Articolo da L’Undici
Quest’anno ricorre l’anniversario della nascita di tanti protagonisti
del cinema, di tanti personaggi e film che hanno cambiato la storia
della settima arte, tra questi il
18 Novembre 1928 debuttava
Topolino, come fumetto e al cinema, nel
1988 un altro personaggio, che sarebbe diventato cult con il tempo, raggiungeva la notorietà, il coniglio
Roger Rabbit, per la regia di
Robert Zemeckis.
Eppure se pensiamo agli esordi del cinema pensiamo sempre ai
fratelli Lumière, al bistrattato
George Méliès
che tanti sogni ci ha regalato e che è stato rivalutato solo nel corso
degli anni, ma c’è una figura che davvero in pochissimi conoscono ed è
una donna,
Alice Guy.
La prima vera donna regista di cui non si parla mai e della quale si è
iniziato a scoprire qualcosa solo dopo l’uscita della sua biografia.
Cerchiamo di andare con ordine e di ripercorrere tutta la sua vita:
dall’originalità delle sue idee, dalla sua innovazione nei temi proposti
fino alla scomparsa totale anche dai titoli di coda dei film che aveva
scritto lei stessa.
L’adorabile donna è vissuta fino a novantaquattro anni, ma non è
riuscita a vedere pubblicata neanche la sua autobiografia mentre era
ancora in vita. E molti critici hanno cominciato ad apprezzare il suo
lavoro solo negli ultimi tempi.
Alcuni registi importanti oggi ne parlano ricordandola con immensa stima.
Ma cominciamo dall’inizio come si fa con qualsiasi buona storia che si rispetti.
Alice Guy, nata nel 1873, appartiene ad una famiglia di
librai con diversi punti vendita in tutto il Sudamerica, cresce con
un’ottima istruzione, circondata da autori noti, e leggendo quanti più
testi avesse a sua disposizione.
La sua situazione finanziaria cambia quando il padre muore e lei si mette a lavorare per dare sostentamento a sé e a sua madre.
Inizia come segretaria di
Monsieur Léon Gaumont, un imprenditore francese nel campo della fotografia. La sera del
28 Dicembre 1895 sono insieme alla prima rappresentazione a Parigi del
‘cinematografo’ presso il
Salon indien del Grand Café al boulevard des Capucines.
Tutti rimangono estasiati da quello che vedono girare sull’immenso
schermo, ma la giovane, all’uscita dalla sala, ha un’illuminazione e
propone a
Gaumont di utilizzare quella strana macchina per riprodurre loro stessi delle scene in sequenza.
La ragazza ritiene che la gente prima o poi si sarebbe stancata delle
riproduzioni di eventi dal vivo di situazioni già conosciute, come
poteva essere l’arrivo di un treno in stazione, il volo di una
mongolfiera, lo scorrere di un fiume.
Propone lei stessa di scrivere dei soggetti, delle storie e di girare qualcosa.
Gaumon acconsente ma più per lungimiranza
imprenditoriale che per fiducia nelle capacità della giovane donna, che
all’epoca aveva solo ventidue anni.
La materia prima non manca ad
Alice, cresciuta tra romanzi, storie e racconti, non fatica a mettersi al lavoro tra sceneggiature e soggetti vari,
arrivando a realizzare più di cento pellicole tra il 1896 e il 1907.
Addirittura la giovane collauderà lei stessa molte attrezzature acquistate da
Gaumon, come il
cronophone, che sincronizzava la musica alle scene girate dagli attori, e imparerà ad occuparsi anche del montaggio delle pellicole.
La sua prima opera si intitola
“La fée aux choux”, e
racconta la storia di una fata che raccoglie i bambini sotto i cavoli e
li regala alle coppie che desiderano avere una famiglia. Il filmato dura
1 minuto e 30 secondi per venti metri di pellicola, ed è un tale
successo che subito vengono richieste ottanta copie da proiettare.
La sua curiosità è tale da spingerla a sperimentare, non si accontenta
dei soliti scenari, esplora le riprese in esterna, e comincia a
manipolare le pellicole per averne effetti speciali, montando scene al
contrario, facendo dipingere a mano i colori, introducendo specchi per
avere scene doppie e sovrapposte. È innovativa e geniale in tutto quello
che fa.