giovedì 12 agosto 2021

I grandi pensatori distopici



Articolo da NuovAtlantide.org

Distopìa [comp. di dis- e (u)topia * 1985] s. f. forma di società caratterizzata da aspetti negativi e indesiderabili, dovuti a fattori come lo sviluppo tecnocratico o l’eccesso del controllo statale.

Jeremy Bentham e l’Utilitarismo

Jeremy Bentham (1748 – 1832) fu un intellettuale inglese che inaugurò la filosofia utilitaristica, ponendosi però anche come sostenitore radicale dei diritti umani e degli animali, proponendo una serie di riforme socio-economiche che promuovessero un rinnovamento che avrebbe potenzialmente portato ad un miglioramento delle condizioni di vita degli individui dell’era industriale, nella quale l’Inghilterra era, ai suoi tempi, entrata a pieno regime. Insieme ai sui discepoli John Stuart Mill e Robert Owen, diffuse questa suo sviluppo dell’ideologia utilitaristica in tutta Europa, simboleggiata dal cosiddetto Panopticon, un carcere circolare rigidamente strutturato e sorvegliabile che sarà definito da Michel Foucault (autore di Sorvegliare e Punire) come paradigma degli istituti penitenziari del XIX secolo.

La maggior felicità del maggior numero di uomini è il fondamento della morale e della legislazione. Con questa massima può essere riassunto a grandi linee il pensiero di Bentham. La morale si fonderebbe, secondo gli utilitaristi di una certa corrente (esistendo all’interno dello stesso movimento una serie innumerevole di linee di pensiero non totalmente convergenti venutesi a creare durante varie epoche storiche in funzione dell’evoluzione socio-politica delle realtà in cui vissero i vari esponenti), non tanto su di una visione drasticamente dottrinale ed opinabilmente asettica, guidata da un determinato stile di vita imposto da pochi sui molti come promuovevano in molti sin dalla notte dei tempi, ma sull’idea di piacere collettivo, vale a dire che non esiste un modo giusto o sbagliato di agire che non rechi con se rispettivamente piacere o dolore a seconda dei casi. Bentham, nel riproporre quest’idea, si rifà a pensatori di epoche vicine e lontane a lui, siccome già dai tempi dei greci esisteva la formula καλὸς καὶ ἀγαθός (kalos kai agathòs, bello e buono), idea di cui, tra gli altri, Platone fu un grande estimatore ed esponente. Questa venne poi ripresa, ad esempio, da Francis Hutcheson, che nell’opera An Inquiry into the Original of Our Ideas of Beauty and Virtue, formula un vero e proprio sistema matematico per il calcolo del piacere ricavato dalle azioni “belle e buone”, formula che verrà ripresa ed estesa dallo stesso Bentham.

Sotto alcuni aspetti si può, però, notare una certa qual controversia e non linearità dell’ideologia promossa dal filosofo, non tanto dal punto di vista economico quanto giuridico. Si ritrova, infatti, ad affermare la validità dei diritti umani per la sicurezza dell’individuo ma, allo stesso tempo, denuncia il fatto che, se fossero tutti rispettati alla lettera, il governo non riuscirebbe a dare al cittadino quella sicurezza che deve garantire, definendoli quindi come non strettamente necessari al proseguimento pacifico della società. Non risulta estremamente semplice dirimere questa controversia, dal momento che Bentham dedicò estesi saggi alla libertà di parola e di commercio, ai diritti delle donne, all’abolizione della schiavitù, alla difesa e depenalizzazione dell’omosessualità, al diritto al divorzio, all’abolizione delle torture fisiche ed ad innumerevoli altri argomenti che non sembrerebbero presagire completamente la sua idea generale di controllo da parte dello Stato di ogni aspetto della vita comune per garantire una vita dignitosa a tutti. A grandi linee si potrebbero paragonare l’idea di controllo statale di Bentham con il Leviatano di Hobbes, secondo cui gli uomini, che sono lupi per gli altri uomini, devono cedere i loro diritti al Leviatano, grande mostro i cui tentacoli avvolgono il mondo, in modo da permettere una convivenza civile all’ombra della potenza assoluta del sovrano. Ovviamente, Bentham non si spinge a definire gli uomini pericolosi per gli altri uomini, ma paventa solamente il fatto che, senza controllo, non è possibile garantire il massimo del benessere per il massimo numero di individui.

