domenica 29 gennaio 2023

L'ipocrisia



"L'ipocrisia non è inganno e la duplicità dell'ipocrita è diversa dalla duplicità del bugiardo e del truffatore. L'ipocrita, come dice la parola (in greco significa “attore teatrale”), quando falsamente pretende di esser virtuoso recita una parte, non meno coerentemente dell'attore sul palcoscenico, che deve anch'egli identificarsi col suo ruolo per rappresentare il lavoro teatrale; non vi è un alter ego davanti al quale egli potrebbe apparire nella sua vera forma, almeno non finché rimane sulla scena. La sua duplicità ricade dunque su di lui ed egli è vittima della sua menzogna non meno di quelli ch'egli vuole ingannare."

Hannah Arendt


Io sono un uomo sincero di Josè Martì



Io sono un uomo sincero

Io sono un uomo sincero
di dove cresce la palma
e prima di morire vorrei
trarre i miei versi dall’anima.

Io vengo da ogni parte
e in ogni luogo vado,
sono arte tra le arti
e monte tra le montagne.

Io conosco i nomi strani
delle erbe e dei fiori
e gli inganni dei mortali
e i sublimi dolori.

Ho visto nella notte scura
piovere sopra il mio capo
raggi di luce pura
di divina bellezza

Le ali ho visto nascere
sulle spalle di donne belle
e salire dalle macerie
volando le farfalle.

Ho visto vivere un uomo
con un pugnale al costato
che non ha mai detto il nome
di colei che lo ha ammazzato.

Rapida come un riflesso
due volte ho visto l’anima, due:
quando è morto mio padre
e quando lei mi ha detto addio.

Ho tremato una volta al cancello
all’entrata della vigna
quando una perfida ape
punse la fronte di mia figlia

Ho gioito una volta della sorte
che mi fece felice, vedendo
che la sentenza della mia morte
il sindaco la leggeva piangendo.

Odo un sospiro che attraversa
la terra il mare, ma
non è un sospiro, è che
mio figlio si sta per svegliare.

Se mi dicono “Dal gioielliere
scegli il miglior gioiello”
io scelgo un amico sincero
e metto a lato l’amore.

Ho visto un’aquila ferita
volare nell’azzurro sereno
e morire nella sua tana
la vipera col suo veleno

So bene che quando il mondo
cede livido al riposo
sopra il silenzio profondo
mormora il ruscello sinuoso.

Ho messo la mano audace,
dall’orrore e dal giubilo vinta,
su quella stella già spenta
che cadde davanti alla porta.

Nel mio petto coraggioso occulto
la pena che mi ferisce,
figlio di un popolo schiavo
vive per lui e zitto perisce.

Tutto è bello e costante,
tutto è musica e ragione
e tutto è come il diamante:
prima che luce è carbone.

Io so che lo sciocco si interra
con gran lusso e gran pianto.
che non c’è frutta sulla terra
come quella del camposanto.

Taccio e capisco e mi tolgo
la pompa del rimatore
e appendo all’albero marcio
il mio camice da dottore.

Josè Martì 

I soldi per le guerre ci sono sempre, mentre muore un bambino ogni 4 secondi e mezzo nel mondo



Articolo da Valori

Nel 2021, secondo le Nazioni Unite, è morto un bambino ogni 4,4 secondi. Per un totale di nove milioni di decessi nella fascia d’età che comprende i nati morti, ma anche i giovani fino a 24 anni. La causa principale è la scarsa qualità delle cure di base o la loro totale mancanza. E la pandemia, anche indirettamente, ha peggiorato le cose. Inoltre, sempre secondo le Nazioni Unite, nel 2023 i bisogni umanitari raggiungeranno livelli record e riguarderanno ben 339 milioni di persone contro i 274 dell’anno scorso. Saranno necessari più di 51 miliardi di dollari di aiuti.

Morto un bambino ogni 4 secondi e mezzo

Solo nel 2021 sono morti cinque milioni bambini con meno di cinque anni e più di due milioni nella fascia 5-24 anni. A questi si aggiungono quasi due milioni di nati morti, per una cifra complessiva intorno ai nove milioni. Nella maggior parte dei casi si tratta di morti che potevano essere evitate con l’accesso a cure di qualità. Ne è la dimostrazione il fatto che negli ultimi vent’anni queste cifre sono diminuite sensibilmente (i decessi nella fascia d’età 0-5 anni addirittura del 50%). E questo è stato il risultato degli investimenti fatti per migliorare l’assistenza sanitaria di base

L’obiettivo 3.8 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile è proprio quello di «conseguire una copertura sanitaria universale, compresa la protezione da rischi finanziari, l’accesso ai servizi essenziali di assistenza sanitaria di qualità e l’accesso sicuro, efficace, di qualità e a prezzi accessibili a medicinali di base e vaccini per tutti».

Ma dal 2010 i progressi sono rallentati e continuando così si stima che saranno 59 milioni i bambini e i giovani (0-24 anni) che moriranno entro il 2030. E 16 milioni i nati morti. Il motivo principale? Esser venuti alla luce in un posto in cui non è garantito l’accesso a cure di qualità. Non dimentichiamoci che il luogo in cui si nasce è solo una questione di fortuna. E impensabile, nel Terzo millennio, che da questo dipenda ancora la possibilità di sopravvivere di un bambino.

