"Scopo della nostra vita è incontrarci, confrontarci con gli altri, metterci in gioco. Essere aperti ad ogni possibile soluzione. Dialogare senza la presunzione di avere sempre ragione. Ascoltare le ragioni dei nostri interlocutori, consapevoli che un confronto di idee è l’esatto opposto della competizione. Se la discussione diventa una gara nessuno ne esce vincitore, perché è del tutto inutile discutere per dimostrare che si ha sempre ragione. E’ bello cambiare idea quando le ragioni dell’interlocutore sono più convincenti delle nostre. E’ noi non usciamo sconfitti da quella discussione, bensì arricchiti, quindi vincitori."
Nel mio giardino triste ulula il vento, cade l'acquata a rade goccie, poscia più precipite giù crepita scroscia a fili interminabili d'argento... Guardo la Terra abbeverata e sento ad ora ad ora un fremito d'angoscia...
Soffro la pena di colui che sa la sua tristezza vana e senza mete; l'acqua tessuta dall'immensità chiude il mio sogno come in una rete, e non so quali voci esili inquete sorgano dalla mia perplessità.
"La tua perplessità mediti l'ale verso meta pi˘ vasta e pi˘ remota! tempo che una fede alta ti scuota, ti levi sopra te, nell'Ideale! Guarda gli amici. Ognun palpita quale demagogo, credente, patriota...
Guarda gli amici. Ognuno già ripose la varia fede nelle varie scuole. Tu non credi e sogghigni. Or quali cose darai per meta all'anima che duole? La Patria? Dio? l'Umanità? Parole che i retori t'han fatto nauseose!...
Lotte brutali d'appetiti avversi dove l'anima putre e non s'appaga... Chiedi al responso dell'antica maga la sola verità buona a sapersi; la Natura! Poter chiudere in versi i misteri che svela a chi l'indaga!"
Ah! La Natura non Ë sorda e muta; se interrogo il lichene ed il macigno essa parla del suo fine benigno... Nata di sé medesima, assoluta, unica verità non convenuta, dinnanzi a lei s'arresta il mio sogghigno.
Essa conforta di speranze buone la giovinezza mia squallida e sola; e l'achenio del cardo che s'invola, la selce, l'orbettino, il macaone, sono tutti per me come personae, hanno tutti per me qualche parola...
Il cuore che ascoltò, più non s'acqueta in visioni pallide fugaci, per altre fonti va, per altra meta... O mia Musa dolcissima che taci allo stridìo dei facili seguaci, con altra voce tornerò poeta! -
"Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni Vorrei essere una nuvola bianca in un cielo infinito per seguirti ovunque e amarti ogni istante Se sei un sogno non svegliarmi."
Quest’anno il ghiaccio artico segna un nuovo record negativo: soli 8,867 chilometri quadrati di copertura.
Lo riportano le misurazioni effettuate il 5 luglio 2021 dal Nsdic,
Nations Show & Ice Data Center. Questo scioglimento massiccio in
realtà non era per nulla atteso, data la primavera relativamente fresca,
con notevoli nevicate nella zona artica, condizioni che solitamente
attenuano lo scioglimento estivo. Il 2021 sorpassa quindi quello che
finora era stato considerato “l’anno nero”, quello del 2012, quando il
ghiaccio artico aveva segnato il minimo storico dal 1979, anno in cui i
satelliti hanno iniziato a monitorare la zona.
Non è solo un problema di copertura, il ghiaccio dell’Artico sta anche diventando meno spesso.
A rivelarlo è uno studio delle università di Washington, Seattle,
Toronto e pubblicato sulla rivista Communication Earth and Environment.
Gli studiosi hanno analizzato lo spessore del ghiaccio marino in una
particolare zona del Polo Nord, chiamata “the Last Ice”, l’ultimo
ghiaccio, che finora è stata considerata stabile e non interessata dallo
scioglimento del ghiaccio durante il periodo estivo. Invece anche
questo ultimo baluardo di ghiaccio perenne viene assottigliato
significativamente durante l’estate. Le misurazioni degli studiosi
risalgono all’estate del 2020, effettuate appunto nel mare di Wandel, a
nord della Groenlandia e delle isole canadesi, quasi per caso. Infatti i
ricercatori si trovavano nei paraggi per altri motivi scientifici e,
dopo essersi accorti che a occhio nudo il ghiaccio era più sottile,
hanno deciso di effettuare le misurazioni.
Durante l’estate è normale una riduzione della copertura e un certo
assottigliamento del ghiaccio, infatti le condizioni delle calotte,
quella artica come quella antartica, a seconda della stagione
possono presentare dei cambiamenti significativi. “Nello studio quindi
hanno cercato di verificare quanto fosse eccezionale questa particolare
annata” spiega la professoressa Claudia Agnini, paleoclimatologa del dipartimento di Geoscienze
dell’università di Padova, “perché chiaramente quello che non si può
fare in questi casi è prendere per buono un record di un anno, che
invece può essere relativamente poco significativo”. Gli studiosi hanno
anche cercato di capire cosa ha portato questo “thinning”,
l’assottigliamento, e quanto conta, per esempio, il livello soglia.