Un esempio lampante della teoria del controllo sviluppata da Bentham è il Panopticon, prigione da lui stesso ideata. Il nome dice già tutto: pan (tutto) opticon (controllo). I detenuti di questa istituzione carceraria dovevano essere costantemente controllati senza che però capissero quando erano realmente sorvegliati o meno. Questo principio è stato sviluppato ed analizzato anche da altri filosofi e scrittori di epoche successive. Tra gli altri troviamo Zygmunt Bauman, Michel Foucault (il quale riconosceva in quella struttura lo Stato che non comanda più dall’alto ma che pervade da dentro la società) e George Orwell, che ricreerà il controllo attuato del Panopticon nel suo romanzo 1984 con il principio della psicopolizia orwelliana iniziato proprio in quel romanzo. Essenzialmente, Bentham definiva la sua creazione come un nuovo modo per ottenere potere mentale sulla mente, in maniera e quantità mai vista prima, dichiarando apertamente lo scopo di controllo pervasivo ed invisibile per il quale l’aveva ideata. Casi celebri di panottici sono, ad esempio, il carcere (ormai dismesso) sull’isola di Santo Stefano a Ventotene, in cui vennero rinchiusi moltissimi dissidenti durante il periodo fascista (tra cui anche Umberto Terracini e Sandro Pertini), l’ospedale psichiatrico di Siena (dismesso), l’ex-carcere Le Nuove di Torino e alcuni altri. Oggi non ne esistono praticamente più in funzione.

John Stuart Mill

John Stuart Mill (1806 – 1873) fu un filosofo britannico che aderì all’utilitarismo di Bentham, anche se si distaccò dal consequenzialismo e propose un approccio più liberale e molto più aperto a livello sociale rispetto alla linea originaria, considerando i diritti individuali come fondamentali per lo sviluppo effettivo della società. A parte i trattati sulla logica e sull’economia politica (nel quale promuoveva le teorie liberali di Adam Smith e condannava il protezionismo se non in caso di industrie appena nate, per le quali esso era necessario a far sì che crescessero abbastanza per potersi poi buttare nel mercato della concorrenza internazionale), nel trattato On Liberty descrive la sua teoria di libertà e la confronta con l’ingerenza del potere.

Nel trattato, Mill afferma che la libertà è raggiungimento individuale della felicità, senza imposizioni esterne. L’unico caso in cui il potere può effettivamente imporsi sugli individui è il momento in cui una persona prevarica e danneggia altre persone. Solo e soltanto allora si potrà intervenire limitando in qualche modo la libertà a favore del benessere collettivo. Da questo punto di vista, la teoria di Mill può essere considerata come una versione blanda del Leviatano di Hobbes, con la differenza essenziale che, per Mill, l’uomo non è intrinsecamente pericoloso e non c’è bisogno di privare tutti completamente della libertà per poter convivere. Scrive: “Supponiamo che il governo faccia davvero tutt’uno col popolo, e che non gli venga mai in mente di esercitare un potere coercitivo se non in completo accordo con quella che ritiene l’opinione del popolo. Ecco: io contesto che il popolo abbia il diritto di esercitare questa coercizione, non importa se in proprio o tramite il governo. È quel potere in sé a essere illegittimo. Il migliore dei governi non ne ha maggior titolo di quanto ne abbia il peggiore.” Mill sostiene dunque l’illegittimità dell’iniziativa ingiustificata del governo per mantenere saldo il suo potere a scapito della libertà individuale. Il limitare la possibilità di esprimere la propria opinione è sempre un crimine, poiché, non essendoci verità assolute, ed esistendo solo la relatività dell’esistenza umana, la varietà delle opinioni è una condizione assolutamente auspicabile. Mill, inoltre, incoraggia l’anticonformismo come forma di espressione della libertà individuale. In generale, lo si può considerare, come è stato fatto da grandi filosofi (ad esempio, Norberto Bobbio), il padre del Liberalsocialismo, sia per le sue idee in campo economico sia in campo sociale.

