venerdì 26 aprile 2019

L’epopea del Ragno nero


Articolo da Sport popolare

Ai tempi dei miliardi di Cr7 e Messi, dei calciatori dal selfie facile e dai tweet bollenti, delle modelle e delle serate in discoteca, la storia di Lev Jašin rischia di abbagliare come un faro nella notte. E non solo perché appartiene a un’epoca lontana che si tinge di contorni mitologici e si confonde fra realtà e leggenda, risvegliando un certo bisogno di “epica” sportiva, ma perché dimostra quanto il calcio possa essere – non solo business e spettacolo – una solida bussola capace di regalare modelli positivi di vita, oltreché far sognare una folta schiera di appassionati.

Per i nati nella seconda metà del Novecento, alla domanda su chi sia stato il miglior portiere di tutti i tempi, la risposta è sempre univoca e scontata: Lev Jašin.

Il portiere sovietico è stato unanimemente riconosciuto come l’estremo difensore più forte della storia, baluardo fra i pali della nazionale sovietica e bandiera della Dynamo Mosca per tutti gli anni ’50 e ’60, ma anche vero e proprio eroe del popolo, secondo per fama solo al cosmonauta Jurij Gagarin, autentico emblema dell’uomo nuovo sovietico.

L’epopea del Ragno nero – questo il soprannome di Lev Ivanovič Jašin – è raccontata con intelligenza da Mario Alessandro Curletto e Romano Lupi in Jašin. Vita di un portiere, uscito per Il Melangolo nel 2014.

Un libro da divorare in un solo boccone, mai pesante, veloce, facile da leggere, che non scade mai nel feticcio del “particolarismo”, “delle piccole cose” ma piuttosto racconta in maniera leggera la vita del più grande numero uno della storia del calcio.

Dall’infanzia in fabbrica durante la guerra mondiale, all’esordio come centravanti, passando per l’esperienza come portiere di hockey – vincitore persino di un campionato sovietico nel 1953 – alla definitiva consacrazione come numero uno della nazionale sovietica, tutto in un denso riassunto della vita sportiva del Ragno nero.

Un uomo pienamente radicato in quella che si potrebbe chiamare essenza dei tempi, perfettamente cosciente del suo ruolo, come ricordano puntualmente Curletto e Lupi: “Jašin, figlio del suo tempo, come da adolescente aveva svolto in fabbrica, al massimo delle proprie possibilità, le mansioni di tornitore, così si comportava nello sport, avvertendo un ulteriore senso di responsabilità nel mantenere alto, non tanto il proprio prestigio di personaggio pubblico, quanto l’onore della propria società e della propria patria”.


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Fonte: 
Sport popolare 



Articolo tratto interamente da 
Sport popolare





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