Durante la primavera del 2020 c’era poco ghiaccio, ma nei due anni
precedenti il livello in primavera era stato ancora più basso, fatto che
però non si è tradotto in un assottigliamento così ampio come
nell’estate 2020. Di conseguenza ci sono altre variabili da tenere
presente, non conta solo il livello del ghiaccio prima dell’estate. In
questo sistema complesso occorre considerare anche la circolazione oceanica e la circolazione atmosferica.
Ma mette in guardia la professoressa Agnini: “quando si fa vedere una
serie storica si vede chiaramente che c'è un assottigliamento che mostra
un chiaro trend”.
Ferdinando Nicola Sacco (Torremaggiore, 22 aprile 1891 – Charlestown, 23 agosto 1927) e Bartolomeo Vanzetti (Villafalletto, 11 giugno 1888 – Charlestown, 23 agosto 1927). Giustiziati innocentemente sulla sedia elettrica negli Stati Uniti il 23 agosto 1927. "Ho da dire che sono innocente. In tutta la mia vita non ho mai rubato, non ho mai ammazzato, non ho mai versato sangue umano, io. Ho combattuto per eliminare il delitto. Primo fra tutti: lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. E se c'è una ragione per la quale sono qui è questa, e nessun'altra. Una frase, una frase signor Katzmann, mi torna sempre alla mente: “Lei signor Vanzetti, è venuto qui nel paese di Bengodi per arricchire”. Una frase che mi dà allegria. Io non ho mai pensato di arricchire. Non è questa la ragione per cui sto soffrendo e pagando. Sto soffrendo e pagando per colpe che effettivamente ho commesso. Sto soffrendo e pagando perché sono anarchico. E mi sun anarchic! Perché sono italiano... e io sono italiano. Ma sono così convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e io per due volte potessi rinascere, rivivrei per fare esattamente le stesse cose che ho fatto. Nicola Sacco... il mio compagno Nicola! Sì, può darsi che a parlare io vada meglio di lui. Ma quante volte, quante volte, guardandolo, pensando a lui, a quest'uomo che voi giudicate ladro e assassino, e che ammazzerete... Quando le sue ossa signor Thayer non saranno che polvere, e i vostri nomi, le vostre istituzioni non saranno che il ricordo di un passato maledetto, il suo nome, il nome di Nicola Sacco, sarà ancora vivo nel cuore della gente. (Rivolgendosi a Sacco) Noi dobbiamo ringraziarli. Senza di loro noi saremmo morti come due poveri sfruttati. (Tornando a rivolgersi alla Corte) Un buon calzolaio, un bravo pescivendolo, e mai in tutta la nostra vita avremmo potuto sperare di fare tanto in favore della tolleranza, della giustizia, della comprensione fra gli uomini. Voi avete dato un senso alla vita di due poveri sfruttati!" Discorso tratto dal filmSacco e Vanzetti
"Qualsiasi felicità è un capolavoro: il minimo errore la falsa, la minima esitazione la incrina, la minima grossolanità la deturpa, la minima insulsaggine la degrada."
È una bella notte d'estate
Tengono le alte case
aperti i balconi
del vecchio paese sulla vasta piazza
Nell'ampio rettangolo deserto,
panchine di pietra, evonimi ed acacie
simmetrici disegnano
le nere ombre sulla bianca arena.
Allo zenit la luna, e sulla torre
la sfera dell'orologio illuminata.
Io in questo vecchio paese vo passeggiando
solo come un fantasma. Antonio Machado
Alle ore 11:36 del 14 agosto 2018 la sezione del ponte che sovrasta la zona fluviale e industriale di Sampierdarena, lunga 250 metri, è improvvisamente collassata insieme al pilone di sostegno numero 9, provocando 43 vittime tra le persone a bordo dei mezzi che transitavano sul ponte e tra gli operai al lavoro nella sottostante isola ecologica dell'AMIU, l'azienda municipalizzata per la raccolta dei rifiuti.
Il crollo del ponte ha determinato la chiusura al traffico del raccordo fra A7 e A10 e di numerose strade sottostanti, oltre che della linea ferroviaria di raccordo con il porto, nonché la necessità di evacuare per motivi precauzionali 566 persone residenti nelle case presenti sotto il pilone n. 10.
Il Consiglio dei ministri, il 15 agosto, ha dichiarato lo stato di emergenza nel territorio del comune di Genova per la durata di dodici mesi e ha successivamente nominato il presidente della regione Liguria, Giovanni Toti, commissario straordinario per l'emergenza.
Il 18 agosto è stato decretato un giorno di lutto nazionale e, nella stessa data, sono stati celebrati i funerali di Stato per solo 19 delle 43 vittime all'interno del padiglione Blu della Fiera di Genova trasformato in camera ardente celebrati dal cardinale di Genova Angelo Bagnasco e dall'imam di Genova Salah Hussein per le due vittime albanesi alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, della Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, del Presidente della Camera Roberto Fico, del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dei ministri, del sindaco di Genova Marco Bucci, assieme alle alte cariche politiche, civili e militari; alle esequie erano presenti 8000 persone dentro e fuori la struttura.