In un discorso al Parlamento inglese del 1868, Mill utilizzò per la prima volta il termine distopia, riferendosi alla politica del governo sullo sfruttamento delle terre in Irlanda. Aggiungendo al termine utopia il prefisso negativo, la connotazione negativa del termine opposto al non-luogo ideale era già stata espressa da Bentham con il termine cacotopia (anche questo significante non-utopia). Con questi termini si inaugurava la definizione di quella condizione che noi chiameremmo post-apocalittica o ritraente una situazione contraria a quella che noi definiremmo di benessere comune, e dando il via ad una stagione di analisi e teorizzazione della distopia che porterà al proliferare di opere, soprattutto a carattere narrativo, con questi stati non ideali come sfondo.

Thomas Hobbes e il Leviatano

Thomas Hobbes (1588 – 1679), fu un filosofo inglese parte di quella corrente razionalista e sensista che ebbe, tra gli altri esponenti, Locke, Bacon e, in qualche misura, anche Newton. Dobbiamo ricordare, infatti, che non sono mai esistite le categorie stagne con cui oggi incaselliamo la figura del filosofo, ma ogni intellettuale si dedicava a più ambiti di ricerca (filosofia, astronomia, astrologia, teologia, …). Hobbes, tra le tante cose, si è occupato di ragione, di conoscenza, ma soprattutto di politica, campo su cui ha avuto una notevolissima influenza.

Per Hobbes, innanzitutto, l’etica non ha un carattere assoluto. Riprendendo il discorso fatto per Bentham in precedenza, l’etica e il bene comune non appartiene a quella coscienza morale imposta dalla dottrina soprattutto cristiana ma religiosa in generale. Rientra invece in un ambito soggettivo in cui, secondo Hobbes, il bene è ciò che ognuno di noi desidera ed il male ciò che è avverso a quello che reputiamo bene. La volontà, di conseguenza, non è libera, ma guidata solo da movimenti dell’animo che tendono verso la cosa desiderata, ed è libertà solo la possibilità di portare avanti senza problemi quanto deciso. Gli uomini, quindi, sono esseri guidati solo dal loro egoismo, dal loro bisogno individuale a scapito anche degli altri individui. Per questo Hobbes usa la formula homo hominis lupo, vale a dire che ogni uomo è un predatore per gli altri uomini.

Per ovviare all’anarchia ed alla violenza più totali, Hobbes formula la teoria del Leviatano, un enorme mostro marino che, con i suoi tentacoli, attanaglia tutto il mondo e lo controlla. Gli uomini, per poter vivere in pace, devono privarsi completamente della loro libertà e consegnarla al Leviatano, despota per eccellenza, che, con il suo infinito potere, permette il mantenimento dell’ordine sociale. Il sovrano è al di sopra di tutto e di tutti, ma è soggetto alla legge di natura, unico limite al suo potere. La figura a cui Hobbes fa riferimento per il Leviatano è l’Inghilterra dei suoi tempi, grande potenza marittima e coloniale che stava estendendo i suoi domini conquistando terre via via più vaste e numerose. Essendo vissuto sotto Giacomo I Stuart, noto per essere stato particolarmente dispotico ed affidarsi al principio della discendenza per diritto divino, è quasi scontato che proprio questa figura abbia in qualche modo ispirato il filosofo. 

Questa teoria del controllo di Hobbes è facilmente correlabile con altre figure, tra tutti Bentham, come già visto, ed Orwell, il cui Grande Fratello rappresenta esattamente il modello del Leviatano moderno, che pervade le vite di tutti privando gli individui della fondamentale libertà in favore dell’ordine tanto bramato da pochi che temono di perdere il loro privilegio.

La Narrativa Distopica

Per quanto riguarda la distopia, più che una vera e propria narrazione storica abbiamo un filone letterario di narrativa che si è estesamente occupato dell’argomento. La distopia letteraria nasce già sul finire dell’Ottocento, con autori del calibro di Herbert George Wells, Robert Hugh Benson (autore de Il Padrone del Mondo) e Jack London, meglio conosciuto per romanzi come Zanna Bianca, ma che si dedicò anche alla stesura de Il Tallone di Ferro. Questi autori si rifacevano all’atmosfera di totale fiducia nel progresso scientifico espressa dal positivismo, che portava all’abbandono totale nelle mani della tecnica. Si ponevano quindi la questione di quanta fiducia potesse essere realmente posta in essa e cosa sarebbe potuto accadere se, per caso, un tiranno tecnocrate fosse giunto al governo.