I posti più sfortunati e le principali cause di morte

I luoghi peggiori in cui nascere sono l’Africa subsahariana e l’Asia meridionale. È qui che, nel 2021, si è concentrato il 77% dei nati morti. Ma l’Africa subsahariana è anche la regione, in generale, con il più alto rischio di morte al mondo. Quindici volte quello osservato in Europa e Nord America. E infatti lì sono avvenute il 29% delle nuove nascite, ma ben il 56% delle morti di bambini con età inferiore ai 5 anni.

Dato che tra le principali cause di morte figurano prematurità e complicazioni durante il parto, la maggior parte di queste morti potrebbe essere evitata se le donne avessero accesso a cure di qualità sia durante la gravidanza che al momento del parto. Per questo si dimostrano necessari costanti e ingenti investimenti per l’assistenza sanitaria di base.

Un’altra causa importante di morte dopo i primi 28 giorni di vita sono le malattie infettive come polmonite, diarrea e malaria. Il Covid, invece, non ha aumentato direttamente la mortalità, ma indirettamente ha aggravato la situazione.

 La pandemia, infatti, ha ostacolato la fornitura di servizi di nutrizione e l’accesso a quella (seppur poca) assistenza sanitaria disponibile. Oltre ad aver rallentato le vaccinazioni dei bambini contro le malattie infettive. Vaccinazioni che hanno, per questo, registrato il più forte calo degli ultimi trent’anni.

Nel 2023 bisogni umanitari a livelli record

Già lo scorso anno il numero di persone bisognose di assistenza umanitaria era aumentato del 17%, arrivando a 274 milioni. Quest’anno è cresciuto ancora, raggiungendo i 339 milioni (più del doppio rispetto a cinque anni fa). Più della popolazione degli Stati Uniti. In pratica, una persona su 23 ha bisogno di assistenza d’emergenza per sopravvivere.

Il motivo è il peggioramento di una serie di condizioni critiche. Come la fame, che negli ultimi quattro anni è cresciuta a livello globale. E che è responsabile dei due terzi del totale di rifugiati e richiedenti asilo. Nel 2023, ben 222 milioni di persone in 53 Paesi non sapranno se e quando consumeranno un altro pasto. E 45 milioni di persone in 37 Stati rischiano di morire di fame. Un milione solamente in Afghanistan, Etiopia, Haiti, Somalia, Sud Sudan e Yemen.

Anche la povertà è aumentata. Tanto che l’obiettivo di sconfiggere la povertà estrema entro il 2030 non è più raggiungibile, soprattutto considerando che il numero di persone in questa situazione è lievitato di 90 milioni. In più, dato che le donne sono quelle più colpite da povertà e fame, si è allontanato anche il raggiungimento della parità di genere. Per la quale saranno necessari più di 130 anni, ben quattro generazioni, ai ritmi attuali.

Le cause principali? Conflitti, cambiamenti climatici, pandemia

Le guerre sono da sempre uno dei motivi principali. Semmai, la differenza, è che ospedali e scuole vengono presi di mira più di prima (così come gli operatori umanitari). Ma l’anno scorso, ai conflitti prolungati che vanno avanti da anni – come quelli in Siria e in Yemen – si è aggiunta la guerra in Ucraina. Che, oltre ad uccidere e devastare, ha diminuito il numero di persone con accesso ad acqua ed elettricità. Causando forse il più grande numero di sfollati dai tempi della Seconda guerra mondiale.

Non meno importanti sono i cambiamenti climatici. E i Paesi in via di sviluppo – che sono quelli che vi hanno contribuito di meno – sono quelli che ne pagano le conseguenze maggiori. Ne sono una dimostrazione le inondazioni che hanno devastato Nigeria e Pakistan. Tra l’altro, disastri ed eventi climatici estremi – come siccità ed alluvioni – sono responsabili per la maggior parte delle migrazioni forzate.

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Fonte: Valori


Autore: 
Alessandro Longo


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Articolo tratto interamente da 
Valori


Val d'Aran

El Valle de Aran - DRONE REEL 2022 from Carlos AUTOR on Vimeo.

Photo e video credit Carlos AUTOR caricato su Vimeo - licenza: Creative Commons 


Colorado, Nevada, Utah

Colorado, Nevada, Utah from Brian on Vimeo.

Photo e video credit Brian caricato su Vimeo - licenza: Creative Commons 


L'uomo e la natura



"L'uomo è stato dotato della ragione e del potere di creare, così che egli potesse aggiungere del suo a quanto gli è stato donato. Ma finora egli non ha mai agito da creatore, ma soltanto da distruttore. Rade al suolo le foreste, prosciuga i fiumi, estingue la flora e la fauna selvatica, altera il clima e abbruttisce la terra ogni giorno di più."

Anton Čechov


Proverbio del giorno

 

Se i giorni della merla sono freddi, la primavera sarà bella; se sono caldi, la primavera arriverà in ritardo.



sabato 28 gennaio 2023

Cara maestra...


"Cara maestra, un giorno m'insegnavi che a questo mondo noi siamo tutti uguali, ma quando entrava in classe il direttore tu ci facevi alzare tutti in piedi, e quando entrava in classe il bidello ci permettevi di restar seduti."

Luigi Tenco



 

Sono stati i lavoratori che ci hanno portato la democrazia, e saranno le persone che stabiliranno una democrazia ancora più profonda



Articolo da Tricontinental: Institute for Social Research

Questo articolo è stato tradotto automaticamente. La traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su Tricontinental: Institute for Social Research

Cari amici,

Saluti dal desk di Tricontinental: Istituto per la Ricerca Sociale.