A fine agosto sono stati consegnati i primi alloggi ad alcune centinaia di persone residenti nella "zona rossa", obbligate cautelativamente ad abbandonare le proprie abitazioni nei giorni successivi al crollo. Il comune di Genova e la regione Liguria hanno dichiarato di attendere il via libera dal Consiglio dei Ministri per firmare col dipartimento della Protezione Civile l'ordinanza nazionale che, per i nuclei famigliari che hanno deciso di provvedere privatamente alla ricerca di una nuova abitazione, stanzia un contributo mensile a titolo di rimborso del canone di locazione. A inizio settembre, vi sono state proteste davanti alla sede del consiglio regionale.
La dimensione e la gravità dei fatti hanno spinto il Governo a prendere in considerazione un processo di revisione globale del sistema delle concessioni da parte dello Stato, ipotizzando anche la revoca, la risoluzione, la decadenza o il recesso della concessione ad Autostrade per l'Italia. Sono inoltre stati pubblicati, il 27 agosto 2018, gli allegati economici e finanziari, fino a quel momento segreti, relativi a tutte le concessioni autostradali, mentre in precedenza erano stati pubblicati solo i testi privi dei dati monetari: secondo i termini di tale Convenzione, la revoca della concessione comporterebbe l'esborso di una penale di circa 20 miliardi.Tuttavia, più recenti interpretazioni ministeriali evidenziano che il crollo del ponte è configurabile come "grave inadempimento" della Convenzione di affidamento, in quanto il bene affidato (il ponte) avrebbe dovuto essere restituito integro: pertanto l'affidamento sarebbe revocabile senza forti risarcimenti.
Il crollo inoltre ha sollevato dubbi sulla sicurezza di diversi altri ponti e viadotti in Italia, come il viadotto della Magliana a Roma e il ponte San Michele sull'Adda tra le province di Lecco e Bergamo, con conseguenti chiusure per verifiche e interventi di manutenzione.
"Oggi in Italia, secondo il Censis, 11 milioni di persone non si curano più come dovrebbero perché non riescono a farcela economicamente, e il sistema sanitario è lì che si preoccupa del pareggio di bilancio. E’ successo che si sono spalancate le porte al profitto. A me fa veramente schifo trarre profitto dal fatto che qualcuno soffra perché credo che la medicina debba essere pubblica, di alta qualità e gratuita per tutti."
“Io non sono pacifista. Io sono contro la guerra. Se uno di noi,
uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come
un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti. Ci deve
riguardare tutti, perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un
atto di violenza, e tra i più vigliacchi”.
E' morto Gino Strada, fondatore di Emergency, medico e chirurgo.
Aveva 73 anni.
Proprio stamane, su La Stampa, è stato pubblicato un articolo a sua firma sulla situazione in Afghanistan. "Ho
vissuto in Afghanistan complessivamente 7 anni: ho visto aumentare il
numero dei feriti e la violenza, mentre il Paese veniva progressivamente
divorato dall’insicurezza e dalla corruzione. Dicevamo 20 anni fa che
questa guerra sarebbe stata un disastro per tutti. Oggi l’esito di
quell’aggressione è sotto i nostri occhi: un fallimento da ogni punto di
vista", le sue parole accorate. "Oltre alle 241 mila vittime e
ai 5 milioni di sfollati, tra interni e richiedenti asilo,
l’Afghanistan oggi è un Paese che sta per precipitare di nuovo in una
guerra civile, i talebani sono più forti di prima, le truppe
internazionali sono state sconfitte e la loro presenza e autorevolezza
nell’area è ancora più debole che nel 2001. E soprattutto è un Paese
distrutto, da cui chi può cerca di scappare anche se sa che dovrà patire
l’inferno per arrivare in Europa. E proprio in questi giorni alcuni
Paesi europei contestano la decisione della Commissione europea di
mettere uno stop ai rimpatri dei profughi afgani in un Paese in fiamme.
Per finanziare tutto questo, gli Stati Uniti hanno speso
complessivamente oltre 2 mila miliardi di dollari, l’Italia 8,5 miliardi
di Euro. Le grandi industrie di armi ringraziano: alla fine sono solo
loro a trarre un bilancio positivo da questa guerra. Se quel fiume di
denaro fosse andato all’Afghanistan, adesso il Paese sarebbe una grande
Svizzera. E peraltro, alla fine, forse gli occidentali sarebbero
riusciti ad averne così un qualche controllo, mentre ora sono costretti a
fuggire con la coda fra le gambe. Ci sono delle persone che in quel
Paese distrutto cercano ancora di tutelare i diritti essenziali. Ad
esempio, gli ospedali e lo staff di Emergency - pieni di feriti -
continuano a lavorare in mezzo ai combattimenti, correndo anche dei
rischi per la propria incolumità: non posso scrivere di Afghanistan
senza pensare prima di tutto a loro e agli afghani che stanno soffrendo
in questo momento, veri 'eroi di guerra'".