Dopo le due guerre mondiali, il filone distopico ha essenzialmente intrapreso due strade: quello politico ambientato in un regime dittatoriale (di qualunque stampo), rappresentato principalmente da George Orwell  e dai suoi romanzi 1984 e La fattoria degli animali, basato essenzialmente sull’idea di controllo totale della società e delle coscienze da parte di quello che è il sistema, e meglio rappresentato dalla psicopolizia, mentre un altro filone si sviluppa a partire dall’idea di mondo post apocalittico sviluppata anche da Enrico Fermi ed il suo paradosso post apocalittico. Anche prima, però, dell’invenzione delle armi atomiche, fattore da cui nacque la maggior parte dei romanzi e dei film ambientati in un futuro disastroso, abbiamo testimonianze di testi simili, uno tra tutti La peste scarlatta di Jack London, capostipite di questo genere. 

Tutti i romanzi di questo genere sono accomunati da uno sguardo pessimista sul futuro dell’uomo, prospettando disastri, dittature e una finale estinzione degli esseri umani, che sopravviveranno solo grazie alla prevaricazione del più forte e lo sterminio dei più deboli. Un esempio di questo principio è descritto nella nota trilogia di Suzanne Collins The Hunger Games, in cui i giovani dei vari distretti venivano mandati in un’arena dove l’unica regola era uccidere o essere uccisi, e al termine delle gare solo uno poteva sopravvivere. 

H. G. Wells

Herbert George Wells (1866 – 1946) fu uno scrittore e saggista inglese annoverato, insieme a Jules Verne, tra i padri della fantascienza. Nei suoi romanzi descrive realtà future nelle quali le innovazioni tecnologiche hanno portato ad uno sviluppo non sempre positivo, arrivando però a teorizzare macchine che oggi per noi sono normali nel bene o nel male, come aerei, viaggi spaziali, carri armati, armi atomiche, televisione satellitare e molto altro. Fu un forte sostenitore del socialismo, sostenuto soprattutto nelle opere dell’ultima fase della sua vita, nei quali si espose anche a favore del pacifismo contro i disastri causati dalle guerre. I suoi romanzi più noti sono La Guerra dei Mondi, La Macchina del Tempo, L’uomo invisibile e molti altri.

La Macchina del Tempo (The Time Machine), pubblicato nel 1895, che inaugurò la narrativa basata sulla possibilità di viaggiare nel tempo. Wells, nella prima parte del romanzo, fa sviluppare all’inventore che ha viaggiato nel tempo la teoria secondo la quale, come è possibile spostarsi nello spazio, che ha tre dimensioni, così ci si può spostare nel tempo, che non è altro che una quarta dimensione. Creando la sua macchina, in quarzo e avorio, capace di viaggiare nel tempo ma non nello spazio, l’inventore riuscì a raggiungere l’anno 802.701, momento in cui l’umanità si divide in Eloj e Morlock, due specie che vivono in simbiosi. I Morlock vivono sotto terra, all’ombra, ma sono la classe dominante, che “accudisce” gli Eloj per poi cibarsene. Viaggiando ancora più avanti nel tempo, l’inventore si ritroverà in un momento in cui, dopo un’eclisse, il mondo non esisterà praticamente più. Dopo essere tronato indietro ed aver raccontato la sua storia ad un uditorio di conoscenti increduli, deciderà di ripartire, senza fare più ritorno. “Non rimane che chiederci se un giorno ritornerà. Può darsi che si sia diretto in un’età in cui gli uomini sono ancora uomini, ma gli enigmi della nostra epoca e sui suoi penosi problemi sono risolti?”. 

Solo due anni dopo l’uscita de La Macchina del Tempo, Wells pubblicò un altro romanzo, L’uomo Invisibile (The Invisible Man). Griffin, fisico, riesce ad inventare un sistema per rendersi invisibile, e, dopo alcuni tentativi di rinvertire il processo, si accorgerà dell’utilità della sua condizione, dando vita ad una tirannia del terrore destinata, però, a non durare. Celeberrima opera rielaborata in numerosissimi film, alcuni dei quali prodotti quando l’autore era ancora in vita, il quale fu soddisfatto del suo lavoro e dell’influenza che esso ebbe sulla cultura di massa, anche se non apprezzò molto l’eccessiva enfasi posta sulla follia del protagonista. 

Forse il più noto romanzo di Wells, La Guerra dei Mondi (The War of the Worlds), può essere brevemente riassunto come la lotta tra extraterrestri e terresti per il controllo del pianeta Terra. Pubblicato nel 1898, divenne celebre per una lettura radiofonica del 1938 di Orson Welles che, secondo una leggenda metropolitana, causò il panico per le strade di alcune città. Tanto realistica era la lettura che, a quanto pare, alcuni la presero come un annuncio radiofonico di un’invasione aliena.

Dopo questa breve carrellata dei romanzi maggiori di Wells, è d’obbligo una riflessione sull’influenza diretta che ebbero i romanzi sulle generazioni a venire, ma anche gli influssi che si imposero sulla stesura dei romanzi stessi. Innanzitutto, le creazioni fantascientifiche di Wells segnarono un punto di svolta nel genere, dando spunti anche dal taglio molto cinematografico imposto dal realismo delle sue descrizioni, ma anche per lo sviluppo delle teorie sul viaggio nel tempo e sul destino ultimo dell’umanità governata dalla tecnica. Non lo possiamo definire esattamente uno scrittore distopico, in quanto realizza non tanto una prospettiva realistica in sé del futuro quanto un’ipotesi che pare reale solo per il numero di dettagli impressi sulla pagina. Ad esempio, se dovessimo paragonare Wells e Orwell, sicuramente le distopie del secondo paiono ad un passo dall’essere attuabili, se non addirittura già messe in atto da molti regimi dittatoriali, mentre il primo si pone nei confronti del futuro in un modo che è molto più vicino, se non identico, all’approccio che ebbe Verne nei suoi romanzi. Inoltre, più che dal positivismo in sé, Wells è influenzato dalle teorie del darwinismo sociale, ben rintracciabili soprattutto ne La Machina del Tempo, per cui esistono due classi sociali, gli Eloj (che rappresenterebbero gli operai sfruttati) ed i Morlock (la borghesia industriale sfruttatrice), interdipendenti l’una dall’altra. Ma qui si può ravvisare anche la stessa dialettica Hegeliana del servo-padrone, per cui la classe che comanda si ritrova ad essere sottomessa alla classe sfruttata, ma, soprattutto, a vivere nell’ombra. 

In Wells troviamo però anche un pensiero utopico, sebbene con le sue ambiguità e prospettive di realizzabilità. Wells credeva nella possibilità e nell’auspicabilità della creazione di uno Stato Mondiale che avrebbe permesso, entro il 2000, di assicurare la pace totale. Nel saggio del 1900 Anticipations of the Reaction of Mechanical and Scientific Progress upon Human Life and Thought, prevedeva come vi sarebbe stata una nuova unità tra i paesi anglofoni, che avrebbero portato ad una repubblica mondiale che si sarebbe poi estesa su tutto il territorio mondiale, assicurando appunto la “pace finale”. Ora, l’idea di Wells, per quanto abbia uno scopo finale nobile, non pone limiti nel controllo che quest’entità deve esercitare sui cittadini per mantenere l’ordine, portando sia alla possibilità di una repubblica pacifica, ma anche alla creazione di un Leviatano hobbesiano, che controlla ogni aspetto della vita dell’individuo. L’interconnessione tra Hobbes, Orwell ed i sistemi di sorveglianza dei regimi totalitari sono tutti applicabili a quest’idea si Stato Mondiale non ben chiara e definita. Tra l’altro, lo stesso Orwell criticò l’idea di Wells nel saggio del 1941 Wells, Hitler and the World State.

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Fonte: 
NuovAtlantide.org


Autore: 
Eleonora Gabutti


Licenza: Copyleft 



Articolo tratto interamente da 
NuovAtlantide.org


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