Quest'anno sono stati o stanno per
essere rinnovati molti contratti collettivi nazionali (CCNL), alcuni dei
quali scaduti da tempo. La contrattazione nazionale rappresenta uno
strumento importante per affermare la forza collettiva dei lavoratori e
così strappare condizioni di lavoro dignitose per tutti, anche per
quelli che si ritrovano in situazioni individuali o aziendali
particolarmente ricattabili.
Per questo è un istituto da difendere
strenuamente contro gli attacchi lanciati periodicamente dai padroni e
dai loro governi amici,
da ultimo proprio dal presidente di Confindustria Squinzi e da Renzi
che qualche tempo fa annunciarono la sua possibile sostituzione con il
salario minimo, uno specchietto per le allodole destinato ad equalizzare
al ribasso salari e condizioni di lavoro. Per il momento però si è
trattato soltanto di sparate e la contrattazione nazionale è ancora in
piedi. L'uso che ne sta venendo fatto da parte dei sindacati confederali
è però indifendibile: la difesa della contrattazione nazionale fatta da
quelli che dovrebbero rappresentare gli interessi dei lavoratori ha
come obiettivo esclusivo la loro autoconservazione.
Ma andiamo con ordine, prima di scendere
nel dettaglio di alcuni contratti nella seconda parte di questo
articolo. Innanzitutto c'è da dire che molti accordi sono stati piuttosto rapidi: il record assoluto va a quello dei chimici che si è raggiunto in una sola notte! Questo proprio perché i
sindacati avevano bisogno di concludere accordi per accreditarsi in un
ruolo che, non volendo essere quello del conflitto, è rimasto quello
della ratificazione degli interessi padronali. In molti casi i
confederali si sono presentati infatti al tavolo di contrattazione con
piattaforme che già accoglievano le richieste dei padroni o partivano da
obiettivi che avrebbero dovuto rappresentare il minimo insindacabile.
Ed è indicativo anche il modo in cui si pone termine alla stagione degli
accordi separati, cioè attraverso l’inversione di tendenza della Cgil e
della Fiom che ormai si accodano a Cisl e Uil firmando contratti anche
peggiori di quelli rifiutati in precedenza. E ciò per il semplice fatto
che il potere padronale è tale che oggi i confederali per sopravvivere
sono costretti ad aderire all’unico modello di sindacato possibile
restando all’interno delle regole date: quello della Cisl, quello del
sindacato padronale e di “servizio”. Per altro tale necessità di rapido
accordo è condiviso anche da alcune associazioni padronali a loro volta
rimaste orfane dei giganti (Federmeccanica senza Fca, Confcommercio
senza Auchan, Carrefour, Esselunga) e bisognose di raggiungere anche per
i pesci piccoli le condizioni di maggiore sfruttamento che i giganti
hanno ottenuto da soli.
Esemplare in questo senso è l'aver accettato nei fatti la richiesta padronale della restituzione della differenza tra l’inflazione prevista (IPCA) e quella effettiva.
Una novità senza precedenti, giustificata con la deflazione degli
ultimi 2-3 anni, che chiede a chi ha visto crollare il proprio potere
d'acquisto dopo vent'anni di “moderazione salariale” e sacrifici la
restituzione di quei miseri aumenti ancorati ad un'inflazione prevista
che per una volta si è dimostrata più alta di quella effettiva!
Accettare una richiesta così irricevibile chiaramente non era possibile
neanche per i più genuflessi tra i sindacati. Per questo in nessun
contratto si è arrivati ad una restituzione esplicita ma, che sia
attraverso il taglio di alcune voci (come nel caso dei chimici o dei
metalmeccanici) o attraverso altre modalità (orari allungati senza
straordinari, come accadrà per trasporti e commercio), quello che più
conta comunque è aver sdoganato la possibilità di questa restituzione. I
sindacati, anziché opporsi, hanno accettato questo piano di
ragionamento, impegnandosi nella ricerca di un indicatore più alto dello
zero attuale dell’inflazione ISTAT! Si dimostra così in maniera fin
troppo evidente l'impotenza di un sindacato che non osa più chiedere
aumenti salariali basati sui bisogni dei lavoratori, ma si prodiga a
giustificarli agganciandoli ad un indicatore condiviso con il padronato:
una vera scala mobile al contrario!
Più in generale questa tornata di rinnovi contrattuali si è retta sulla revisione e l'attacco al salario e all'orario di lavoro, sulla limitazione del diritto di sciopero e sull'introduzione del cosiddetto welfare aziendale.
Sul salario, oltre ai miseri aumenti (spesso anche nulli o negativi), l’altra tendenza egemone è quella di eliminare quote fisse di salario
(premi fissi, premi presenza, scatti anzianità) in cambio di premi
variabili incerti, non erogabili a tutti e sempre legati ad aumenti di
produttività. Il legame tra salario e produttività del singolo o dell’azienda è un grosso inganno.
Innanzitutto dal punto di vista analitico non si può basare il salario
sulla produttività aziendale, perché questa dipende anche dalla
produttività di altri settori e aziende (pensiamo, ad esempio, quanto
un'azienda ad alta intensità tecnologica si giovi di una scoperta
scientifica conseguita da gruppi di ricerca o da un'altra azienda). Ed
infatti alle aziende non interessa davvero ancorare il salario alla
produttività, bensì avere un’arma di ricatto per aumentare lo
sfruttamento sui lavoratori e gestire l’erogazione di quote sempre
maggiori in maniera differenziale per tenere il livello dei salari al di
sotto della produttività.