La democrazia ha un carattere onirico. Si diffonde nel mondo, portato avanti da un immenso desiderio degli esseri umani di superare le barriere dell'umiliazione e della sofferenza sociale. Di fronte alla fame o alla morte dei loro figli, le comunità precedenti avrebbero potuto incolpare di riflesso la natura o la divinità, e in effetti quelle spiegazioni rimangono con noi oggi. Ma la capacità degli esseri umani di generare enormi eccedenze attraverso la produzione sociale, insieme alla crudeltà della classe capitalista nel negare alla stragrande maggioranza dell'umanità l'accesso a tale eccedenza, genera nuovi tipi di idee e nuove frustrazioni. Questa frustrazione, stimolata dalla consapevolezza dell'abbondanza in una realtà di privazione, è la fonte di molti movimenti per la democrazia.

Le abitudini del pensiero coloniale inducono molti a ritenere che la democrazia abbia avuto origine in Europa, o nell'antica Grecia (che ci dà la parola "democrazia" da demos , "il popolo", e kratos, "governo") o attraverso l'emergere di una tradizione di diritti , dalla Petition of Right inglese del 1628 alla Dichiarazione francese dei diritti dell'uomo e del cittadino nel 1789. Ma questa è in parte una fantasia retrospettiva dell'Europa coloniale, che si è appropriata dell'antica Grecia, ignorando i suoi forti legami con il Nord Africa e il Medio Oriente, e ha usato il suo potere per infliggere inferiorità intellettuale a vaste parti del mondo. In tal modo, l'Europa coloniale ha negato questi importanti contributi alla storia del cambiamento democratico. Le lotte spesso dimenticate delle persone per stabilire la dignità fondamentale contro le gerarchie spregevoli sono tanto gli autori della democrazia quanto coloro che hanno conservato le loro aspirazioni nei testi scritti ancora celebrati nel nostro tempo.

Nel corso della seconda metà del Novecento si sviluppò una serie di lotte contro i regimi dittatoriali del Terzo Mondo, messe in atto dalle oligarchie anticomuniste e dai loro alleati in Occidente. Questi regimi sono nati da colpi di stato (come in Brasile, Filippine e Turchia) e hanno avuto la libertà di mantenere le gerarchie legali (come in Sud Africa). Le grandi manifestazioni di massa che sono state al centro di queste lotte sono state costruite attraverso una serie di forze politiche, inclusi i sindacati, un lato della storia che viene spesso ignorato. Il crescente movimento sindacale in Turchia è stato, infatti, uno dei motivi dei colpi di stato militari del 1971 e del 1980. Sapendo che la loro presa sul potere era vulnerabile alle lotte della classe operaia, entrambi i governi militari hanno vietato i sindacati e gli scioperi. Questa minaccia al loro potere era stata evidenziata, in particolare, da una serie di scioperi in tutta l'Anatolia sviluppati da sindacati legati alla Confederazione dei sindacati progressisti (DISK), inclusa una massiccia manifestazione di due giorni a Istanbul nota come il 15-16 giugno Eventi che hanno coinvolto 100.000 lavoratori. La confederazione, istituita nel febbraio 1967, era più militante di quella esistente (Türk İş), divenuta collaboratrice con il capitale. Non solo i militari si sono mossi contro i governi socialisti e non socialisti allo stesso modo che hanno tentato di esercitare la sovranità e migliorare la dignità dei loro popoli (come in Congo nel 1961, Brasile nel 1964, Indonesia nel 1965, Ghana nel 1966 e Cile nel 1973 ), ma si sono anche spostati fuori dalle caserme – con il via libera da Washington – per sedare il ciclo di scioperi e proteste operaie.

Una volta al potere, questi disgraziati regimi, vestiti con le loro uniformi kaki e i migliori abiti di seta, hanno attuato politiche di austerità e represso ogni movimento della classe operaia e dei contadini. Ma non potevano spezzare lo spirito umano. In gran parte del mondo (come in Brasile, Filippine e Sud Africa), sono stati i sindacati a sparare il primo colpo contro la barbarie. Il grido nelle Filippine 'Tama Na! Sobra Na! Welga Na!' ("Ne abbiamo avuto abbastanza! Le cose sono andate troppo oltre! È ora di scioperare!") è passato dai lavoratori della distilleria La Tondeña nel 1975 alle proteste nelle strade contro la dittatura di Ferdinand Marcos, culminando infine nella People Power Revolution del 1986. In Brasile, i lavoratori dell'industria hanno paralizzato il paese con azioni a Santo André, São Bernardo do Campo, e São Caetano do Sul (città industriali nella grande San Paolo) dal 1978 al 1981, guidate da Luiz Inácio Lula da Silva (ora presidente del Brasile). Queste azioni hanno ispirato i lavoratori e i contadini del paese, aumentando la loro fiducia per resistere alla giunta militare, che è crollata di conseguenza nel 1985.