Il medico, attivista per i diritti umani e filantropo era nato
il 21 aprile 1948 a Sesto San Giovanni; dopo aver terminato gli studi
superiori presso il Liceo classico Carducci, conseguì la laurea in
Medicina e Chirurgia presso l'Università Statale di Milano nel 1978,
specializzandosi in Chirurgia d'Urgenza. Durante gli anni della
contestazione era stato tra gli attivisti del Movimento Studentesco.
Distopìa [comp. di dis- e (u)topia * 1985] s. f.
forma di società caratterizzata da aspetti negativi e indesiderabili,
dovuti a fattori come lo sviluppo tecnocratico o l’eccesso del controllo
statale.
Jeremy Bentham e l’Utilitarismo
Jeremy
Bentham (1748 – 1832) fu un intellettuale inglese che inaugurò la
filosofia utilitaristica, ponendosi però anche come sostenitore radicale
dei diritti umani e degli animali, proponendo una serie di riforme
socio-economiche che promuovessero un rinnovamento che avrebbe
potenzialmente portato ad un miglioramento delle condizioni di vita
degli individui dell’era industriale, nella quale l’Inghilterra era, ai
suoi tempi, entrata a pieno regime. Insieme ai sui discepoli John Stuart
Mill e Robert Owen, diffuse questa suo sviluppo dell’ideologia
utilitaristica in tutta Europa, simboleggiata dal cosiddetto Panopticon,
un carcere circolare rigidamente strutturato e sorvegliabile che sarà
definito da Michel Foucault (autore di Sorvegliare e Punire) come
paradigma degli istituti penitenziari del XIX secolo.
La
maggior felicità del maggior numero di uomini è il fondamento della
morale e della legislazione. Con questa massima può essere riassunto a
grandi linee il pensiero di Bentham. La morale si fonderebbe, secondo
gli utilitaristi di una certa corrente (esistendo all’interno dello
stesso movimento una serie innumerevole di linee di pensiero non
totalmente convergenti venutesi a creare durante varie epoche storiche
in funzione dell’evoluzione socio-politica delle realtà in cui vissero i
vari esponenti), non tanto su di una visione drasticamente dottrinale
ed opinabilmente asettica, guidata da un determinato stile di vita
imposto da pochi sui molti come promuovevano in molti sin dalla notte
dei tempi, ma sull’idea di piacere collettivo, vale a dire che non
esiste un modo giusto o sbagliato di agire che non rechi con se
rispettivamente piacere o dolore a seconda dei casi. Bentham, nel
riproporre quest’idea, si rifà a pensatori di epoche vicine e lontane a
lui, siccome già dai tempi dei greci esisteva la formula καλὸς καὶ
ἀγαθός (kalos kai agathòs, bello e buono), idea di cui, tra gli altri,
Platone fu un grande estimatore ed esponente. Questa venne poi ripresa,
ad esempio, da Francis Hutcheson, che nell’opera An Inquiry into the
Original of Our Ideas of Beauty and Virtue, formula un vero e proprio
sistema matematico per il calcolo del piacere ricavato dalle azioni
“belle e buone”, formula che verrà ripresa ed estesa dallo stesso
Bentham.
Sotto
alcuni aspetti si può, però, notare una certa qual controversia e non
linearità dell’ideologia promossa dal filosofo, non tanto dal punto di
vista economico quanto giuridico. Si ritrova, infatti, ad affermare la
validità dei diritti umani per la sicurezza dell’individuo ma, allo
stesso tempo, denuncia il fatto che, se fossero tutti rispettati alla
lettera, il governo non riuscirebbe a dare al cittadino quella sicurezza
che deve garantire, definendoli quindi come non strettamente necessari
al proseguimento pacifico della società. Non risulta estremamente
semplice dirimere questa controversia, dal momento che Bentham dedicò
estesi saggi alla libertà di parola e di commercio, ai diritti delle
donne, all’abolizione della schiavitù, alla difesa e depenalizzazione
dell’omosessualità, al diritto al divorzio, all’abolizione delle torture
fisiche ed ad innumerevoli altri argomenti che non sembrerebbero
presagire completamente la sua idea generale di controllo da parte dello
Stato di ogni aspetto della vita comune per garantire una vita
dignitosa a tutti. A grandi linee si potrebbero paragonare l’idea di
controllo statale di Bentham con il Leviatano di Hobbes, secondo cui gli
uomini, che sono lupi per gli altri uomini, devono cedere i loro
diritti al Leviatano, grande mostro i cui tentacoli avvolgono il mondo,
in modo da permettere una convivenza civile all’ombra della potenza
assoluta del sovrano. Ovviamente, Bentham non si spinge a definire gli
uomini pericolosi per gli altri uomini, ma paventa solamente il fatto
che, senza controllo, non è possibile garantire il massimo del benessere
per il massimo numero di individui.
