giovedì 25 aprile 2024

25 Aprile: memoria viva, antifascismo sempre!


Oggi celebriamo il 79esimo anniversario della Liberazione d'Italia dal nazifascismo, un giorno che segna la vittoria della libertà contro l'oppressione, della democrazia contro la tirannia. Una data che non deve mai essere dimenticata, perché rappresenta il trionfo dei valori universali di giustizia, uguaglianza e fratellanza su cui si fonda la nostra Repubblica.

Ricordiamo il coraggio e il sacrificio dei partigiani e di tutte le donne e gli uomini che, con il loro impegno e la loro dedizione, hanno combattuto per liberare l'Italia dalla dittatura fascista. Il loro esempio rappresenta un monito per tutti noi: dobbiamo rimanere vigili e uniti contro ogni forma di intolleranza, discriminazione e violenza.

L'antifascismo non è solo un ricordo del passato, ma un valore da difendere con tenacia ogni giorno. Significa essere contro ogni ideologia che nega i diritti umani e le libertà individuali, che promuove la divisione e l'odio.

In un mondo in cui ancora oggi assistiamo a conflitti, oppressioni e violazioni dei diritti umani, il 25 Aprile ci ricorda che la lotta per la libertà e la giustizia è ancora in corso. Dobbiamo essere uniti nel difendere i valori antifascisti e nel costruire un futuro migliore per tutti.

Buon 25 aprile a tutti!



Fischia il vento urla la bufera...



Fischia il vento urla la bufera,

scarpe rotte e pur bisogna andar

a conquistare la rossa primavera

dove sorge il sol dell'avvenir.

a conquistare la rossa primavera

ove sorge il sol dell'avvenir.


Tratto dal canto Fischia il vento



Poi spuntò l’alba...


Avevo due paure

La prima era quella di uccidere

La seconda era quella di morire

Avevo diciassette anni

Poi venne la notte del silenzio

In quel buio si scambiarono le vite

Incollati alle barricate alcuni di noi

Vivevano l’attesa

Poi spuntò l’alba

Ed era il 25 Aprile


Giuseppe Colzani



Immagine del giorno

resistenza

Resistenza!

Photo credit  caricata su Flickr - licenza foto: Creative Commons


Una lotta per una società pacifica e democratica



"Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, che di queste non ce ne sono."

Italo Calvino



Oggi 25 aprile...


Oggi 25 aprile, ricorre l'anniversario della Liberazione e cioè la fine della guerra nel 45 in Italia e l'inizio di una nuova storia. Le forze della resistenza, dopo due anni di lotta contro il nazifascismo, vincono. La resistenza sorse quando; caduto il regime fascista il 25 luglio 1943 e firmato l'armistizio con gli alleati, in data 8 settembre del 43, le forze politiche antifasciste, che si erano riorganizzate, chiamarono il popolo a raccolta per cacciare i fascisti e i tedeschi.

Costituirono il movimento di Resistenza, forze diverse tra loro per orientamento politico e impostazione ideologica; ma unite nel comune obiettivo di sconfiggere il nazifascismo e conquistare la libertà. E' stato calcolato che i caduti nella Resistenza italiana (in combattimento o eliminati dopo essere finiti nelle mani dei nazifascisti), siano stati complessivamente circa 44.700, altri 21.200 rimasero mutilati o invalidi. Tra partigiani e soldati italiani caddero combattendo almeno 40.000 uomini. Le donne partigiane combattenti furono 35.000 e 70.000 fecero parte dei gruppi di difesa della Donna; 4.653 di loro furono arrestate e torturate, oltre 2.750 vennero deportate in Germania, 2.812 fucilate e impiccate, 1.070 caddero in combattimento e diciannove vennero, nel dopoguerra, decorate con Medaglie d'oro al valor militare.

Ricordiamo anche le vittime civili che furono oltre 10.000. Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nella valle tra il Reno e la Setta (Marzabotto, Grinzana e Monzuno), i soldati tedeschi massacrarono sette partigiani e 771 civili e uccisero in quell'area 1.830 persone.

Tutte queste cifre ci dovrebbero far riflettere; anche perché la memoria storica sta lentamente scomparendo e molti giovani non conoscono l'importanza di questa giornata. Ovviamente c'è chi vuol fare revisionismo storico e tutto questo è altamente pericoloso.

Questa giornata è sempre stata vista erroneamente come una festa di un solo colore politico; ma a combattere settant'anni fa c'erano: comunisti, socialisti, cattolici, militari dissidenti, anarchici, perseguitati razziali, preti e tutti quelli che si sentivano antifascisti.

La festa di Liberazione, quindi, è di tutti e riguarda tutti gli italiani, certamente non possiamo dimenticare quei mesi sanguinari; ma pieni di passione, orgoglio e coraggio.

Autore e ricerca storica a cura di Mariangela B.


Autore: Mariangela B.

Licenza: pubblicato e concesso su richiesta dell'autore

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25 aprile sempre!




Oggi come ieri, 25 aprile sempre! 


mercoledì 24 aprile 2024

Sapete cosa vuol dire vivere senza la libertà?


"Sapete cosa vuol dire vivere senza la libertà? La libertà di leggere un libro che ti piace, di esprimere la tua opinione, di spostarti da una città all'altra, di avanzare diritti nei confronti dei padroni su trattamento e paga al lavoro. O senza la libertà di andare a scuola, un traguardo privilegiato che ai miei tempi era riservato a pochi? Ecco, il 25 aprile è il simbolo di queste piccole e grandi conquiste ed emancipazioni."

Teresa Vergalli



Citazione del giorno



"25 Aprile. Una data che è parte essenziale della nostra storia: è anche per questo che oggi possiamo sentirci liberi. Una certa Resistenza non è mai finita."