Cinquant'anni fa, nel gennaio 1973, i lavoratori di Durban, in Sudafrica, scioperarono per un aumento di stipendio, ma anche per la loro dignità. Si sono svegliati alle 3 del mattino del 9 gennaio e hanno marciato verso uno stadio di calcio, dove hanno cantato "Ufil" umuntu, ufile usadikiza, wamthint "esweni, esweni usadikiza" ("Una persona è morta, ma il suo spirito vive; se colpisci l'iride del loro occhio, si animano ancora'). Questi lavoratori hanno aperto la strada contro forme di dominio radicate che non solo li hanno sfruttati, ma hanno anche oppresso il popolo nel suo insieme. Si sono opposti alle dure condizioni di lavoro e hanno ricordato al governo dell'apartheid sudafricano che non si sarebbero seduti di nuovo fino a quando le linee di classe e le linee di colore non fossero state infrante. Gli scioperi aprirono un nuovo periodo di militanza urbana che presto si spostò dalle fabbriche alla società più ampia. Un anno dopo, Sam Mhlongo, un medico che era stato imprigionato a Robben Island da adolescente, ha osservato che "questo attacco, sebbene risolto, ha avuto un effetto detonatore". Il testimone è passato ai bambini di Soweto nel 1976.

Da Tricontinental: Institute for Social Research e Chris Hani Institute arriva un testo memorabile, The 1973 Durban Strikes: Building Popular Democratic Power in South Africa (dossier n. 60, gennaio 2023). È memorabile in due sensi: recupera una storia quasi perduta del ruolo della classe operaia nella lotta contro l'apartheid, in particolare la classe operaia nera, la cui lotta ha avuto un effetto "detonatore" sulla società. Il dossier, splendidamente scritto dai nostri colleghi di Johannesburg, rende difficile dimenticare questi lavoratori e ancora più difficile dimenticare che la classe operaia – ancora così profondamente emarginata in Sudafrica – merita rispetto e una quota maggiore della ricchezza sociale del Paese. Hanno spezzato la schiena all'apartheid ma non hanno beneficiato dei propri sacrifici.

Il Chris Hani Institute è stato fondato nel 2003 dal Partito Comunista Sudafricano e dal Congresso dei sindacati sudafricani. Chris Hani (1942-1993) è stato uno dei più grandi combattenti per la libertà del Sud Africa, un comunista che avrebbe avuto un impatto ancora maggiore se non fosse stato assassinato alla fine dell'apartheid. Siamo grati al dottor Sithembiso Bhengu, direttore del Chris Hani Institute, per questa collaborazione e attendo con impazienza il lavoro che ci attende.

Mentre questo dossier andava in stampa, abbiamo appreso che il nostro amico Thulani Maseko (1970–2023), presidente del Multi-Stakeholder Forum nello Swaziland, è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco davanti alla sua famiglia il 21 gennaio. È stato uno dei leader della lotta per portare la democrazia nel suo Paese, dove i lavoratori sono in prima linea nella battaglia per porre fine alla monarchia.

Quando ho riletto il nostro ultimo dossier, The 1973 Durban Strikes , per prepararmi a questa newsletter, stavo ascoltando "Stimela" ("Coal Train") di Hugh Masekela, la canzone del 1974 dei lavoratori migranti che viaggiano sul treno del carbone per lavorare "in profondità, profondo, profondo nel ventre della terra' per far emergere ricchezza per il capitale dell'apartheid. Ho pensato ai lavoratori dell'industria di Durban con il suono del fischio del treno di Masekela nell'orecchio, ricordando il lungo poema di Mongane Wally Serote, Third World Express , un tributo ai lavoratori dell'Africa meridionale e alle loro lotte per stabilire una società umana.

– è quel vento
è quella voce che ronza
è sussurra e fischia nei fili
miglia e miglia e miglia
sui cavi nel vento
nel binario della metropolitana
nella strada ondulata
nella boscaglia non silenziosa
è la voce del rumore
qui arriva
il Third World Express
devono dire, ci risiamo.

«Ci ​​risiamo», scriveva Serote, come a dire che nuove contraddizioni producono nuovi momenti di lotta. La fine di un ordine schiacciante - l'apartheid - non ha posto fine alla lotta di classe, che si è solo approfondita mentre il Sudafrica attraversava crisi dopo crisi. Sono stati i lavoratori a portarci questa democrazia, e saranno i lavoratori che lotteranno per stabilire una democrazia ancora più profonda. Ci risiamo.

Calorosamente,

Vijay




Autore: redazione Tricontinental: Institute for Social Research


Licenza: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.


Articolo tratto interamente da Tricontinental: Institute for Social Research



Immagine del giorno

A Walk at Sunrise

Una passeggiata all'alba

Photo credit Drew de F Fawkes caricata su Flickr - licenza foto: Creative Commons


La maggioranza degli italiani è contraria all'aumento della spesa militare



Articolo da Greenpeace Italia

Investire nella transizione energetica, fermare la corsa al riarmo, tassare gli extra profitti delle aziende fossili e dell’industria militare. Nella fotografia scattata dal 11 al 16 gennaio dal sondaggio che abbiamo commissionato a SWG, i cui risultati diffondiamo poche ore dopo la presentazione delle linee programmatiche del ministro della Difesa Crosetto, italiane e italiani dimostrano di avere le idee chiare sulla direzione da percorrere: verso un futuro con meno armi, verde e di Pace.

La maggioranza degli italiani si schiera infatti contro l’aumento della spesa militare: il 55 per cento degli intervistati boccia la proposta del governo di portare il budget della Difesa al 2 per cento del Pil entro il 2028. Solo il 23 per cento è favorevole ad aumentare la spesa militare.

