Articolo da La Tigre di Carta
Marcello Mastroianni è stato l’unico vero divo del cinema italiano.
Non che la gloriosa stagione compresa tra il Neorealismo e l’esplosione
della Commedia all’Italiana non ci abbia dato grandi attori di caratura
internazionale: Gassman Tognazzi, Volonté… per fare solo pochi nomi tra i
più famosi e fra i più richiesti anche da altre cinematografie: dal
cinema francese, da Hollywood, ma non solo. Unicamente Marcello
Mastroianni, però, tra tutti questi, è stato al contempo un grande
interprete e un sex symbol, tanto da essere considerato l’erede di Rodolfo Valentino.
Ma il successo non ha arriso a Marcello grazie alla fortuna di un bel
volto e alla sua aria da bambinone (che inteneriva il gentil sesso) o
alla sua naturale eleganza. Di attori belli non ne mancano mai al
cinema. Guardando alla sua storia, invece, Marcello sembra essere
arrivato al successo grazie alla pazienza e alla flemma di chi fa le
cose per bene, passo dopo passo. La sua gloria non è stata dunque
questione di mero sex-appeal o di fortuna o, altrimenti, la sua
fortuna era dovuta alla capacità di addensare in sé un certo spirito
italiano del dopoguerra.
L’Italia di quegli anni è quella del miracolo economico. C’era da
ricostruire un paese distrutto e piegato che, fino a pochi anni prima,
si immaginava potenza mondiale. La dura lezione venuta dal Fascismo,
tutto proclami e tutto disastri (“Vincere e vinceremo!”) aveva indotto
gli italiani a voltare pagina, ovvero, soprattutto, a cambiare metodo.
Meno chiacchiere o distintivi e più fatti. Era un’Italia fermamente
convinta della virtù della modestia. Una modestia però ambiziosa.
L’Italia esprimeva una capacità di progettare la speranza o di sognare
che si univa alla capacità di mantenersi umili, per essere in grado di
rendere concreti quei sogni e quelle speranze. Era un’Italia modesta ma
determinata e Mastroianni, attraverso i suoi personaggi, ha saputo
catturarne le sfumature e le complessità. L’italiano quando vedeva
Marcello sullo schermo vedeva se stesso, o almeno, il se stesso che
immaginava di essere o poter essere.
La spontanea eleganza di Mastroianni, pari solo a quella di un altro grande attore e sex symbol
britannico, anche lui di umili origini, Cary Grant, derivava da questa
sua capacità di aderire al contempo a se stesso e al sentimento
prevalente fra gli italiani comuni. Nessun uomo semplice negli anni
Cinquanta e Sessanta poteva permettersi di apparire sciatto, mal
vestito, indifferente a una bella donna, oppure a un bolide. Sarebbe
apparso eccentrico, lunare e quindi inaffidabile, prima ancora che un
poveraccio. La passione di Marcello per le auto, per gli abiti tagliati
su misura, il suo apparire sui rotocalchi, da un certo momento in poi
come seduttore, non si manifestavano agli occhi dei più come pretese
boriose, capricci d’artista, privilegi, ma l’espressione ordinaria di
gusti e desideri diffusi nell’italiano comune. Anche in questo
Mastroianni è stato un personaggio popolare, da intendersi nella doppia
accezione del termine: famoso e del popolo.
Quella di Marcello non è, dunque, la storia di un volto italiano che
ha semplicemente ben rappresentato il carattere moderno degli italiani,
ma è stata in primo luogo la storia di un uomo, come tanti in Italia,
che aveva scelto di fare un cambio di passo e lasciarsi alle spalle il
Fascismo, di indossare una nuova pelle: quella del pragmatismo e della
modestia.
Dopo le prime precocissime esperienze come comparsa e dopo aver
assillato inutilmente VIttorio De Sica (“Studia! studia!”), conosciuto
grazie all’amicizia della madre con la sorella del regista, Mastroianni,
che già lavorava dopo il diploma da geometra, decide di iscriversi a
Economia e Commercio solo per frequentare il Centro Universitario
Teatrale della facoltà. Qui conosce Giulietta Masina e, specialmente,
viene notato da un impresario che lo presenta a Visconti. Il regista lo
sottoporrà a una severa scuola, a un training sul campo, ma lo formerà
così bene da permettergli di interpretare con sicurezza il ruolo di
Mitch in Un tram chiamato desiderio. È il 1949 e siamo ancora
nel primo dopoguerra. Nel frattempo Marcello fa girare le sue foto tra i
produttori cinematografici e, gradualmente, viene chiamato sempre più
spesso per piccoli ruoli a Cinecittà. Di giorno fa l’attore al
cinematografo e la sera lavora in teatro. Sui palcoscenici conosce anche
una collega attrice che diventerà sua moglie, Flora Carabella.
Il cinema italiano è però ormai in ascesa e non sembra volerselo
lasciar sfuggire. Sono di questo periodo le prime parti in film corali
di Luciano Emmer, come Domenica di Agosto o Le ragazze di piazza di Spagna.
Film in cui interpreta il ruolo del fidanzato, dell’innamorato. Proprio
uno di questi ruoli gli darà le prime grandi soddisfazioni e la prima
notorietà: Peccato che sia una canaglia.
Nel giro di una decina di anni di carriera passa da l’interpretare i
ruoli del tipico bravo ragazzo italiano, ingenuo e buono, quello che
tutti vorrebbero per fidanzato della figlia, fino a che poi Fellini lo
consacra in un ruolo che ne farà agli occhi del mondo esattamente
l’opposto: quello de il decadente giornalista de La Dolce Vita. Da quel momento gli occhi e le labbra del seduttore, del latin lover
italiano, nell’immaginario internazionale a cavallo tra gli anni
Sessanta e Settanta del secolo scorso, saranno gli occhi e le labbra di
Marcello.
Gli occhi e le labbra del sex-symbol italiano, ma anche il
nome italiano per eccellenza. «Marcello…come here!», gridava Anita
Ekberg dalla fontana di Trevi. La Dolce vita fa risuonare quel nome in
tutto il mondo e ancora oggi la sua eco riverbera. Basti pensare a una
delle serie americane più in voga di questi tempi sulle piattaforme on
line: Emily in Paris. La protagonista della serie, giovane
americana che si trova catapultata nella scafatissima Parigi, dopo vari
flirt si innamora di un rampollo della moda italiano che si chiama,
guarda il caso, Marcello.
Paradossalmente la fama Marcello Mastroianni ha però sempre provato a
scansarla. Si pensi ai tanti rifiuti fatti ad Hollywood. Pigrizia,
diceva lui schermendosi; ma il punto è che la fama di latin lover
era il solo motivo per cui lo cercavano da oltreoceano e questo pareva
offenderlo. L’idea di essere una specie di Casanova gli pareva ridicola,
lui la considerava quasi un’infamia. In una bellissima intervista per
la TV francese Marcello si diverte a distruggere, davanti a una
divertita Sophia Loren, l’immagine del grande amatore, descrivendo se
stesso come un pessimo amante, veloce e poco appassionato. Le sue
avventure extraconiugali e le storie d’amore brevi ma burrascose con
Faye Dunaway e Catherine Deneuve lo smentivano nei fatti. Tuttavia in
questo desiderio di Mastroianni di negare la sua seduttività c’era un
fondo di sincerità e, ancora una volta, una aderenza al carattere
italiano di allora. Sebbene gli si attribuissero molte donne, molti
flirt, anche quando c’era qualcosa di vero era altrettanto vero che
Marcello tornava sempre a casa dalla moglie. Tanto che le sue storie con
Dunaway e Deneuve finiscono proprio perché lui non vuole divorziare.
Al di là di ogni ipocrisia il fastidio per la fama di latin lover
nasconde una preoccupazione sincera. A Mastroianni, fin da subito,
l’idea di essere ridotto al ruolo di seduttore pare una trappola. Il
successo del film di Fellini nasconde un pericolo: quello della
sclerotizzazione in un ruolo definito. Marcello ha ben chiaro di voler
essere un attore, non lo stereotipo di un personaggio. Un attore deve
saper essere tante voci e volti, deve poter giocare in tanti ruoli. Così
dopo la Dolce Vita corre a girare Il bell’Antonio, la
storia di un uomo avvenente ma impotente. Non servirà a cancellare
l’immagine dello sciupafemmine, tanto che, un Mastroianni più maturo, ci
dovrà riprovare a scrollarsi di dosso questo stereotipo, indossando i
panni del professore omossessuale di Una giornata particolare.
Anche se, in un certo senso, Mastroianni non poteva che fallire nel
suo scopo di dare volto a una miriade di personaggi differenti: la sua
interpretazione è così naturale che si finisce per avere l’impressione, a
volte anche fastidiosa, di guardare Marcello Mastroianni e non un
personaggio interpretato da Marcello Mastroianni.
La commedia all’italiana prevede e ha sempre previsto la caricatura e
il grottesco. Alcuni aspetti dei personaggi dovevano essere
ingigantiti, portati all’estremo, perché la satira funzionasse. Molti
attori italiani hanno saputo deformare i singoli aspetti e difetti
dell’italianità in maniera anche più precisa di Mastroianni. Si pensi a
Sordi con i suoi italiani sordidi e codini, a Manfredi, con i suoi
italiani ironici e vittimisti, a Tognazzi con i suoi italiani stralunati
e geniali, a Gassman con i suoi italiani astuti e arroganti, a Volontè
con suoi italiani spietati e ribelli. Mastroianni è però riuscito a
superare tutti in complessità e anche in efficacia. È riuscito ad essere
l’italiano sordido, codino, astuto, arrogante, ironico, geniale,
vittimista, stralunato, ribelle, ma allo stesso tempo, è stato solo e
semplicemente se stesso. Riusciva a interpretare alla perfezione i
personaggi lasciandoli aderire a sé. Perché il metodo attoriale di
Mastroianni era ben lontano da essere un metodo vero e proprio. Per lui
non si trattava mai di entrare nel personaggio, di annullarsi per
diventare altro da sé. Lui i personaggi non li studiava al microscopio,
li assorbiva; appunto si può dire che Marcello non interpretava che se
stesso.
Così è paradossale, ma significativo del talento di Marcello, che i
ruoli per cui Marcello è diventato famoso sembrano essere quelli più
distanti dall’uomo Mastroianni, ovvero i ruoli del personaggio borghese,
dell’intellettuale tormentato, insomma quelli in cui Marcello si fa alter ego di Fellini (La dolce vita, Otto e mezzo) oppure di Antonioni o di Scola (La notte, Una giornata particolare).
Al contrario i ruoli in cui Mastroianni gioca l’italiano comune con le
sua umanità complessa, piena di contraddizzioni giustificate dalle
circostanze, con la sue miserie e le sue grandezze appaino oggi
dimenticati: il piccolo impiegato de le Notti bianche, il venditore fanfarone di Un ettaro di cielo, il carrettiere antifascista di Cronache di poveri amanti.
Proprio per questo vale la pena provare a riscoprire Marcello
Mastroianni attraverso dieci film, o meglio cinque coppie di film
complementari, che restituiscano la complessità del suo talento, al di
là dei grandi film (Marcello non ha quasi sbagliato nessuno) per cui
tutti, giustamente, lo ricordiamo e lo abbiamo amato.
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Autore: Amedeo Liberti
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Articolo tratto interamente da La Tigre di Carta