Enzo Biagi


Tu non sai le colline di Cesare Pavese



Tu non sai le colline

Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l’arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.

Cesare Pavese



L’insurrezione di Milano contro il nazifascismo



Articolo da Milano In Movimento

Se Milano è la città dove il fascismo è nato, Milano è anche una delle città che più ha contribuito al crollo del regime. Gli scioperi del marzo del ’43 nati alla FIAT di Torino si diffondono nel capoluogo lombardo e sono la campana a morto per Mussolini ed i suoi. Il 25 luglio il Gran Consiglio del fascismo rovescia il dittatore, ma la guerra prosegue a fianco della Germania nazista.

Nell’agosto del ’43 Milano viene ferocemente bombardata dagli Alleati.
L’8 settembre viene dichiarata la resa.
Le strutture dello Stato (tra cui l’esercito) collassano in preda allo smarrimento ed alla mancanza d’ordini.
Il Re e la sua corte si coprono di ignominia con la fuga di Pescara.

In questo desolante panorama di sfascio i tedeschi non stanno a guardare e dal pomeriggio del 10 settembre Milano viene occupata dalla famigerata divisione Leibstandarte Adolf Hilter delle Waffen SS. A metà settembre le SS si installano all’Hotel Regina ed iniziano la caccia ad ebrei ed antifascisti. Aldo Resega diventa Federale di Milano e viene fondata la tristemente nota formazione fascista Ettore Muti che verrà impegnata nella guerra anti-partigiana in Lombardia e Piemonte.

Se nazisti e fascisti si muovono, i combattenti per la libertà non stanno a guardare. Nascono i Gruppi d’Azione Patriottica (Gap) che tra la fine del ’43 ed i primi mesi del ’44 mettono a segno alcune azioni clamorose come l’eliminazione di Aldo Resegna e l’assalto alla Case del Fascio di Sesto San Giovanni. Azioni cui seguirono dure rappresaglie.

Nel dicembre del 1943 ci fu un lungo sciopero dei trasporti che paralizzò la città.
Nel marzo del ’44 scoppiarono nuovi scioperi nelle fabbriche.
Fu certamente il più vasto movimento di massa che abbia avuto luogo in Europa durante la guerra, nei territori occupati dai tedeschi.
Lo sciopero fu un indubbio successo politico, ma lasciò l’amaro in bocca in molti milanesi che vi avevano riposto aspettative insurrezionali. In aggiunta a ciò diverse operazioni poliziesche portarono al quasi totale smantellamento della rete gappista in città (cui seguì una sanguinosa scia di fucilazioni).
Moltissimi operai furono inoltre deportati.

L’arrivo di Giovanni Pesce da Torino diede nuova linfa al movimento partigiano con la formazione delle Sap (Squadre d’Azione Patriottica) organizzate soprattutto nelle grandi fabbriche come la Pirelli, la Breda, la Flack e la Marelli e costituite in gran parte da operai comunisti.

In difficoltà militare contro gli Alleati e colpiti dalle operazioni dei partigiani, i Nazisti, nell’estate del ’44 risposero con ferocia. L’episodio più noto è la fucilazione di 15 antifascisti in Piazzale Loreto il 10 agosto 1944, ma gli episodi di strage sono molti di più.

Il freddissimo inverno del 1944 fu durissimo per la Resistenza. Gli Alleati fermarono la loro avanzata, i rastrellamenti furono devastanti e così l’attacco alle zone liberate come la Repubblica dell’Ossola e quella d’Alba.
In città si susseguirono una scia di arresti, torture e fucilazioni.

Già nel febbraio del ’45 si evidenziava una ripresa con l’assalto simultaneo a colpi di mitra e bombe a mano di 22 sedi nazifasciste.

Ad aprile i tedeschi disponevano ancora di 9 divisioni nella Valle del Po per un totale di 100.000 uomini disposti a vender cara la pelle. La Repubblica Sociale, tra Guardia Nazionale Repubblicana, Brigate Nere, X MAS ed Ettore Muti disponevano di altri 100.000 uomini.

L’offensiva alleate riprendeva il 9 Aprile ed il 19 partiva l’insurrezione.


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Fonte: 
Milano In Movimento


Autore: 
Milano In Movimento

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Articolo tratto interamente da Milano In Movimento


Quando scesero i partigiani...



 “Sulla neve bianca bianca

c’è una macchia color vermiglio;

è il sangue, il sangue di mio figlio,

morto per la libertà.

Quando il sole la neve scioglie

un fiore rosso vedi spuntare:

o tu che passi, non lo strappare,

è il fiore della libertà.

Quando scesero i partigiani

a liberare le nostre case,

sui monti azzurri mio figlio rimase

a far la guardia alla libertà.”

Gianni Rodari

Tratto da La madre del partigiano di Gianni Rodari



Se voi volete...



"Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione."

Piero Calamandrei


martedì 23 aprile 2024

Chi ama i libri sa che il libro è tutto fuorché una merce


"È sciocco pensare che si debbano leggere tutti i libri che si comprano, come è sciocco criticare chi compra più libri di quanti ne potrà mai leggere. Sarebbe come dire che bisogna usare tutte le posate o i bicchieri o i cacciavite o le punte del trapano che si sono comprate, prima di comprarne di nuove. Nella vita ci sono cose di cui occorre avere sempre una scorta abbondante, anche se ne useremo solo una minima parte. Se, per esempio, consideriamo i libri come medicine, si capisce che in casa è bene averne molti invece che pochi: quando ci si vuole sentire meglio, allora si va verso "l’armadietto delle medicine" e si sceglie un libro. Non uno a caso, ma il libro giusto per quel momento. Ecco perché occorre averne sempre una nutrita scelta! Chi compra un solo libro, legge solo quello e poi se ne sbarazza, semplicemente applica ai libri la mentalità consumista, ovvero li considera un prodotto di consumo, una merce. Chi ama i libri sa che il libro è tutto fuorché una merce."