Il 53 per cento delle persone intervistate ritiene che “alla luce dell’attuale situazione internazionale politica ed energetica” l’Italia debba investire “esclusivamente” (27%) o “in gran parte” (26%) nella transizione energetica. Solo il 22 per cento ritiene che il Paese debba puntare “in egual misura tra fonti fossili e transizione energetica”. Marginali le percentuali di chi vuole che l’Italia investa “in gran parte” (6%) o “esclusivamente” (3%) nelle fonti fossili.

Maggioranza schiacciante anche sulla proposta di tassare al 100 per cento gli extra profitti delle aziende del gas e del petrolio e utilizzare il ricavato per contrastare il caro bollette (80%) e investire in energie rinnovabili (76%)

Più di due italiani su tre (69%), inoltre, vorrebbero tassare anche gli extra profitti delle aziende della difesa. Solo il 12 per cento è contrario.

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Fonte: Greenpeace Italia 

Autore: Greenpeace

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Articolo tratto interamente da Greenpeace Italia


Hubble osserva un buco nero che fa a pezzi una stella




Articolo da Wikinews

Questo articolo è stato tradotto automaticamente. La traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su Wikinews

Una stella inghiottita da un buco nero è stata osservata dal telescopio spaziale Hubble in una galassia a circa 300 milioni di anni luce dalla Terra. L'evento è stato osservato nell'ultravioletto dal telescopio.

Passando troppo vicino all'orizzonte del buco nero , la stella ha sperimentato un evento di rottura mareale, che ha portato alla deformazione della stella e alla successiva rottura. Assumendo poi la forma di un toro, parte dei resti della stella hanno una velocità che può raggiungere più di 30 milioni di km/h, ovvero circa il 3% della velocità della luce.

Si ritiene che questo tipo di evento sia estremamente raro, accadendo solo poche volte ogni 100.000 anni per ogni galassia con un buco nero supermassiccio al centro.

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Fonte: Wikinews


Autori: vari

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Articolo tratto interamente da 
Wikinews - La source d'information que vous pouvez écrire


I cigni selvatici a Coole di William Butler Yeats



I cigni selvatici a Coole

Gli alberi sono nella loro bellezza autunnale,
i sentieri del bosco sono asciutti,
nel crepuscolo di ottobre l'acqua
riflette un cielo immobile;
sull'acqua fra le pietre
ci sono cinquantanove cigni.

È questo il diciannovesimo autunno
da quando la prima volta li contai;
li vidi, prima che finissi il conto,
tutti all'improvviso alzarsi
e disperdersi volteggiando in grandi cerchi spezzati
sulle ali rumorose.

Ammirai quelle splendenti creature
e ora il mio cuore è triste.
Tutto è cambiato da quando io,
ascoltando al crepuscolo
la prima volta, su questa riva,
lo scampagnio delle loro ali sopra il mio capo,
camminavo con passo più leggero.

Instancabili, amata e amante,
remano nelle fredde
correnti amiche o scalano l'aria;
i loro cuori non sono invecchiati;
passione o conquista ancora li accompagna
nel loro errante vagare.

Ma ora si lasciano andare sull'acqua immobile,
misteriosi, stupendi.
Fra quali giunchi costruiranno il nido,
su quale sponda di lago o stagno
incanteranno occhi umani quando al risveglio
un giorno scoprirò che son volati via?

William Butler Yeats

Pollice su e giù della settimana




 



venerdì 27 gennaio 2023

Le forze israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi di Jenin: nove persone morte e più di 20 feriti



Articolo da Il Manifesto

Erano passate da poco le 7 ieri mattina quando un autocarro per il trasporto del latte è entrato lentamente nel campo profughi di Jenin che cominciava a svegliarsi. Dal veicolo sono scesi dei soldati di unità scelte israeliane e hanno messo sotto assedio una casa.

In pochi attimi, tra lo sbigottimento dei passanti, sono sopraggiunti altri militari, a decine, a bordo di jeep corazzate. Uno spiegamento di forze enorme per catturare o eliminare i fratelli Mohammad e Nureddin Ghneim e un terzo membro del Jihad Islami. Colti di sorpresa, i tre all’intimazione di arrendersi hanno risposto scegliendo di combattere fino alla morte.

LA LORO FINE è arrivata poco dopo. I militari hanno piazzato esplosivi nell’edificio contro il quale hanno anche sparato un razzo anticarro. In un comunicato diffuso dall’esercito su Twitter si afferma che l’operazione ha preso di mira una cellula del Jihad responsabile di attacchi armati e di aver progettato un attentato.

Ma quella che Israele descrive come «operazione» preventiva contro «una cellula di terroristi» è stata una strage, un bagno di sangue per i palestinesi di Jenin che hanno vissuto una giornata tra le più drammatiche degli ultimi anni.

Ore di morte e violenza che ha riportato alla memoria collettiva palestinese l’offensiva «Muraglia di Difesa» del 2002 quando l’esercito israeliano distrusse più della metà del campo profughi al termine di settimane di assedio costate le vita a decine di palestinesi (e a 15 soldati) nella città che, assieme a Nablus, è la roccaforte della militanza armata contro l’occupazione israeliana cominciata oltre 55 anni.

La reazione degli abitanti del campo è stata immediata. I primi ad affrontare in armi i soldati israeliani sono stati gli uomini del Battaglione Jenin, poi nelle strade decine di giovani con sassi e bottiglie. Sotto i colpi dei cecchini sono caduti altri cinque palestinesi: Abdullah al Ghul, Moatasem al Hassan, Wassim al Jass, Mohammed Sobh e Yassin Salahat.