Un
esempio lampante della teoria del controllo sviluppata da Bentham è il
Panopticon, prigione da lui stesso ideata. Il nome dice già tutto: pan
(tutto) opticon (controllo). I detenuti di questa istituzione carceraria
dovevano essere costantemente controllati senza che però capissero
quando erano realmente sorvegliati o meno. Questo principio è stato
sviluppato ed analizzato anche da altri filosofi e scrittori di epoche
successive. Tra gli altri troviamo Zygmunt Bauman, Michel Foucault (il
quale riconosceva in quella struttura lo Stato che non comanda più
dall’alto ma che pervade da dentro la società) e George Orwell, che
ricreerà il controllo attuato del Panopticon nel suo romanzo 1984 con il
principio della psicopolizia orwelliana iniziato proprio in quel
romanzo. Essenzialmente, Bentham definiva la sua creazione come un nuovo
modo per ottenere potere mentale sulla mente, in maniera e quantità mai
vista prima, dichiarando apertamente lo scopo di controllo pervasivo ed
invisibile per il quale l’aveva ideata. Casi celebri di panottici sono,
ad esempio, il carcere (ormai dismesso) sull’isola di Santo Stefano a
Ventotene, in cui vennero rinchiusi moltissimi dissidenti durante il
periodo fascista (tra cui anche Umberto Terracini e Sandro Pertini),
l’ospedale psichiatrico di Siena (dismesso), l’ex-carcere Le Nuove di
Torino e alcuni altri. Oggi non ne esistono praticamente più in
funzione.
John Stuart Mill
John
Stuart Mill (1806 – 1873) fu un filosofo britannico che aderì
all’utilitarismo di Bentham, anche se si distaccò dal consequenzialismo e
propose un approccio più liberale e molto più aperto a livello sociale
rispetto alla linea originaria, considerando i diritti individuali come
fondamentali per lo sviluppo effettivo della società. A parte i trattati
sulla logica e sull’economia politica (nel quale promuoveva le teorie
liberali di Adam Smith e condannava il protezionismo se non in caso di
industrie appena nate, per le quali esso era necessario a far sì che
crescessero abbastanza per potersi poi buttare nel mercato della
concorrenza internazionale), nel trattato On Liberty descrive la sua
teoria di libertà e la confronta con l’ingerenza del potere.
Nel
trattato, Mill afferma che la libertà è raggiungimento individuale
della felicità, senza imposizioni esterne. L’unico caso in cui il potere
può effettivamente imporsi sugli individui è il momento in cui una
persona prevarica e danneggia altre persone. Solo e soltanto allora si
potrà intervenire limitando in qualche modo la libertà a favore del
benessere collettivo. Da questo punto di vista, la teoria di Mill può
essere considerata come una versione blanda del Leviatano di Hobbes, con
la differenza essenziale che, per Mill, l’uomo non è intrinsecamente
pericoloso e non c’è bisogno di privare tutti completamente della
libertà per poter convivere. Scrive: “Supponiamo che il governo faccia
davvero tutt’uno col popolo, e che non gli venga mai in mente di
esercitare un potere coercitivo se non in completo accordo con quella
che ritiene l’opinione del popolo. Ecco: io contesto che il popolo abbia
il diritto di esercitare questa coercizione, non importa se in proprio o
tramite il governo. È quel potere in sé a essere illegittimo. Il
migliore dei governi non ne ha maggior titolo di quanto ne abbia il
peggiore.” Mill sostiene dunque l’illegittimità dell’iniziativa
ingiustificata del governo per mantenere saldo il suo potere a scapito
della libertà individuale. Il limitare la possibilità di esprimere la
propria opinione è sempre un crimine, poiché, non essendoci verità
assolute, ed esistendo solo la relatività dell’esistenza umana, la
varietà delle opinioni è una condizione assolutamente auspicabile. Mill,
inoltre, incoraggia l’anticonformismo come forma di espressione della
libertà individuale. In generale, lo si può considerare, come è stato
fatto da grandi filosofi (ad esempio, Norberto Bobbio), il padre del
Liberalsocialismo, sia per le sue idee in campo economico sia in campo
sociale.
In
un discorso al Parlamento inglese del 1868, Mill utilizzò per la prima
volta il termine distopia, riferendosi alla politica del governo sullo
sfruttamento delle terre in Irlanda. Aggiungendo al termine utopia il
prefisso negativo, la connotazione negativa del termine opposto al
non-luogo ideale era già stata espressa da Bentham con il termine
cacotopia (anche questo significante non-utopia). Con questi termini si
inaugurava la definizione di quella condizione che noi chiameremmo
post-apocalittica o ritraente una situazione contraria a quella che noi
definiremmo di benessere comune, e dando il via ad una stagione di
analisi e teorizzazione della distopia che porterà al proliferare di
opere, soprattutto a carattere narrativo, con questi stati non ideali
come sfondo.