Inoltre rendere il salario così legato ai risultati raggiunti rischia di creare situazioni molto critiche
come ci ha recentemente mostrato lo “scandalo banche”:
un salario molto variabile crea situazioni ricattabilità che possono portare anche a condotte fraudolente
a danno di ignari clienti o utenti, e comunque molto spesso costituire
una fonte di enorme stress che danneggia la salute psico-fisica dei
lavoratori.
L'altro grande attacco riguarda il tempo di lavoro.
In tutti i contratti sono previsti aumenti di orario, abolizione dei festivi, abolizione dello straordinario: insomma un lavoro a chiamata dove
l’azienda scarica tutti i rischi della fluttuazione della domanda sul lavoratore.
Pensiamo al lavoro festivo equiparato ai giorni feriali nel commercio,
con l’obiettivo di obbligarci a lavorare in questi giorni e di non
pagare gli straordinari. Stesso obiettivo, non pagare gli straordinari,
si ottiene grazie al calcolo allungato dell’orario medio nei trasporti o
all’incentivo al
part time e all'aumento dei turni oltre i 18 nel metalmeccanico.
Il terzo elemento presente in tutti gli accordi è il
welfare aziendale.
A prima vista sembrerebbe positivo che le aziende garantiscano
prestazioni sanitarie e previdenziali ai propri lavoratori, ma in realtà
dietro a questa "generosità" si nascondono delle vere e proprie
trappole per i lavoratori e degli enormi vantaggi per le aziende.
In primis la diffusione del welfare aziendale prepara il terreno al definitivo smantellamento del settore pubblico
con conseguente riduzione del peso dello Stato sul costo del lavoro:
l'IRAP, abbassata da Renzi per favorire gli investimenti delle imprese,
serve proprio a pagare il servizio sanitario nazionale. Quindi meno
tasse per le imprese e meno servizi per i lavoratori.
In secondo
luogo questi investimenti in welfare aziendale saranno a costo zero per
le imprese perché da un lato il governo ha predisposto sgravi fiscali
nella passata Legge di Stabilità, dall'altro questi investimenti saranno
pagati direttamente dai lavoratori che in cambio
dovranno moderare le loro pretese salariali o rinunciare direttamente a
quote di salario: ad esempio i chimici otterranno 10 euro di
investimento in welfare in cambio dell’abolizione del pagamento di una festività.
Infine questo welfare aziendale diventa anche una fenomenale arma di ricatto verso il lavoratore perché a questo punto perdere il posto di lavoro non significa più soltanto perdere il salario ma anche il diritto all'assistenza sanitaria!
In cambio di tutti questi vantaggi le
imprese riconoscono ai sindacati firmatari la possibilità di cogestire i
fondi in cui confluiscono gli investimenti in welfare aziendale,
garantendo così la sopravvivenza alle burocrazie confederali. E' lo
stesso principio di autoconservazione per cui difendono il contratto
nazionale: per questo sono così interessati agli accordi sul welfare aziendale, fondamentali per riempire le loro casse.
Questi rinnovi capestro stabiliscono infine molte norme
di limitazione al diritto di sciopero, denominate “clausole di raffreddamento dei conflitti”, nel solco di un diritto già fortemente limitato dall’adesione al
Testo unico sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014 e che anticipa una
legge pronta a breve per limitare il diritto di sciopero in
maniera ancora più profonda di quanto già non accada per i servizi
pubblici. Non solo i servizi essenziali, ma anche i grandi eventi, i
beni culturali, il commercio e ora pure il settore chimico e quello
metalmeccanico; a questo punto
è evidente quale sia il servizio essenziale da tutelare: il profitto delle imprese.
Per tutelare questo interesse il padrone
diventa, come forse non è mai stato per tutto il novecento, l’unica
assoluta autorità in azienda: decide se promuovere, licenziare o
demnasionare; decide quale salario erogare al singolo lavoratore e per
quale orario di lavoro; impone quando si lavora e quando si riposa a sua
totale discrezione. In questa situazione qualunque proposta (tipo
quella della Fiom che non vorrebbe applicare il Jobs Act) rischia di
rimanere vana se sui luoghi di lavoro non si ricomincerà a costruire
rapporti di forza migliori attraverso una pratica sindacale realmente
conflittuale ed un’ organizzazione operaia trasversale ai singoli luoghi
di lavoro che riesca a mobilitarsi in maniera capillare ed unitaria in
risposta a qualsiasi attacco da parte dei padroni.. Il contratto collettivo nazionale ha grande valore solo se è un contratto minimo e inderogabile
che tutela i lavoratori delle piccole e piccolissime imprese che
faticherebbero a imporre rapporti di forza adeguati a contrattare da sé.
Ma deve essere appunto un minimo inderogabile, in modo che tuteli
questi e permetta invece a lavoratori che hanno rapporti di forza più
favorevoli di guadagnare migliori condizioni attraverso la
contrattazione di secondo livello. Al contrario invece qui si parla di
un contratto che stabilisce le condizioni standard, ma rendendole sempre
derogabili al ribasso. Ecco, di questa forma di contratto nazionale (per altro scarsissimo nei contenuti con aumenti di salario inesistenti e orari di lavoro sempre più lunghi) non ce ne facciamo nulla!