Una donna di 61 anni, Magda Obaid, è stata colpita e uccisa da un proiettile nella sua abitazione. Altri 20 palestinesi sono stati feriti: quattro sono in condizioni critiche all’ospedale Ibn Sina di Jenin.

Lo stesso nosocomio sotto tiro con il fumo acre dei candelotti lacrimogeni che invadevano alcuni dei reparti. La ministra della sanità palestinese Mai al Kaileh ha denunciato: gli operatori della Mezzaluna rossa non sono stati in grado di evacuare i feriti perché i soldati israeliani hanno chiuso l’accesso al campo profughi e «sparato lacrimogeni contro il reparto pediatrico dell’ospedale».

UN ABITANTE del campo, Maher Natur, ha raccontato al manifesto: «Si sono vissute ore di terrore. Il sibilo dei proiettili era incessante. I nostri ragazzi dietro copertoni in fiamme hanno affrontato con le pietre i soldati». Prima del raid nel campo, ha aggiunto Maher, «(le forze israeliane) hanno interrotto l’elettricità, internet e la rete dei cellulari».

In quei momenti, sempre nel campo profughi, la famiglia al Sabbagh ha vissuto le stesse scene del 2002 quando la sua casa fu circondata e distrutta dall’esercito, che in quella occasione uccise Alaa al Sabbagh delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa. Le ruspe militari ieri hanno distrutto la nuova abitazione. In serata le tv israeliane hanno mandato in onda i video girati dai soldati entrati a Jenin. Nei social sono diventati virali quelli postati dai palestinesi con i corpi insanguinati sull’asfalto.

A JENIN IN SERATA è stato annunciato il divieto di ingresso ai veicoli commerciali nel campo profughi. La strage di Jenin ha acceso un incendio che nei prossimi giorni potrebbe avvolgere i Territori palestinesi occupati. Ieri manifestazioni e raduni di protesta contro Israele hanno occupato i centri di città e villaggi palestinesi.

Scontri sono divampati a Ramallah, Nablus e a Ram, a nord di Gerusalemme, dove un giovane di 22 anni, Yusef Mohaisen, è stato ucciso da militari israeliani facendo salire a dieci il bilancio di morti in una sola giornata e a 29 quello dall’inizio dell’anno.

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Fonte: Il Manifesto

Autore: 
Michele Giorgio

Licenza: Licenza Creative Commons
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Articolo tratto interamente da Il Manifesto


La miseria che c’è qui è veramente terribile...



"La miseria che c’è qui è veramente terribile – eppure alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce – non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare – e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravvivremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. Forse io sono una donna ambiziosa: vorrei dire anch’io una piccola parolina. Voglio essere un cuore pensante."

Etty Hillesum



La Russia è stata esclusa dal tributo ad Auschwitz



Articolo da El Común

Questo articolo è stato tradotto automaticamente. La traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su El Común

In questo giorno ma nel 1945, un'avanzata di fanteria dell'Armata Rossa, durante l'offensiva russa che liberò la Polonia dal controllo nazista, trovò un recinto circondato da un enorme recinto con la scritta: Arbeit Macht Frei (il lavoro ti renderà libero). Era il più grande campo di sterminio del nazismo, il complesso industriale della morte di Auschwitz. Quando i sovietici entrarono, la maggior parte delle guardie se n'era già andata. Lì trovarono montagne di scarpe e vestiti, sopravvissuti in condizioni deplorevoli, cadaveri e ossa ammucchiate, o bambini spaventati dalla loro presenza. Si stima che 1,1 milioni di persone siano state sterminate in queste strutture, perché ebrei o soldati sovietici catturati. Questa data è stata designata come Giornata Internazionale di Commemorazione in Memoria delle Vittime dell'Olocausto.

Settantotto anni dopo, il museo che ogni anno ricorda questo anniversario, nella cittadina polacca, ha annunciato che non inviterà in questa occasione la delegazione russa. Vale a dire, in omaggio alla data della liberazione di questo campo di sterminio, il suo stesso liberatore sarà bandito .

Lo riferisce Piotr Sawicki, portavoce del museo, che secondo l'agenzia AFP ha chiarito che i rappresentanti della Federazione Russa non sono stati invitati a partecipare alla celebrazione di quest'anno dell'anniversario della liberazione di Auschwitz a causa della "aggressione " contro l'Ucraina.

Il rifiuto del museo all'invito della Russia rientra nell'atteggiamento di allineamento della Polonia all'Alleanza atlantica, dal momento che il suo portavoce insiste nel considerare l'intervento militare russo in Ucraina "un atto di barbarie". In questo modo, sarà la prima volta che un rappresentante russo non parlerà nel discorso ufficiale degli atti. "La Russia avrà bisogno di tempi lunghissimi - ha precisato il responsabile del museo - per tornare agli incontri del mondo civile".

La polemica in Polonia su questo tipo di festeggiamenti risale a molto tempo fa, da 3 anni fa, in occasione di un incontro internazionale tenutosi in Israele in occasione di un simile tributo e a cui parteciparono più di 40 leader mondiali, il presidente polacco, Andrzej Duda, ha deciso di non partecipare alla cerimonia perché non ha accettato che all'evento si presentasse anche il suo omologo russo, Vladimir Putin. Duda ha persino messo in dubbio il luogo della celebrazione, considerando che l'evento dovrebbe svolgersi in Polonia e senza Putin.