Thomas Hobbes e il Leviatano
Thomas
Hobbes (1588 – 1679), fu un filosofo inglese parte di quella corrente
razionalista e sensista che ebbe, tra gli altri esponenti, Locke, Bacon
e, in qualche misura, anche Newton. Dobbiamo ricordare, infatti, che non
sono mai esistite le categorie stagne con cui oggi incaselliamo la
figura del filosofo, ma ogni intellettuale si dedicava a più ambiti di
ricerca (filosofia, astronomia, astrologia, teologia, …). Hobbes, tra le
tante cose, si è occupato di ragione, di conoscenza, ma soprattutto di
politica, campo su cui ha avuto una notevolissima influenza.
Per
Hobbes, innanzitutto, l’etica non ha un carattere assoluto. Riprendendo
il discorso fatto per Bentham in precedenza, l’etica e il bene comune
non appartiene a quella coscienza morale imposta dalla dottrina
soprattutto cristiana ma religiosa in generale. Rientra invece in un
ambito soggettivo in cui, secondo Hobbes, il bene è ciò che ognuno di
noi desidera ed il male ciò che è avverso a quello che reputiamo bene.
La volontà, di conseguenza, non è libera, ma guidata solo da movimenti
dell’animo che tendono verso la cosa desiderata, ed è libertà solo la
possibilità di portare avanti senza problemi quanto deciso. Gli uomini,
quindi, sono esseri guidati solo dal loro egoismo, dal loro bisogno
individuale a scapito anche degli altri individui. Per questo Hobbes usa
la formula homo hominis lupo, vale a dire che ogni uomo è un predatore
per gli altri uomini.
Per
ovviare all’anarchia ed alla violenza più totali, Hobbes formula la
teoria del Leviatano, un enorme mostro marino che, con i suoi tentacoli,
attanaglia tutto il mondo e lo controlla. Gli uomini, per poter vivere
in pace, devono privarsi completamente della loro libertà e consegnarla
al Leviatano, despota per eccellenza, che, con il suo infinito potere,
permette il mantenimento dell’ordine sociale. Il sovrano è al di sopra
di tutto e di tutti, ma è soggetto alla legge di natura, unico limite al
suo potere. La figura a cui Hobbes fa riferimento per il Leviatano è
l’Inghilterra dei suoi tempi, grande potenza marittima e coloniale che
stava estendendo i suoi domini conquistando terre via via più vaste e
numerose. Essendo vissuto sotto Giacomo I Stuart, noto per essere stato
particolarmente dispotico ed affidarsi al principio della discendenza
per diritto divino, è quasi scontato che proprio questa figura abbia in
qualche modo ispirato il filosofo.
Questa
teoria del controllo di Hobbes è facilmente correlabile con altre
figure, tra tutti Bentham, come già visto, ed Orwell, il cui Grande
Fratello rappresenta esattamente il modello del Leviatano moderno, che
pervade le vite di tutti privando gli individui della fondamentale
libertà in favore dell’ordine tanto bramato da pochi che temono di
perdere il loro privilegio.
La Narrativa Distopica
Per
quanto riguarda la distopia, più che una vera e propria narrazione
storica abbiamo un filone letterario di narrativa che si è estesamente
occupato dell’argomento. La distopia letteraria nasce già sul finire
dell’Ottocento, con autori del calibro di Herbert George Wells, Robert
Hugh Benson (autore de Il Padrone del Mondo) e Jack London, meglio conosciuto per romanzi come Zanna Bianca, ma che si dedicò anche alla stesura de Il Tallone di Ferro.
Questi autori si rifacevano all’atmosfera di totale fiducia nel
progresso scientifico espressa dal positivismo, che portava
all’abbandono totale nelle mani della tecnica. Si ponevano quindi la
questione di quanta fiducia potesse essere realmente posta in essa e
cosa sarebbe potuto accadere se, per caso, un tiranno tecnocrate fosse
giunto al governo.
Dopo
le due guerre mondiali, il filone distopico ha essenzialmente
intrapreso due strade: quello politico ambientato in un regime
dittatoriale (di qualunque stampo), rappresentato principalmente da
George Orwell e dai suoi romanzi 1984 e La fattoria degli animali,
basato essenzialmente sull’idea di controllo totale della società e
delle coscienze da parte di quello che è il sistema, e meglio
rappresentato dalla psicopolizia, mentre un altro filone si sviluppa a
partire dall’idea di mondo post apocalittico sviluppata anche da Enrico
Fermi ed il suo paradosso post apocalittico. Anche prima, però,
dell’invenzione delle armi atomiche, fattore da cui nacque la maggior
parte dei romanzi e dei film ambientati in un futuro disastroso, abbiamo
testimonianze di testi simili, uno tra tutti La peste scarlatta di Jack London, capostipite di questo genere.
Tutti
i romanzi di questo genere sono accomunati da uno sguardo pessimista
sul futuro dell’uomo, prospettando disastri, dittature e una finale
estinzione degli esseri umani, che sopravviveranno solo grazie alla
prevaricazione del più forte e lo sterminio dei più deboli. Un esempio
di questo principio è descritto nella nota trilogia di Suzanne Collins The Hunger Games,
in cui i giovani dei vari distretti venivano mandati in un’arena dove
l’unica regola era uccidere o essere uccisi, e al termine delle gare
solo uno poteva sopravvivere.
