sia inteso in senso metaforico, come esplorazione interiore e conseguente vagabondaggio spensierato e positivo nella strada aperta della vita, sia inteso in senso letterale, richiede “libertà da” e “libertà per”, libertà da ogni regola, da ogni formula, da ogni convenzione, da ogni pregiudizio e libertà per rischiare, per uscire dalla propria comfort zone, per sospendere la propria routine, per salpare da uno «sheltered port» e andare dove si vuole, padroni assoluti di sé, andare «where winds blow, waves dash, and the Yankee clipper speeds by under full sail» (W. Whitman, Song of the open road). 

Nelle fondamenta della cultura occidentale vi è Odisseo, non solo emblema dell’uomo multiforme capace di astuzia pratica ma anche del viaggiatore per eccellenza bramoso di ritornare a Itaca, simbolo di quel “porto riparato” con acque calme, del focolare domestico, della patria e degli affetti, ma al tempo stesso stimolo di sfida e di ricerca continua. Non a caso, in un altro libro miliare per l’Occidente, la Divina Commedia, Dante, colloca Odisseo con l’amico Diomede nell’ottava bolgia tra i consiglieri fraudolenti soprattutto per aver convinto i suoi compagni a intraprendere quel «folle volo», cioè varcare le colonne d’Ercole, che gli sarà fatale. Tuttavia il Poeta non può non ammirare la grandezza titanica dell’eroe omerico, che, ignaro della Grazia del dio cristiano, ha osato fare oltraggio agli dei, cercando di superare i limiti imposti agli uomini e macchiandosi così del peccato pagano di hybris (tracotanza). Lo ha fatto, però, perché mosso dal desiderio di conoscere, che è proprio dell’essere umano: «considerate la vostra semenza/ fatti non foste a vivere come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza» (Dante, Inf.. XXVI, vv.118-120). 

Odisseo, nuovo Prometeo, diventa simbolo di sfida agli dei, di slancio verso l’ignoto e della profonda dignità della condizione umana, che, ad esempio, la logica dello sterminio nazista, riducendo gli uomini solo ad un numero di matricola, cerca in tutti i modi di annullare, come racconta tra le pagine di Se questo è un uomo Primo Levi, per il quale, in una visione laica del mondo, ricordare il canto di Ulisse tra gli abissi di Auschwitz, che mira a ridurre gli uomini allo stato animale, è un modo per ritrovare la propria dignità, sommersa tra gli orrori del lager. 

Un viaggio orizzontale, geografico, quello di Ulisse cui Dante contrappone un altro viaggio, il proprio, un viaggio verticale, ultraterreno, come l’itinerario della Commedia, teso verso il vertice ultimo, Dio. 

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Fonte: 
La chiave di Sophia

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Articolo tratto interamente da La chiave di Sophia


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