Articolo da Unimondo.org
Con una decisione che non ha precedenti la corte federale per le
questioni civili di Città del Messico, il 10 ottobre scorso, ha emesso
un
provvedimento cautelare per sospendere i permessi esistenti o pendenti nell’uso . Il provvedimento è indirizzato al
Ministero dell’Agricoltura e al
Ministero dell’Ambiente, gli enti federali competenti in materia ed è l’atteso risultato di una
class action intrapresa da cittadini,
agricoltori, ambientalisti, popolazioni indigene, legali, scienziati e
associazioni che si sono battuti per difendere la coltura più
rappresentativa del
Messico dall’aggressione transgenica delle
multinazionali, che si stanno imponendo sul mercato internazionale.
Tra i firmatari della domanda di azione collettiva presentata lo scorso 5 giugno
troviamo non pochi rappresentanti messicani del movimento Slow Food come
Raúl Hernández Garciadiego, referente del
Presidio dell’amaranto di Tehuacán;
José Carlos Redon, fiduciario del convivium Del Bosque;
Eduardo Correa, coordinatore della rete giovane di
Slow Food in Messico e la cooperativa
Tosepan Titatanisake, del Presidio del miele di ape nativa della
Sierra Norte di Puebla. “Nella loro azione collettiva, -
ha spiegato Slow Food - essi hanno evidenziato in particolare il rischio ambientale correlato alle colture
ogm,
e nel farlo hanno avuto ragione. La misura cautelare, infatti, vieta la
coltivazione di mais transgenico sui campi messicani fino a nuovo
avviso”. Per il movimento di Carlo Petrini questa decisione "
segna l’inizio di una nuova fase nella lotta per la sovranità alimentare in Messico”.
Una vittoria per tanti contadini e tante organizzazioni che con tutte
le forze stanno lottando in Messico per mantenere il controllo sul
proprio cibo simbolo e quindi non solo sulla capacità di produrre, ma
anche di riprodurre il patrimonio socio-culturale del popolo messicano.
“Ci sentiamo onorati per aver potuto partecipare alla firma di questo
documento storico. Come membri del movimento Slow Food -
ha spiegato
Correa - abbiamo il dovere di prendere posizione in una situazione di
questo tipo e di agire coerentemente con le nostre posizioni e ideali.
Oggi
non è più sufficiente essere co-produttori responsabili; oggi bisogna
agire e difendere attivamente tutto quel che consideriamo essenziale per
la natura e per noi. Ringraziamo chi ha dato inizio a questa
campagna per il bene di tutti e siamo orgogliosi di poterci battere
attivamente per la tutela del mais messicano e di aver dato vita alla
campagna
Sin Maíz No Hay País”.
Si
tratta indubbiamente di una vittoria importante per mettere la parola
“fine” sull’uso di sementi ogm in Messico e che ha forse reso ancora più
surreale l’attribuzione il 16 ottobre, nella
Giornata mondiale dell’alimentazione, del
World Food Prize a tre scienziati impegnati nello sviluppo degli organismi geneticamente modificati. Così mentre da una parte si festeggiava la Giornata dell’alimentazione con iniziative attente al
tema degli sprechi alimentari,
Marc Van Montagu, professore emerito presso l’Istituto di biotecnologia vegetale per i paesi in via di sviluppo,
Mary-Dell Chilton e
Robert Fraley, i cui nomi sono rispettivamente legati ai due colossi
Syngenta e
Monsanto, ricevevano questa sorta di Nobel per l’agricoltura istituito da
Norman E. Borlaug,
Nobel per la pace nel 1970 e padre di quella “rivoluzione verde” spesso
messa in discussione per i suoi risultati discutibili o quanto meno
controversi.
Per Slow Food a ben vedere, lo scandalo non è poi così grande. “In molti lo avevano già evidenziato nei messi scorsi perché,
tra gli sponsor del World Food Prize, risultano anche nomi che hanno poco a che fare con la sostenibilità dell’agricoltura, almeno come la intendiamo noi. Ci sono, infatti, la
Fondazione Bill & Melinda Gates, la
Dupont Pioneer, la
Cargill… e molti altri nomi, tra cui anche Syngenta e Monsanto, appunto, che nel 2008
donò al premio 5 milioni di euro.
[…]. La concatenazione di questi nomi ci fa dubitare sul prestigio del
premio o, perlomeno, ci fa pensare che il tipo di agricoltura che vi si
promuove sia agli antipodi di quella che difendiamo come Slow Food.
Anche se lo fa sotto l’insegna della parola sostenibilità, offrendone
un’interpretazione antitetica alla nostra”.
Del resto
i tentativi di greenwasching della Monsanto non sono una novità. Come sottolinea
Marie-Monique Robin nel suo
Il veleno nel piatto,
negli ultimi decenni la parola “pesticidi” è stata progressivamente
abbandonata dalla Monsanto e sostituita dalle più rassicuranti
“fitofarmaci” o “agrofarmaci”, quasi a volerne sottolineare il ruolo
“curativo”. Sul suo sito la multinazionale di Saint Luis si presenta
come una “Compagnia per l’agricoltura sostenibile” che figura fra gli
sponsor principali della prima conferenza sulla
Sicurezza alimentare mondiale
che si è svolta in Olanda dal 29 settembre al 2 ottobre scorsi e ha
invitato 600 scienziati da 65 diversi paesi ad interrogarsi sul futuro
del cibo nel 2050, quando nel mondo ci saranno 9 miliardi di abitanti.
Anche in questa occasione si è parlato di cambiamento climatico, sprechi
alimentari, allevamento, utilizzo delle risorse idriche… “A leggerne
soltanto i titoli, dei moltissimi incontri in programma di questa
conferenza ricchissima, si potrebbe addirittura pensare che ad averla
organizzata sia stata un’associazione ambientalista, un consesso di ong
impegnate nel campo dell’agroecologia, forse anche Slow Food -
ha spiegato l’associazione di Petrini
- e la stessa cosa avviene con il World Food Prize, che afferma di
voler migliorare la qualità, la quantità e la disponibilità di cibo nel
mondo”.
Che fare, dunque, davanti a questi tentativi di trovare sempre nuove strade per legittimarsi agli occhi del mondo?
Le strategie di comunicazione della multinazionale americana sono
indubbiamente molto efficaci e subdole, ma non irresistibili, visto che
l’idea di autoconsegnarsi un premio è un’operazione facilmente
smascherabile.
“Sicuramente occorre acquisire ulteriore consapevolezza
sull’immagine che Monsanto vuol dare di sé -
ha concluso Slow Food
-. E poi, anche, guardare al Messico, che contro Monsanto ha da poco
vinto questa importante battaglia sul mais, a tutti quei giovani che la
Giornata mondiale dell’alimentazione l’hanno festeggiata combattendo
contro gli sprechi di cibo e a chi, ad Haiti, ha vinto il 15 ottobre un
premio vero, il
Food Sovereignty Prize. Senza troppo clamore. Ma con più onestà”.
Fonte: Unimondo.org
Autore: Alessandro Graziadei
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Articolo tratto interamente da Unimondo.org