Questo obiettivo è quindi già stato raggiunto dai leader polacchi, che all'ombra della NATO sono riusciti a far sì che l'Europa continuasse a rendersi ridicola commettendo sorprendenti incongruenze come questa, all'interno dell'immensa campagna di propaganda dai toni russofobi che colpisce l'opinione pubblica occidentale opinione.

Il nonsense irrazionale che sembra guidare le decisioni dei leader europei, che non risponde ad altra motivazione se non agli interessi imperialisti americani, sta deteriorando l'attività informativa fino a trasformarla in una preoccupante imitazione di noti romanzi distopici in cui i governi totalitari gestiscono manipolare la storia per renderla favorevole alla sua propaganda. Così, la risposta a un'aggressione architettata e prolungata per un decennio diventa una "invasione barbarica", gli eredi ideologici di quei nazisti diventano oggi guerrieri dei valori europei, e i liberatori di quegli stermini diventano persone indesiderate.

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Fonte: El Común

Autore: Carlos Magariño Rojas

Licenza: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Unported.


Articolo tratto interamente da 
El Común


Perù: razzismo, criminalizzazione e disciplina sullo sfondo di oltre 60 morti

Plaza Manco Capac 2022 (3)


Articolo da lavaca.org

Questo articolo è stato tradotto automaticamente. La traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su lavaca.org

Lavaca ha parlato con dirigenti sociali e contadini, che stanno analizzando la repressione scatenata dopo la crisi istituzionale che ha provocato almeno 60 morti, migliaia di feriti e centinaia di detenuti, comprese le immagini di carri armati che entrano nell'università pubblica. Il ruolo del Congresso, la figura di Dina Boluarte, la radice storica, razzista e classista della destra peruviana. Il legame tra l'agenda estrattiva e l'attuale destabilizzazione che cerca di criminalizzare e disciplinare le voci delle comunità e delle organizzazioni sociali che denunciano la situazione come una "dittatura civile-militare".  

Dina Boluarte conta più morti in Perù per violenze istituzionali che giorni di gestione.

Secondo l'Ufficio del difensore civico peruviano, al momento ci sono almeno 56 morti per la repressione, migliaia di feriti e centinaia di detenuti. Le organizzazioni sociali denunciano, dal canto loro, più di 60 morti. Tutto è successo in meno di cinquanta giorni: da quando la vicepresidente Dina Boluarte è entrata in carica il 7 dicembre 2022, quando l'allora presidente Pedro Castillo è stato arrestato. 

Intanto le strade continuano a essere teatro di continui cortei e ripudi: solo martedì 24 gennaio l'Ufficio del Garante ha registrato 85 posti di blocco nazionali, oltre a mobilitazioni e blocchi su 39 strade provinciali. 

Come interpretare ciò che sta accadendo?

Melania Canales è una leader sociale della regione di Ayacucho; dieci dei morti appartengono a quella località. Inoltre, è l'ex presidente dell'Organizzazione nazionale delle donne indigene andine e amazzoniche del Perù. Così, per Lavaca , sintetizza le istanze sociali di cui è stato anche protagonista: 

  • “Una delle principali richieste è che ci sia un referendum per l'Assemblea Costituente; Oggi c'è una Costituzione del 1993, fatta dal dittatore Fujimori, che ha privatizzato tutto in Perù: elettricità, acqua, autostrade, binari, compagnie minerarie. Quella è la Costituzione che dà tutto il potere alla comunità degli affari, è la peggiore Costituzione dell'America Latina, la comunità degli affari prende i suoi profitti e non paga nulla”.
  • ”Questa Costituzione ha permesso alla sanità e all'istruzione di essere un business. Praticamente ci priva dei nostri territori collettivi delle popolazioni indigene e delle donne e non consente la partecipazione delle persone organizzate negli spazi del potere decisionale. Ci criminalizza anche. Per questo chiediamo un referendum e chiediamo una nuova Costituzione”.
  • “Chiediamo anche le dimissioni della traditrice e assassina Dina Boluarte. E le dimissioni del consiglio di amministrazione del Congresso. 
  • “E chiediamo la pace. Una pace con la giustizia. Questo è ciò che chiediamo in Perù”. 

L'Università ha attaccato

Alla catena di violenze del governo della scorsa settimana si è aggiunta la brutale repressione presso l'Universidad Nacional Mayor de San Marcos (UNMSM), che ha visto l'ingresso di 400 poliziotti insieme a forze speciali con carri armati che hanno sfondato le porte, spari e gas lacrimogeni , e dove sono stati detenuti più di 205 studenti.

Natali Durand è professore di antropologia all'Università. Due studenti della sua classe sono stati arrestati e lei descrive: “È stato un attacco all'autonomia dell'Università. Gli studenti avevano aperto le porte per accogliere le persone che venivano da diverse regioni per marciare”. 

Le delegazioni sono arrivate da tutto il paese in quella che è stata chiamata la Nueva Marcha de los Cuatro Suyos, e l'Università ha funzionato come alloggio, spazio per riunioni e logistica. Ma quando è entrata la polizia, spiega Natali, «erano rimasti pochi manifestanti, c'erano più studenti all'interno dell'Università, alcuni nel subentro, altri nella residenza universitaria, il che è molto preoccupante perché sono entrati nella residenza universitaria». Da allora una parte degli insegnanti e degli studenti ha chiesto la dimissione dell'attuale rettore Jeri Ramón. 