H. G. Wells
Herbert
George Wells (1866 – 1946) fu uno scrittore e saggista inglese
annoverato, insieme a Jules Verne, tra i padri della fantascienza. Nei
suoi romanzi descrive realtà future nelle quali le innovazioni
tecnologiche hanno portato ad uno sviluppo non sempre positivo,
arrivando però a teorizzare macchine che oggi per noi sono normali nel
bene o nel male, come aerei, viaggi spaziali, carri armati, armi
atomiche, televisione satellitare e molto altro. Fu un forte sostenitore
del socialismo, sostenuto soprattutto nelle opere dell’ultima fase
della sua vita, nei quali si espose anche a favore del pacifismo contro i
disastri causati dalle guerre. I suoi romanzi più noti sono La Guerra dei Mondi, La Macchina del Tempo, L’uomo invisibile e molti altri.
La Macchina del Tempo (The Time Machine),
pubblicato nel 1895, che inaugurò la narrativa basata sulla possibilità
di viaggiare nel tempo. Wells, nella prima parte del romanzo, fa
sviluppare all’inventore che ha viaggiato nel tempo la teoria secondo la
quale, come è possibile spostarsi nello spazio, che ha tre dimensioni,
così ci si può spostare nel tempo, che non è altro che una quarta
dimensione. Creando la sua macchina, in quarzo e avorio, capace di
viaggiare nel tempo ma non nello spazio, l’inventore riuscì a
raggiungere l’anno 802.701, momento in cui l’umanità si divide in Eloj e
Morlock, due specie che vivono in simbiosi. I Morlock vivono sotto
terra, all’ombra, ma sono la classe dominante, che “accudisce” gli Eloj
per poi cibarsene. Viaggiando ancora più avanti nel tempo, l’inventore
si ritroverà in un momento in cui, dopo un’eclisse, il mondo non
esisterà praticamente più. Dopo essere tronato indietro ed aver
raccontato la sua storia ad un uditorio di conoscenti increduli,
deciderà di ripartire, senza fare più ritorno. “Non
rimane che chiederci se un giorno ritornerà. Può darsi che si sia
diretto in un’età in cui gli uomini sono ancora uomini, ma gli enigmi
della nostra epoca e sui suoi penosi problemi sono risolti?”.
Solo due anni dopo l’uscita de La Macchina del Tempo, Wells pubblicò un altro romanzo, L’uomo Invisibile (The Invisible Man).
Griffin, fisico, riesce ad inventare un sistema per rendersi
invisibile, e, dopo alcuni tentativi di rinvertire il processo, si
accorgerà dell’utilità della sua condizione, dando vita ad una tirannia
del terrore destinata, però, a non durare. Celeberrima opera rielaborata
in numerosissimi film, alcuni dei quali prodotti quando l’autore era
ancora in vita, il quale fu soddisfatto del suo lavoro e dell’influenza
che esso ebbe sulla cultura di massa, anche se non apprezzò molto
l’eccessiva enfasi posta sulla follia del protagonista.
Forse il più noto romanzo di Wells, La Guerra dei Mondi (The War of the Worlds),
può essere brevemente riassunto come la lotta tra extraterrestri e
terresti per il controllo del pianeta Terra. Pubblicato nel 1898,
divenne celebre per una lettura radiofonica del 1938 di Orson Welles
che, secondo una leggenda metropolitana, causò il panico per le strade
di alcune città. Tanto realistica era la lettura che, a quanto pare,
alcuni la presero come un annuncio radiofonico di un’invasione aliena.
Dopo
questa breve carrellata dei romanzi maggiori di Wells, è d’obbligo una
riflessione sull’influenza diretta che ebbero i romanzi sulle
generazioni a venire, ma anche gli influssi che si imposero sulla
stesura dei romanzi stessi. Innanzitutto, le creazioni fantascientifiche
di Wells segnarono un punto di svolta nel genere, dando spunti anche
dal taglio molto cinematografico imposto dal realismo delle sue
descrizioni, ma anche per lo sviluppo delle teorie sul viaggio nel tempo
e sul destino ultimo dell’umanità governata dalla tecnica. Non lo
possiamo definire esattamente uno scrittore distopico, in quanto
realizza non tanto una prospettiva realistica in sé del futuro quanto
un’ipotesi che pare reale solo per il numero di dettagli impressi sulla
pagina. Ad esempio, se dovessimo paragonare Wells e Orwell, sicuramente
le distopie del secondo paiono ad un passo dall’essere attuabili, se non
addirittura già messe in atto da molti regimi dittatoriali, mentre il
primo si pone nei confronti del futuro in un modo che è molto più
vicino, se non identico, all’approccio che ebbe Verne nei suoi romanzi.
Inoltre, più che dal positivismo in sé, Wells è influenzato dalle teorie
del darwinismo sociale, ben rintracciabili soprattutto ne La Machina del Tempo,
per cui esistono due classi sociali, gli Eloj (che rappresenterebbero
gli operai sfruttati) ed i Morlock (la borghesia industriale
sfruttatrice), interdipendenti l’una dall’altra. Ma qui si può ravvisare
anche la stessa dialettica Hegeliana del servo-padrone, per cui la
classe che comanda si ritrova ad essere sottomessa alla classe
sfruttata, ma, soprattutto, a vivere nell’ombra.
In
Wells troviamo però anche un pensiero utopico, sebbene con le sue
ambiguità e prospettive di realizzabilità. Wells credeva nella
possibilità e nell’auspicabilità della creazione di uno Stato Mondiale
che avrebbe permesso, entro il 2000, di assicurare la pace totale. Nel
saggio del 1900 Anticipations of the Reaction of Mechanical and Scientific Progress upon Human Life and Thought,
prevedeva come vi sarebbe stata una nuova unità tra i paesi anglofoni,
che avrebbero portato ad una repubblica mondiale che si sarebbe poi
estesa su tutto il territorio mondiale, assicurando appunto la “pace
finale”. Ora, l’idea di Wells, per quanto abbia uno scopo finale nobile,
non pone limiti nel controllo che quest’entità deve esercitare sui
cittadini per mantenere l’ordine, portando sia alla possibilità di una
repubblica pacifica, ma anche alla creazione di un Leviatano hobbesiano,
che controlla ogni aspetto della vita dell’individuo.
L’interconnessione tra Hobbes, Orwell ed i sistemi di sorveglianza dei
regimi totalitari sono tutti applicabili a quest’idea si Stato Mondiale
non ben chiara e definita. Tra l’altro, lo stesso Orwell criticò l’idea
di Wells nel saggio del 1941 Wells, Hitler and the World State.
Anche se la consapevolezza sull'inquinamento da plastica sta
crescendo purtroppo si sta facendo ben poco per risolvere il problema.
Andando avanti di questo passo, entro il 2050, alcuni esperti prevedono
che gli oceani del mondo conterranno più plastica che pesci.
Un rapporto delle Nazioni Unite, commissionato dal G20, ha analizzato
in maniera dettagliata tutto ciò che il mondo dovrebbe fare per
impedire che ciò che hanno previsto alcuni ricercatori diventi la nostra
realtà in un futuro non molto lontano. Non stiamo facendo abbastanza
per evitare che tale scenario si concretizzi realmente.
Attualmente circa 11 milioni di tonnellate di plastica finiscono nei
nostri oceani ogni anno. Secondo un modello del 2020 di SYSTEMIQ e The
Pew Trusts entro il 2040 la quantità di rifiuti di plastica che riempirà
i nostri oceani potrebbe quasi triplicare, i ricercatori hanno infatti
previsto che la quantità di plastica riversata negli oceani arriverà a
toccare circa 29 milioni di tonnellate.
Nel frattempo, le promesse da parte delle aziende e le politiche dei
governi ridurranno i rifiuti di plastica nell'ambiente marino solo del
7%.
Tale valore non è affatto vicino al valore che sarà necessario
ottenere per raggiungere gli obiettivi della Osaka Blu Ocean Vision del
G20, iniziativa che cerca di impedire l'aumento dell'inquinamento da
plastica negli oceani entro il 2050.
Per arrivarci, i ricercatori dell'ONU sostengono che il mondo ha
bisogno di un "cambiamento radicale nell'economia della plastica".
Abbiamo bisogno che l'industria delle materie plastiche passi da un
"sistema lineare e dispendioso" a uno circolare e rinnovabile, in pochi
decenni.
Secondo il rapporto delle Nazioni Unite si tratta di un obiettivo
nobile ed è l'unico modo per raggiungere gli obiettivi della Osaka Blu
Ocean Vision. Se i rappresentanti del G20 hanno veramente a cuore il
rispetto degli impegni allora le nazioni leader dovranno fare
dell'inquinamento da plastica la più grande delle priorità del prossimo
futuro.
Il rapporto ONU dipende in gran parte da un modello pubblicato nel
2020. I risultati dimostrano che se il mondo decidesse di intraprendere
un'azione ambiziosa e urgente sull'inquinamento da plastica potremmo
essere in grado di ridurre i rifiuti plastici, destinati a essere
riversati nei nostri oceani, dell'82% nel 2040 utilizzando le attuali
tecnologie e metodologie.
Per ottenere tutto questo le nazioni di tutto il mondo dovranno agire
all'unisono, cosa che finora non è avvenuta. Probabilmente siamo già in
grado di capire il percorso migliore per arrivarci, questo potrebbe
consentirci di creare una tabella di marcia da seguire per tutti i
Paesi.
«È tempo di arrestare cambiamenti isolati in cui ci sono nazioni che
fanno cose casuali che a prima vista sembranno avere un impatto positivo
ma che in realtà non fanno alcuna differenza», scrive il dott. Steve
Fletcher dell'Università di Portsmouth.
«Le intenzioni sono buone ma bisogna riconoscere che cambiare una
parte del sistema in isolamento non cambierà magicamente tutto il
resto».