Articolo da Volere la luna
Alla vigilia della festa del lavoro, il
24 aprile, in un solo giorno, ci sono stati in Italia quattro morti sul
lavoro, uno a Livorno , due a Cuneo, uno a Ravello (Salerno). Si
chiamavano Vicenzo Langella di 51 anni, Daniele Racca di 44 anni, Nicola
Palumbe 54 anni, Renzo Corona di 65 anni.
Ora, come sempre, sarà avviata la solita
inchiesta, le solite verifiche da parte degli organismi preposti
(Ispettorato del lavoro, Inail, ASL) che quasi sicuramente diranno che
gli operai erano specializzati nel fare il loro lavoro, che forse le
aziende non applicavano le normative della sicurezza oppure che i
lavoratori sono morti per una serie di “fatalità” negative… Ma in realtà
quello che avviene è il frutto di scelte e responsabilità
imprenditoriali e politiche.
I dati INAIL dicono che nei primi tre
mesi del 2019 in Italia ci sono stati tre morti al giorno compresi i
sabati e le domeniche. La media dei morti sul lavoro è di 1.000 l’anno.
Nel 2018 gli “omicidi bianchi” sono cresciuti del 10 per cento, così
come le malattie professionali. Gli infortuni sono aumentati anche negli
anni della crisi, nonostante la crescita della disoccupazione e la
Cassa integrazione di centinaia di migliaia di lavoratori. I dati
continuano a evidenziare la drammaticità della mancata prevenzione.
Oltre agli omicidi bianchi essi segnalano oltre un milione di infortuni e
di malattie professionali. Ma, se si tiene conto delle morti per
patologie dovute alle esposizioni di sostanze tossiche presenti sul
lavoro, di quelle differite a seguito di infortunio, di quelle non
denunciate perché le vittime lavoravano in nero, i morti diventano ogni
anno molti di più, probabilmente oltre 4000. Una vera guerra!
Questi dati su morti e infortuni
mostrano che è in atto da molti anni una grande tragedia di cui non si
vede la fine. Anzi siamo in presenza di un ulteriore incremento di
infortuni e morti!
Ma allora cos’è che non va? Le cause fondamentali sono due.
Anzitutto le origini del “male” stanno
nel fatto che, a partire dagli anni Ottanta, le scelte dei datori di
lavoro per gestire le imprese si sono basate, tranne alcune lodevoli
eccezioni, sul risparmio dei costi del lavoro, compresi quelli della
prevenzione alla fonte e della formazione, informazione e addestramento
di chi lavora. Il secondo motivo sta nel fatto che c’è stata, da parte
degli ultimi governi, una continua rincorsa alla creazione di lavoro
precario, flessibile, frantumato, parcellizzato, senza prevenzione e
tutele. Si è partiti nel 2003 con la legge Biagi, varata dal Governo
Berlusconi (con il leghista Maroni al Ministero del lavoro), che ha
portato alla definizione di ben 46 forme di lavoro precario e senza
diritti. Sempre Berlusconi, nel 2011, ha eliminato molte leggi in
materia di sicurezza, soprattutto tramite la depenalizzazione del
relativo testo unico, così che i datori di lavoro che non fanno
prevenzione non rischiano più il carcere ma solo una multa. La rincorsa
alla riduzione dei costi del lavoro e della sicurezza è proseguita con
il Governo Renzi mediante il Jobs Act che ha ulteriormente aggravato la
situazione perché, con l’abolizione dell’art. 18 per i nuovi assunti,
sempre più spesso i lavoratori sono costretti, per evitare il
licenziamento, a lavorare in condizioni di minor sicurezza o addirittura
a denunciare come malattie le patologie da infortuni. Infine un che di
negativo, anche se in quantità minore, è stato aggiunto dal Governo
gialloverde che ha indebolito la prevenzione e la sicurezza nei luoghi
di lavoro diminuendo di circa il 16 per cento i contributi assicurativi
per l’Inail a carico delle imprese, così togliendo all’Istituto oltre
1,5 miliardi di euro in 3 anni e facendogli mancare le risorse
necessarie all’attività di formazione, prevenzione e sicurezza dei
lavoratori.
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Fonte: Volere la luna
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Licenza: Creative Commons (non specificata la versione)
Articolo tratto interamente da Volere la luna
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