Il Consiglio latinoamericano delle scienze sociali (CLACSO) ha condannato la repressione e ha affermato che "l'ingresso della polizia nella sede dell'università è una flagrante violazione dell'autonomia". Ha anche respinto la "decisione del governo di ricorrere alla violenza per affrontare la crisi del Paese". E ha concluso: “L'atteggiamento del governo del Perù è posto al di fuori del rispetto dei diritti umani”.

Il tradimento di Dina

Dov'è il seme del conflitto attuale?

Risponde Natalí Durand: “Per capirne il seme potremmo tornare indietro di 200 anni, ma penso che in questo momento la cosa più grave sia stata la rottura politica che abbiamo avuto dal 2016 quando il partito della signora Keiko Fujimori (figlia del ex dittatore) ha ottenuto la maggioranza assoluta al Congresso. Dal 2016 si è generato uno squilibrio di potere a favore dell'Esecutivo”.

Tuttavia (o forse proprio per questo) il professore e politico Pedro Castillo, con il partito Peru Libre, vinse le elezioni al ballottaggio contro lo stesso Fujimori, e governò dal 28 luglio 2021 fino alla  dichiarazione della sua “permanente incapacità morale ”. dal Congerso, il 7 dicembre 2022. Castillo era un insegnante di scuola elementare, presidente del Comitato di lotta  dell'Unione unica dei lavoratori dell'istruzione del Perù  (SUTEP) e ha guidato lo sciopero degli insegnanti del 2017.

Il 7 dicembre 2022 Castillo è stato arrestato e licenziato dopo 16 mesi di governo. Ore prima aveva annunciato la chiusura temporanea del Congresso, ma prima i suoi stessi ministri avevano cominciato a dimettersi ea descrivere la situazione come un autogolpe. Con le forze armate e la polizia contrarie, il Congresso tentò, ancora una volta, la mozione di posto vacante contro l'allora presidente con l'accusa di "incapacità morale". Castillo è stato arrestato e licenziato; Ha poi prestato giuramento la sua vicepresidente, Dina Boluarte, che tra l'altro aveva denunce al Congresso per presunte infrazioni costituzionali che sono state rapidamente archiviate. 

Dice Natalí Durand: “Sebbene sia una legittima successore, era stato detto che si sarebbe dimessa e avrebbe chiesto le elezioni. La sua assunzione è assunta dalle persone come un tradimento. A loro volta, a destra non lo vedono come una parte: nel momento in cui non gli serve più, lo rilasceranno. Adesso li serve perché il presidente del Congresso non può esercitare le funzioni di presidente, deve indire le elezioni in un periodo dai 3 ai 9 mesi al massimo. Non vuole dimettersi perché sa che se si dimette la lasceranno in pace e l'aspetta un processo giudiziario molto duro. 

L'attuale presidente non ha un proprio seggio al Congresso o un partito che la sostenga.

La domanda allora è chi detiene il potere in Perù oggi.

La voce dalle strade

Melania Canale, leader sociale della regione di Ayacucho, rimarca che la situazione attuale ha fatto luce su “razzismo e classismo nel nostro Paese”. Continua: “Il Perù è stato il centro del colonialismo: quando la repubblica peruviana è stata creata 200 anni fa, era fatta con i discendenti degli spagnoli, dei 'mistis' e dei creoli, e le popolazioni indigene e afro erano assenti. Quindi ciò che è venuto è stato il dominio di una classe medio-alta privilegiata. C'è una grande disuguaglianza, che si è aggravata, i diritti sono diventati business, come l'istruzione, la sanità, la partecipazione politica”. 

Melania definisce Pedro Castillo il primo "bruno" (per via del colore della pelle) a diventare presidente. E definisce: "Abbiamo sentito che il marrone non lo sopportava". Chiama l'attuale presidente "l'usurpatore". Dice: “In questo momento, anche se ha vinto con Castillo, rappresenta la destra. Il Congresso è stato un ostacolo che non ha permesso a Pedro Castillo di governare, lui è sempre stato lì a promuovere il suo posto vacante. Dina aveva una denuncia, ma l'hanno presentata al Congresso. Stava davvero arrivando. Ecco, la destra politica in Perù è una destra trascinata, che si dona sempre completamente all'oligarchia" 

Il problema è legato ai programmi estrattivisti? 

È molto legato. Un funzionario degli Stati Uniti ha recentemente affermato che il Sud America ha acqua dolce, minerali e litio. Diverse compagnie minerarie sono paralizzate qui a causa delle richieste delle comunità. C'è anche la contaminazione dei fiumi, della terra, tanta gente con metalli pesanti nel sangue, e anche questi imprenditori non lasciano nulla...

A cosa attribuisce l'attuale repressione? 

È una caccia alle streghe. Ad Ayacucho ci sono 8 leader detenuti e leader di organizzazioni, sono stati portati a Lima, accusati di terrorismo. Non siamo assassini, non siamo terroristi. Stanno cercando di decapitare organizzazioni, incutere paura, criminalizzarci e perseguitarci, inventando fantasmi. Non c'è libertà in questo Paese: per questo diciamo che stiamo vivendo una dittatura civico-militare. 

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Fonte: lavaca.org

Autore: redazione lavaca.org

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Articolo tratto interamente da 
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Photo credit Mayimbú, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons