Il controllo dell'informazione in Italia durante il regime fascista rappresenta un capitolo oscuro nella storia della libertà di stampa e espressione. Il fascismo, guidato da Benito Mussolini, si è servito di vari strumenti per manipolare l'informazione e plasmare l'opinione pubblica a proprio favore.
Uno dei primi passi verso il controllo totale dell'informazione fu l'inserimento di giornalisti fedeli al regime all'interno delle redazioni, esercitando pressioni sulle direzioni affinché licenziassero coloro che mantenevano una libertà di giudizio non allineata con le direttive del regime. Questo processo di "fascistizzazione" della stampa culminò con la promulgazione delle "leggi fascistissime" nel 1926, che trasformarono il "Popolo d'Italia" nel giornale ufficiale del regime.
La censura si estese anche alla radio, con la creazione dell'Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (EIAR), che aveva lo scopo di diffondere la propaganda fascista attraverso le onde radiofoniche. Inoltre, le cosiddette "veline fasciste" erano comunicati stampa che venivano inviati ai giornali con l'obbligo di pubblicazione. Queste note contenevano indicazioni precise su quali notizie pubblicare e come presentarle, esercitando così un controllo diretto sull'informazione che raggiungeva il pubblico.
Il regime fascista utilizzava la censura come uno strumento per limitare la libertà di espressione, controllando i mass media, la stampa e la radio. La soppressione della libertà di associazione e di religione faceva parte di questa strategia repressiva, che mirava a consolidare il potere del fascismo attraverso il controllo sistematico della comunicazione e della libertà di pensiero.
Questo periodo della storia italiana ci insegna l'importanza della libertà di informazione come pilastro fondamentale di una società democratica e aperta. La storia del controllo dell'informazione fascista in Italia è un monito a non dare mai per scontata la libertà di stampa e a difenderla come un diritto inalienabile di ogni individuo.
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