Umberto Eco



Le proteste contro la guerra a Gaza nei campus, si diffondono in tutto il paese

2024 Columbia pro-Palestine protest 16


Articolo da Democracy Now!

Questo articolo è stato tradotto automaticamente. La traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su Democracy Now!

Lunedì la Columbia University ha cancellato le lezioni in presenza mentre le proteste nei campus per la guerra a Gaza entrano nel sesto giorno. Le proteste sono aumentate dopo che la settimana scorsa l’amministrazione scolastica ha chiamato la polizia per sgombrare un accampamento studentesco, provocando oltre 100 arresti. Proteste e accampamenti di solidarietà sono ora sorti nei campus di tutto il paese, tra cui Yale, MIT , Tufts, NYU , The New School e University of North Carolina a Chapel Hill. La giornalista palestinese Jude Taha, una studentessa di giornalismo alla Columbia University, descrive gli eventi avvenuti nel campus come “un atto di solidarietà senza precedenti” che gli organizzatori studenteschi stanno modellando sulle proteste contro la guerra del 1968. Lei afferma che le affermazioni del presidente della Columbia University, Minouche Shafik, riguardo ad un ambiente non sicuro nel campus sono infondate. contraddetta dall'atmosfera generalmente calma e produttiva tra i manifestanti, aggiungendo che la risposta pesante della scuola, comprese sospensioni e sfratti, è vista dagli organizzatori come “una tattica intimidatoria”.

Trascrizione
Questa è una trascrizione urgente. La copia potrebbe non essere nella sua forma finale.

AMY GOODMAN : Iniziamo qui a New York, dove la Columbia University ha cancellato le lezioni in presenza oggi mentre le proteste nei campus per la guerra di Israele a Gaza entrano nel sesto giorno. Oggi le lezioni si terranno online. Le proteste sono aumentate dopo l'arresto, la settimana scorsa, di oltre 100 studenti che avevano allestito un accampamento per chiedere il disinvestimento della scuola da parte di Israele. Gli organizzatori affermano che almeno 50 studenti sono stati sospesi dalla Barnard, 35 dalla Columbia. Un numero crescente di ex studenti, dipendenti e relatori ospiti della Columbia e della Barnard hanno anche condannato pubblicamente o annunciato che stanno boicottando le prestigiose istituzioni.

Durante il fine settimana, proteste e accampamenti di solidarietà sono iniziati anche in altri campus universitari qui a New York , alla New School, così come in tutto il paese, tra cui Yale, MIT , Tufts, Vanderbilt e University of North Carolina, Chapel Collina.

Siamo raggiunti in questo momento da due ospiti. Tra poco parleremo con il professore della Columbia University Mahmood Mamdani, che la settimana scorsa si è rivolto più volte agli studenti che hanno partecipato al Gaza Solidarity Encampment nel campus della Columbia. Ma cominciamo con Jude Taha, giornalista giordano palestinese e studente di giornalismo alla Columbia University Journalism School. Si trova nel campus della Columbia qui a New York, dove è ancora in corso il Gaza Solidarity Encampment guidato dagli studenti. Si unisce a noi proprio adesso dalla sua scuola alla Columbia Journalism School.

Benvenuti in Democracy Now! , Giuda. Puoi spiegare cosa è successo durante il fine settimana, quali sono le richieste delle persone e il fatto che oggi il presidente - che tutto questo è accaduto il giorno dopo aver testimoniato davanti al Congresso - ha chiuso l'università per le lezioni in presenza, tutte online oggi ?

JUDE TAHA : Grazie per avermi ospitato.

In questo momento quello a cui stiamo assistendo alla Columbia è un atto di solidarietà senza precedenti, organizzato da studenti che inizialmente si sono stabiliti nel South Lawn e poi hanno dovuto affrontare arresti violenti e molta repressione da parte dell'amministrazione e hanno finito per trasferirsi nel prato opposto. E quello che stiamo vedendo in questo momento sono solo gruppi di persone, inizialmente senza tende, che dormono per terra, in sacchi a pelo, alcuni senza sacco a pelo, sull'erba, fuori al freddo, sotto la pioggia.

E quello che stiamo vedendo è che hanno tre solide richieste. Il primo è il disinvestimento. La seconda è che la Columbia riveli i propri investimenti finanziari e i dati finanziari, soprattutto in relazione alla collaborazione con Israele. E la terza è l'amnistia nei confronti degli studenti. Gli studenti sono stati molto chiari nel fatto che non si muoveranno, che sono molto fermi nelle loro richieste.

Sono in corso alcune trattative, da quello che ho sentito dagli organizzatori dell'accampamento. Tuttavia, non è stato ancora annunciato nulla. So che ci sono alcune cose che sono successe ieri che sono state un po' sorprendenti, ovvero il rimontaggio delle tende. Gli organizzatori hanno detto che l'amministrazione è a conoscenza delle tende; tuttavia, ciò non significa necessariamente che siano d'accordo. Gli organizzatori hanno tenuto ieri sera un municipio in cui hanno sottolineato che, ovviamente, con un atto di solidarietà e di protesta così grande, occupare lo spazio nel prato comporta un livello di rischio. E in questo si sentono molto a loro agio. Si stanno assicurando che tutti siano consapevoli. C'è trasparenza e c'è semplicemente una comunità in costruzione. E sono molto chiari nelle loro richieste. Hanno tre richieste principali, la prima e la seconda è il disinvestimento.

AMY GOODMAN : Quindi, Jude, se puoi parlare dell'intera progressione di quello che è successo, da Shafik, il presidente Shafik, che ha testimoniato davanti al Congresso a questi, non dirò arresti "senza precedenti" - sono stati arrestati oltre un centinaio di studenti - ma da quando, credo, nel 1968, le proteste contro la guerra del Vietnam?

JUDE TAHA : Penso che quello che è successo inizialmente è che gli studenti si sono presentati sul prato intorno alle 4:30. Sono membri di un gruppo di solidarietà chiamato Columbia University Apartheid Divest, che è composto da molti gruppi studenteschi. E lo stavano pianificando da mesi, secondo le mie interviste agli organizzatori. Hanno studiato le proteste del 1968. Hanno studiato le tattiche utilizzate. Ed erano pronti a partire. Inizialmente non lo sapevamo come outsider. Le tende furono montate e molte persone furono colte di sorpresa. Ma questo era qualcosa che gli organizzatori avevano previsto, soprattutto in relazione all'udienza di Minouche Shafik. Ma quello che è successo è che, dopo aver montato le tende, abbiamo subito assistito a un’ondata di sostegno. Si stavano formando picchetti. Gli studenti si stavano unendo da fuori. E inizialmente quelli che vedevo essere circa 40-50 studenti ora sono, sul prato opposto, quasi un centinaio o un centinaio di studenti che entrano ed escono dall'accampamento.

Gli arresti furono scioccanti. Tuttavia, ciò che è stato veramente stimolante vedere è che gli studenti non si sono lasciati scoraggiare da questo. Poco dopo l'esecuzione degli arresti e dopo che le proteste circondavano il prato dove si trovava l'accampamento originale, gli studenti hanno iniziato a saltare nel prato opposto e a piantare le tende lì. E questa è una reazione non solo al silenzio degli studenti da parte della Columbia e al fatto che gli studenti si sentono inascoltati, trascurati e non ben rappresentati dall'istituto che frequentano, ma è anche, in gran parte, focalizzato sul genocidio in corso a Gaza e come si sentono gli studenti, vedendo i massacri che avvengono ogni giorno, con quasi più di 30.000 persone uccise. La loro frustrazione è che loro sono complici di questo e la loro università lo è. E vogliono assicurarsi che la loro voce venga ascoltata. E vogliono assicurarsi che ciò che chiedono venga soddisfatto. E così, questo si ispira alle proteste del 1968. Hanno semplicemente deciso di seguire il corso.

AMY GOODMAN : Venerdì è stato twittato qualcosa di insolito. Ci parli dalla Columbia J School, dalla Columbia Journalism School.

JUDE TAHA : Sì.

AMY GOODMAN : Ero appena stata alla protesta dopo gli arresti, nell'accampamento giovedì sera. A dir poco, non era facile entrare per chi non aveva la tessera studentesca. Nemmeno questo ti farà entrare adesso. È stato un vero e proprio lockdown. E la mattina dopo, verso le 10:00, dove ti trovi, la Columbia J School ha twittato: “La Columbia Journalism School si impegna a favore della libertà di stampa. Se sei un membro accreditato dei media e ti è stato negato l'accesso al campus, inviaci un messaggio. Faciliteremo l’accesso al campus”. Questo è un rimprovero diretto al presidente, al presidente Shafik?

JUDE TAHA : Non posso – non posso parlare di questo. So che il nostro preside, Jelani Cobb, è molto impegnato ad avere uno spazio in cui la libertà di stampa possa prosperare. E so che Dean Cobb è stato incredibilmente di supporto agli studenti che hanno riferito di questo ed è molto interessato a garantire che i media abbiano accesso e che le informazioni vengano trasferite in modo chiaro e accurato. Che si tratti di un rimprovero diretto, purtroppo non è una cosa di cui sono a conoscenza.

Tuttavia, dirò che da allora facilitare l’ingresso è diventato sempre più impegnativo. Non sono sicuro delle dinamiche della scuola di giornalismo. Ho parlato con diversi giornalisti che stanno arrivando per coprire l'accampamento, ed è sempre più difficile cercare di farli entrare. Non ci sono linee guida chiare che posso condividere su cosa ciò comporta per il giornalismo. scuola per facilitare, ma quello che ho visto anche è che le persone credono che la facilitazione attraverso la scuola di giornalismo significhi accesso all’accampamento. E vorrei sottolineare che l'accampamento non è agevolativo con la scuola di giornalismo. È un'entità che funziona da sola. Ed è uno spazio vitale tanto quanto uno spazio privato all'interno dell'università. Lì gli studenti sono molto vulnerabili. Sono anche molto riluttanti a parlare con i media. Ma mentre credono che la presenza dei media sia importante, c’è stata questa convinzione che il giornalismo stia facilitando l’accesso all’accampamento, il che non è vero. La scuola di giornalismo sta contribuendo a facilitare l'ingresso nel campus per la stampa accreditata.

AMY GOODMAN : E se potessi parlare anche di quello che ha detto il capo della polizia in risposta al presidente della Columbia? Il capo della polizia di New York John Chell ha detto che il presidente Shafik ha identificato la manifestazione come un "pericolo chiaro e presente", ma che gli agenti hanno trovato gli studenti pacifici e collaborativi, Shafik avverte che tutti gli studenti che parteciperanno all'accampamento saranno sospesi. E il livello delle sospensioni, Jude, se puoi parlarne, sia alla Columbia che ancora di più alla Barnard, e cosa significa esattamente? Gli studenti vengono chiusi fuori dalle loro stanze quasi subito e perdono anche i buoni pasto oltre a tutto il resto?

JUDE TAHA : Sì. Ad essere sinceri, io e alcuni altri giornalisti ne stiamo parlando ormai da mesi. Conosciamo questi studenti. Conosciamo queste esigenze. E noi eravamo presenti fin dal primo giorno, quasi dalle 6 del mattino, nell'accampamento originario. E non c'è stato alcun caso di violenza che io possa segnalare. I manifestanti erano incredibilmente pacifici. Le loro richieste sono in gran parte focalizzate sul disinvestimento. E hanno delle linee guida comunitarie che chiedono a tutti coloro che entrano nell’accampamento di rispettarle. E le linee guida della comunità servono a garantire la sicurezza, a garantire che tutti si sentano a proprio agio nello spazio e a garantire che Gaza venga centrata per prima.

In relazione a quanto affermato dal capo della polizia, devo ammettere che non sono riuscito a individuare alcuna violenza o pericolo presente in questi studenti, soprattutto in questo momento nel secondo campo, dove c'è una comunità fiorente, dove le persone sono portando cibo, coperte. Gli studenti lasciano le loro cose, i loro effetti personali, per ore senza preoccuparsi che vengano presi. Non c'è paura tra loro.

Pertanto, si tratta davvero di una tattica intimidatoria, e la risposta che abbiamo visto da parte del presidente Minouche Shafik è stata incredibilmente scoraggiante nei confronti degli studenti. Gli studenti sono stati sfrattati. Un organizzatore con cui ho parlato ieri è terrorizzato. Non si sentono a proprio agio ad uscire da soli. Hanno dovuto lasciare lo Stato. Vengono concessi 15 minuti per accedere ai propri averi. Sono in fase di sospensione, in attesa del ricorso o in attesa di un incontro con l'amministrazione per capire le ragioni della sospensione o cosa comporta. Stanno lasciando gli studenti nel limbo. Gli studenti non si sentono supportati. Non sanno dove stanno andando. Ed è incredibilmente scoraggiante e terrificante, per alcuni ragazzi di 18, 19 anni, essere abbandonati dal loro campus.

Un'altra cosa è che gli organizzatori hanno chiarito che si tratta di una tattica intimidatoria da parte dell'amministrazione, soprattutto in relazione all'e-mail inviata dal presidente Shafik all'una di notte di ieri sera. Gli organizzatori hanno affermato che si tratta di una tattica intimidatoria per cercare di spaventare le persone che si trovano nell'accampamento per la loro solidarietà con il Gaza Solidarity Encampment e con le richieste del movimento. Ma molti studenti stanno imparando questi rischi, e si stanno unendo e stanno insieme per chiedere l'amnistia. Non è chiaro il motivo per cui ciò sta accadendo né i livelli di sospensione. Gli studenti che sono stati sospesi ma non sono stati sfrattati si preoccupano di quando perderanno l’accesso al proprio alloggio. E agli studenti che hanno perso l’accesso ai loro alloggi non è stata data alcuna istruzione chiara, per quanto ne so, su dove andare dopo. Quindi è proprio questo grande limbo. E questi studenti si stanno sacrificando molto per il movimento e per le richieste che chiedono, ma non ricevono alcun sostegno da parte dell'amministrazione o dell'orientamento. E non è chiaro cosa citi la presidente Shafik quando parla di “pericolo”. E quindi, questo lascia molti organizzatori confusi su ciò che sta realmente accadendo.

AMY GOODMAN : E tra gli arrestati c'era la figlia del membro del Congresso Ilhan Omar, Isra Hirsi, entrambe sospese e arrestate. E infine, molto rapidamente, prima di andare dal professor Mamdani, il relatore della J School del 15 maggio – e questo è molto lontano, quindi vedremo cosa succede – c’è la giornalista israeliana di Haaretz Amira Hass, profondamente critica nei confronti dell’occupazione. , della guerra a Gaza, viveva a Gaza, l'unico giornalista ebreo israeliano a vivere lì da anni. È giusto?

JUDE TAHA : Sì, è corretto. Per quanto ne sappiamo, ciò non è stato cambiato. Il relatore è stato scelto ormai da parecchio tempo. E per quanto ne so, la situazione non è cambiata.

AMY GOODMAN : Beh, Jude Taha, voglio ringraziarti per essere con noi.


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Fonte: Democracy Now!

Autore: Amy Goodman & Jude Taha


Articolo tratto interamente da 
Democracy Now!

Photo credit SWinxy, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons



Oggi la nuova resistenza in che cosa consiste

Sandro Pertini1

"Oggi la nuova resistenza in che cosa consiste. Ecco l'appello ai giovani: di difendere queste posizioni che noi abbiamo conquistato; di difendere la Repubblica e la democrazia. E cioè, oggi ci vuole due qualità a mio avviso cari amici: l'onestà e il coraggio. L'onestà... l'onestà... l'onestà. [...] E quindi l'appello che io faccio ai giovani è questo: di cercare di essere onesti, prima di tutto: la politica deve essere fatta con le mani pulite. Se c'è qualche scandalo. Se c'è qualcuno che da' scandalo; se c'è qualche uomo politico che approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi, deve essere denunciato!"
Sandro Pertini

I 50 anni della Rivoluzione dei Garofani

Coruche mural 25 Abril


Articolo da Storie in Movimento

Oltre al nostro 25 aprile ne abbiamo un altro da ricordare, quello portoghese del 1974 in cui venne deposta la dittatura dell’Estado novo.

Come qui nella penisola, anche la “liberazione” portoghese è oggetto di dibattito pubblico, con forti spinte alla rilettura di quel periodo storico.

Abbiamo chiesto a Giulia Strippoli, nostra socia che da anni vive e lavora in Portogallo di raccontarci questo dibattito.

Tutti gli anniversari sono importanti per festeggiare la fine di una dittatura di ben 48 anni, ma alcune occasioni – come gli anniversari decennali – godono di maggiore attenzione, che sia istituzionale, mediatica, accademica o militante. Che il 25 aprile sia festa in Portogallo è fuor di dubbio, ma che la ricorrenza, il cui simbolo sono i garofani rossi, ricordi la fine del fascismo e la rivoluzione (detta, appunto “dei garofani”), è meno consensuale. Nel cinquantesimo anniversario del 25 aprile del 1974, la data del colpo di stato che pose fine alla lunghissima dittatura dell’Estado novo e che sfociò nella rivoluzione, gli attori politici e sociali condividono l’idea della festa (qualcosa da festeggiare c’è per tutti), ma se per alcuni si celebra la fine del fascismo e l’inizio della rivoluzione, per altri si festeggia l’inizio della “transizione democratica”. Per altri ancora – di seguito farò le dovute distinzioni e contestualizzazioni dei protagonisti del dibattito – il 25 aprile va ricordato, ma va ricordato accanto al 25 novembre (del 1975), che da un punto di vista storico concluse il periodo del Prec (Periodo rivoluzionario in corso, che durò dall’aprile del 1974 al novembre del 1975) e che da un punto di visto politico per alcuni mise fine alle speranze rivoluzionarie, e per altri concluse un periodo di caos ed estremismo e permise al Portogallo di diventare un paese democratico.

Ad agitare ancora di più le acque ci sono le interpretazioni sull’Estado novo: fu davvero una dittatura fascista? Cominciamo proprio da qui: la storiografia non si è messa d’accordo sulla definizione della dittatura portoghese come fascista e ancora oggi la dittatura di Salazar e Caetano è chiamata da alcuni storici corporativa e autoritaria e caratterizzata come repressiva e violenta, ma non come fascista. Secondo questa prospettiva l’Estado novo (almeno tra la fine della seconda guerra mondiale e il 1974) non fu fascista perché gli mancarono dei requisiti del fascismo maturato in Italia e del nazismo sviluppatosi in Germania ovvero l’ultranazionalismo, l’espansionismo, il razzismo, il radicalismo. Anche l’iniziale attrito che si ebbe in Italia e Germania con la Chiesta cattolica, o la militarizzazione della società, sarebbero da annoverare tra i denominatori comuni del fascismo italiano e del nazismo, aspetti che invece mancarono alla dittatura portoghese. Quello che sembra poi essere il carattere fondamentale che mancò all’Estado novo per essere definito come fascista fu la mancanza di un leader carismatico: niente folle in estasi, niente culto del capo, niente obbedienza quasi religiosa di moltitudini accecate dall’ossessione del rituale, delle divise e delle dimostrazioni di forza. Questa prospettiva si appella alla serietà storiografica e alla contestualizzazione rigorosa della nascita del fascismo italiano e del nazismo tra le due guerre per affermare che, se pure ci furono degli elementi simil fascisti nel regime portoghese, l’Estado novo non fu fascista[1]. L’argomento del rigore comparativo corre tuttavia il rischio di svilire l’antifascismo militante. Durante l’Estado novo migliaia di persone lottarono contro la dittatura. Furono represse, arrestate, torturate e morirono. Se i protagonisti di allora si dichiaravano antifascisti, affermare che la dittatura non fu fascista getta un’ombra su di essi, nonché sulla memoria della resistenza.
Venendo ai giorni nostri, sempre secondo questa prospettiva, non ci sarebbe nel Portogallo contemporaneo il rischio di fascismo, e il partito Chega sarebbe un partito piú populista che fascista, un partito di protesta piú che di potere e Ventura non sarebbe un leader carismatico. Il partito Chega nelle ultime elezioni portoghesi ha ottenuto il 18,07% e 50 deputati, un numero che fa del partito fondato da André Ventura il terzo partito, dietro alla coalizione di centro-destra Alleanza Democratica (28,85%) e al Partito Socialista (28,00%) che ha governato il Portogallo negli ultimi otto anni. Chega si definisce un partito “nazionale, conservatore, liberale e personalista” e gli anniversari del 25 aprile 1974 sono stati occasione per polemiche e propaganda. Lo scorso anno il deputato Ventura si impegnò in Parlamento e nei social network in una serrata critica alla visita di Lula in Portogallo durante il 25 aprile. L’attacco di Chega è stato all’insegna delle parole chiave anticorruzione che sono uno dei pilastri della missione e delle campagne elettorali del partito di destra: basta con i ladri che intascano milioni mentre a farne le spese è il popolo portoghese che non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena. Ventura per l’occasione pronunciò un discorso in Parlamento proprio il 25 aprile 2023 denunciando l’ipocrisia di indossare i garofani e invitare un corrotto della dimensione del presidente del Brasile. All’insegna dello slogan «Democrazia sì, corruzione mai più» – il presidente di Chega vedeva nella presenza di Lula in Portogallo la porta aperta alla normalizzazione della corruzione, mentre invocava una folla di migliaia (poche decine, in realtà) di persone che stavano manifestando alle porte del Parlamento per invocare la giustizia. Ventura, che ha sempre fatto della lotta alla corruzione il fiore all’occhiello della sua propaganda, ha approfittato dell’occasione per denunciare ancora una volta le vicende giudiziarie dell’ex leader socialista José Socrates usando questa volta lo slogan ad effetto «Il posto del ladro è in prigione»[2] e sentendosi in dovere di ringraziare pubblicamente giudici, procuratori e ispettori di polizia che nonostante gli ostacoli non si fermavano nell’esercizio delle loro funzioni e della lotta per un Portogallo liberato dalla corruzione. Se nel 2023 il Parlamento rimase molto poco rumoroso di fronte al discorso di Ventura, le cose, dentro e fuori il Parlamento, potrebbero andare diversamente nelle prossime settimane, giacché se nel 2023 Chega contava con 12 rappresentanti e il 7,8% dei voti, le ultime elezioni hanno abbondantemente triplicato il numero dei deputati. Chega ha inoltre dato l’appoggio alla richiesta del partito di destra Iniciativa liberal di inserire nei festeggiamenti del cinquantenario del 25 aprile anche il ricordo del 25 novembre.

Ecco un’altra questione, dunque. Il 25 novembre 1975 concluse la Rivoluzione dei garofani: un colpo di Stato organizzato dal “gruppo dei Nove”, ufficiali delle forze armate, componenti moderate del Movimento delle forze armate (Mfa) che aveva condotto il colpo di stato il 25 aprile 1974 e governato il Portogallo insieme ai governi provvisori durante il processo rivoluzionario. Fu la sconfitta della sinistra militare – sia quella “gonçalvista”, piú vicina al Partito comunista portoghese (Pcp), dal nome del generale Vasco Gonçalves, sia quella “popolare”, o rivoluzionaria, prossima al carismatico Otelo Saraivo de Carvalho – e la vittoria delle forze moderate. E fu la fine delle istanze rivoluzionarie che avevano ispirato l’occupazione dei latifondi, delle case, le commissioni di lavoratori nelle fabbriche, la nazionalizzazione della banca e delle principali industrie. Le ricostruzioni storiche e le interpretazioni hanno inteso il 25 di novembre come una risposta del gruppo dei Nove a un presunto piano orchestrato dalla sinistra rivoluzionaria o dal Pcp (cioè, il golpe sarebbe arrivato da sinistra e i moderati avrebbero appena risposto con un controgolpe) o, al contrario, come la risposta della sinistra rivoluzionaria all’ultima provocazione delle forze di destra, una risposta che la sinistra non riuscì a sostenere[3]. La storica Maria Manuela Cruzeiro, in decennali studi sul processo rivoluzionario, frutto della combinazione di analisi di fonti scritte e interviste orali ai leader dell’epoca ha riassunto brillantemente quello che successe al Gruppo dei Nove, che descrive come operativamente vittoriosi, ma politicamente fragili, che si trovarono a negoziare la propria vittoria con la destra e l’estrema destra:

In fondo essi credevano nella social-democrazia per la transizione socialista, dimenticando che nel resto d’Europa da molto tempo la socialdemocrazia aveva dimenticato la rivoluzione. Passando un assegno in bianco al Ps (Partito socialista), presero il desiderio per realtà, avendo come orizzonte piú un programma scritto che una pratica politica. Il loro progetto non poteva essere difeso da un partito senza una ideologia politica definita, senza una strategia chiara di medio e lungo termine. Il partito più interclassista dove trovavano posto sia i militanti rivoluzionari sia i democratici, conservatori e finanche elementi dell’estrema destra e che ha usato e abusato della sua maggioranza elettorale come argomento definitivo

https://www.cd25a.uc.pt/pt/page/1557

Se, dunque, il 25 aprile celebra di sicuro la fine della dittatura (sia che sia definita fascista che non fascista), il 25 novembre sancisce di sicuro la fine delle istanze rivoluzionarie, e la destra portoghese non ha perso l’occasione per agitare polemicamente le acque degli anniversari della rivoluzione: se celebriamo il 25 aprile, perché non festeggiare il 25 novembre? Tutti gli anni la destra ci prova, fino ad ora con scarso successo. Dieci anni fa, in occasione del quarantesimo anniversario, le iniziative della destra (Cds, Centro democrático-social e Psd, Partido social democrata) si tradussero in un chiaro insuccesso: il giorno stabilito per la riunione del gruppo di lavoro che avrebbe dovuto organizzare le celebrazioni del 25 novembre il Cds e il Psd rimasero isolati e non ci fu nessuna commemorazione. Quest’anno, in occasione del cinquantenario, Mariana Leitão, leader del partito di destra Iniciativa liberal -quarto partito alle ultime elezioni, con il 4,94% e 8 deputati – appoggiata da Cds e Chega ha da pochi giorni proposto che i festeggiamenti includano le celebrazioni del 25 novembre. Vedremo nelle prossime settimane lo sviluppo del dibattito. C’è da dire che quest’anno per la prima volta il 25 di novembre è già stato festeggiato con una celebrazione ufficiale nel comune di Lisbona, guidato dal sindaco di destra Carlos Moedas (Psd). La piazza antistante il comune ha ospitato 25N, una mostra temporanea e itinerante con pannelli concepiti per raccontare «La storia che non ti hanno raccontato». Il sottotitolo vagamente complottista «Ti svelo un segreto» tenuto nascosto da non si sa da chi, aveva probabilmente lo scopo di affascinare i visitatori e convincerli dell’importanza del 25N. Forse è superfluo aggiungere che la descrizione generale non collegava il 25 aprile 1974 con la fine del fascismo, né con la presa di parola dopo anni di censura e di polizia politica, né tantomeno con la mobilitazione di massa per l’occupazione delle terre, delle fabbriche e delle case. Ad essere celebrata era la democrazia pluralista: «la rivoluzione del 25 aprile 1974 aprì le porte all’instaurazione di una democrazia pluralista in Portogallo. Seguì un periodo di transizione di forte turbolenza politica e sociale, che raggiunse il culmine il 25 novembre 1975. La mostra 25N, prodotta dall’Istituto +Liberade racconta cosa è successo in questo periodo marcante della nostra storia»[4] (Fig.1). Il citato istituto, fondato pochi anni fa da Carlos Guimarães Pinto, presidente del partito Il, da Adolfo Mesquita Nunes, dirigente del Cds e da Carlos Moreira da Silva, presidente della multinazionale Sonae, ha per missione la promozione dei cosiddetti pilastri della democrazia liberale, ovvero la democrazia, l’economia di mercato e la libertà individuale. Che un istituto privato ispirato ai valori della destra, che non fa mistero dell’insofferenza nei confronti degli “ostacoli” che lo Stato opporrebbe allo sviluppo della libertà individuale, organizzi una mostra in cui sono stati rimossi i successi del 25 aprile in termini di conquiste collettive poi garantite dallo Stato, tra cui il diritto di sciopero, i diritti delle donne, il diritto alla salute, non genera grande perplessità. Più preoccupazione desta invece il fatto che per la prima volta, lo scorso 25 novembre, il comune di Lisbona, passato dal governo del Ps a quello del Cds nel 2021, abbia celebrato la ricorrenza con una cerimonia ufficiale.

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Autore: 
Giulia Strippoli

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Photo credit Júlio Reis (User:Tintazul), CC BY-SA 2.5, da Wikimedia Commons


Se riesci a convincere un popolo che il nemico è dappertutto...


"Se riesci a convincere un popolo che il nemico è dappertutto e che può colpire in ogni momento, quel popolo accetta di rimettere nelle mani del suo leader qualunque cosa. Libertà, diritti civili."

Michael Moore


L'incredibile viaggio della Voyager 1 continua, dopo che la NASA ha inserito il codice patch in un chip vecchio di 46 anni

Voyager probe


Articolo da Boing Boing

Questo articolo è stato tradotto automaticamente. La traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su Boing Boing

In una dimostrazione stellare di risoluzione dei problemi, la NASA ha ripristinato il contatto con la leggendaria sonda Voyager 1 dopo cinque mesi di silenzio radio. La navicella spaziale, vecchia di 46 anni, si è oscurata lo scorso novembre quando un chip chiave del computer si è guastato, confondendo i dati ingegneristici che trasmette attraverso 15 miliardi di miglia di spazio.

Invece di accettare la sconfitta, gli ingegneri della missione hanno escogitato una soluzione audace: riscrivere da zero il software corrotto e ricollocarlo frammentariamente in aree non interessate della memoria del computer della sonda.

Dal comunicato stampa della NASA:

Il team ha iniziato individuando il codice responsabile del confezionamento dei dati tecnici del veicolo spaziale. L'hanno inviato nella sua nuova posizione nella memoria FDS il 18 aprile. Un segnale radio impiega circa 22 ore e mezza per raggiungere la Voyager 1, che si trova a oltre 15 miliardi di miglia (24 miliardi di chilometri) dalla Terra, e altre 22 ore e mezza per un segnale. per tornare sulla Terra. Quando il 20 aprile la squadra di volo della missione ha ricevuto risposta dalla navicella spaziale, ha visto che la modifica funzionava: per la prima volta in cinque mesi sono stati in grado di verificare la salute e lo stato della navicella spaziale.

Nelle prossime settimane, gli ingegneri della NASA intraprenderanno lo stesso processo per le porzioni che trasmettono dati scientifici.

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Fonte: Boing Boing 


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Articolo tratto interamente da Boing Boing

Photo credit NASA, Public domain, via Wikimedia Commons


Sonetto 18 di William Shakespeare


Sonetto 18

Dovrei paragonarti a un giorno d’estate?
Tu sei ben più raggiante e mite:
venti furiosi scuotono le tenere gemme di maggio
e il corso dell’estate ha vita troppo breve.
Talvolta troppo caldo splende l’occhio del cielo
e spesso il suo aureo volto è offuscato,
e ogni bellezza col tempo perde il suo fulgore,
sciupata dal caso o dal corso mutevole della natura.
Ma la tua eterna estate non sfiorirà,
né perderai possesso della tua bellezza;
né morte si vanterà di coprirti con la sua ombra,
poiché tu cresci nel tempo in versi eterni.
Finché uomini respireranno e occhi vedranno,
vivranno questi miei versi, e daranno vita a te.

William Shakespeare


Ho avuto spesso paura...


"Ho avuto spesso paura. Le scelte obbligate sono serie. Non avevo sognato avventure, volevo passare la vita in biblioteca. E ora stavo in un’avventura di molti, accettando di fare e andare dove mi era detto, non molto, nulla di impossibile; il più era ripetere gesti e strade ignorando se qualcuno mi osservava, sapendo di contar poco e però sussultando davanti ai proclami di Kesselring, freschi sul muro, che mi informavano come per meno del niente che facevo sarei stata impiccata."

Rossana Rossanda


A tutti...


A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento.
Ai pazzi per amore, ai visionari,
a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.
Ai reietti, ai respinti, agli esclusi. Ai folli veri o presunti.
Agli uomini di cuore,
a coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro.
A tutti quelli che ancora si commuovono.
Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.
A chi non si arrende mai, a chi viene deriso e giudicato.
Ai poeti del quotidiano.
Ai “vincibili” dunque, e anche
agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo.
Agli eroi dimenticati e ai vagabondi.
A chi dopo aver combattuto e perso per i propri ideali,
ancora si sente invincibile.
A chi non ha paura di dire quello che pensa.
A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà.
A chi non vuol distinguere tra realtà e finzione.
A tutti i cavalieri erranti.
In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene…
a tutti i teatranti.


Tratto da | Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes