Non fare agli altri, quello che non vorresti fosse fatto a te.
Camara viveva ad Eboli e si era trasferito in Puglia per continuare a lavorare anche nel periodo estivo. La sua famiglia in Mali ora vorrebbe poterlo seppellire nella sua città, ma servono molte migliaia di euro e così è partita una colletta per onorare almeno in questo modo, estremo e per niente consolante, la memoria di un giovane che per una trentina di euro al giorno stava sotto il sole per cinque, sei ore.
Il presidente della Puglia, Michele Emiliano, dopo quanto accaduto ha disposto che in tutto il territorio regionale non si lavori nei campi durante le ore più calde della giornata, a cavallo tra il mezzogiorno e le quattro del pomeriggio. Una misura di buonsenso, che forse poteva essere davvero pensata a monte, con l’arrivo della cosiddetta “bella stagione” che, per tutti i lavoratori agricoli, ha il sapore di uno sfruttamento aumentato a dismisura dalle condizioni disumane in cui sono costretti a svolgere le loro mansioni.
Picchia duro il sole sui campi, dove le paghe sono miserrime e dove non c’è praticamente il rispetto di alcuna regola che tuteli i braccianti da morti insensate come quelle di Camara. Non è la prima volta, ovviamente, che accade: abbiamo stigmatizzato in passato altri episodi del genere e tutte le volte abbiamo sentito dire, e noi stessi ci siamo detti e ripetuti, che quelle condizioni andavano cambiate e che si sarebbe dovuto intervenire nazionalmente in merito, con disposizioni contrattuali riconosciute da tutti i padroni di piccole, medie e grandi aziende agricole.
Invece, oltre al vergognoso fenomeno del caporalato, che elude i controlli, che spesso è tollerato con la formula ipocrita del “dare lavoro che altrimenti non si potrebbe dare” se si dovessero rispettare contratti e normative di legge a tutela sia del lavoratore sia dell’imprenditore, c’è tutta una vera e propria filiera dello sfruttamento che va dalla raccolta dei prodotti agricoli fino alla vendita e all’arrivo sulle nostre tavole.
Non si tratta di impostare una campagna di boicottaggio che, probabilmente, avrebbe un impatto negativo proprio sul comparto agricolo già fortemente indebolito dalla pandemia, divenuto un vero e proprio collocamento di mano d’opera a bassissimo costo, ma di ragionare invece su una ridefinizione veramente etico-ecomonica anzitutto del rapporto tra padrone e bracciante, merce e mercato.
I braccianti spesso, quando hanno il privilegio di avere tra le mani una busta paga, si ritrovano segnate solo 5 o 6 giornate di lavoro rispetto alle decine che ogni mese fanno per avere dei salari ridotti all’osso: pochi euro all’ora per loro e molta evasione fiscale per i padroni che non pensano, oltre tutto, minimanente al fattore sicurezza. Figuriamoci al sole che picchia duro sulle teste di corpi ricurvi a cavare, piantare e tirare via dalla terra patate, pomodori, verdure di ogni tipo. Tutto questo non è soltanto eticamente deplorevole, è il quadro di una condizione schiavistica che non viene a cessare nel nostro meridione, ma pure in altre zone della Penisola, dove il lavoro agricolo sembra inseparabile da condizioni di ipersfruttamento.
C’è una dichiarazione che fa sobbalzare: forse per l’ingenuità che involontariamente esprime e che un esponente (quanto meno) di centrosinistra dovrebbe evitare. La dichiarazione è la seguente: «Il lavoro non può mai essere sfruttamento, deve essere rispettoso della dignità delle persone e garantire le condizioni di salute e sicurezza». Il sindaco di Brindisi ha ragione, ma tocca fare i pignoli, riprendere un po’ l’ABC non tanto engelsiano del comunismo quanto quello proprio della scoperta moderna di come funzioni il capitalismo…
Il lavoro salariato, dove esiste un rapporto di dipendenza dal cosidetto “datore” del medesimo, è sempre sfruttamento. Lo è per sua natura inequivocabile entro il sistema di produzione delle merci e dei profitti.
Articolo da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'eccidio di Civitella fu una strage compiuta dalle truppe naziste il 29 giugno 1944 nelle località di Civitella in Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio di Bucine, in provincia di Arezzo, che cagionò l'uccisione di 244 civili.
La conformazione montuosa e la presenza di fitti boschi nel territorio circostante il centro abitato di Civitella in Val di Chiana, in provincia di Arezzo, avevano contribuito, all'indomani dell'occupazione tedesca dell'Italia, alla nascita di diversi gruppi partigiani. In Civitella si era di conseguenza installato un comando tedesco, la Divisione "Hermann Göring", agli ordini del tenente generale Wilhelm Schmalz, la quale ripetutamente venne a trovarsi in scontri a fuoco con i partigiani.
La sera del 18 giugno 1944 alcuni partigiani, guidati da Edoardo Succhielli detto "Renzino", irruppero armati nel circolo ricreativo di Civitella dove quattro soldati tedeschi si trovavano seduti a un tavolo. I partigiani tentarono di disarmare i soldati tedeschi, ma uno di essi reagì facendo nascere una sparatoria che uccise subito due soldati tedeschi, ne ferì gravemente un terzo che morì il giorno dopo e ferendo a una gamba il quarto soldato che riuscì a scappare, una volta andati via i partigiani ed i civili, portandosi sulle spalle il compagno gravemente ferito. Anche due civili rimasero feriti nello scontro a fuoco. Alcuni sopravvissuti alla strage che ne seguì, all’epoca bambini, ritengono Renzino e i suoi compagni corresponsabili della rappresaglia in quanto consapevoli che l’uso delle armi avrebbe provocato la reazione dei tedeschi contro la popolazione. I giorni successivi, gli abitanti del paese pensarono realisticamente che questo episodio avrebbe provocato una rappresaglia, perciò fuggirono. I tedeschi ne furono informati, e quando fecero ritorno a Civitella per recuperare i caduti simularono un comportamento relativamente civile, il tutto per incoraggiare perfidamente i residenti a rientrare in paese. Contemporaneamente i tedeschi avviarono perquisizioni nelle case di Civitella e delle due frazioni più vicine, Cornia e San Pancrazio (quest'ultima nel comune di Bucine), ritenute ospitanti diversi partigiani, in quanto circondate dai boschi e non facilmente raggiungibili, senza trovare nulla.
Continua la lettura su Wikipedia, l'enciclopedia libera
Questo articolo è pubblicato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Esso utilizza materiale tratto da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Microsoft ha annunciato ufficialmente Windows 11.
Link diretto: https://www.windowsblogitalia.com/2021/06/windows-11/Shetland Coastal Scenes from Rory Gillies on Vimeo.
Photo e video credit Rory Gillies caricato su Vimeo - licenza: Creative Commons
Chile Andes Nature Timelapse & Drone from Cristián Aguirre Photography on Vimeo.
Photo e video credit Cristián Aguirre Photography caricato su Vimeo - licenza: Creative Commons
Articolo da Wired
Per la Santa sede la legge ridurrebbe la libertà di pensiero assicurata dal Concordato che ha rivisto i Patti lateranensi nel 1984
Il Vaticano ha chiesto formalmente al governo italiano di fermare l’approvazione del cosiddetto ddl Zan, il disegno di legge proposto dal deputato del Partito democratico Alessandro Zan per il contrasto all’omolesbobitransfobia, alla misoginia e all’abilismo, ossia, rispettivamente, gli atteggiamenti discriminatori verso la comunità lgbt+, le donne e le persone con disabilità. Per la prima volta, la Santa sede è intervenuta pubblicamente nell’iter di approvazione di una legge italiana, incaricando il Segretario per i rapporti con gli stati, Paul Richard Gallagher, di inviare una nota al governo. Per il Vaticano il testo del disegno di legge, già approvato alla Camera, deve essere modificato, perché attenterebbe alla “libertà di pensiero” della comunità dei cattolici.
Nella nota, consegnata al primo consigliere dell’ambasciata italiana presso la Santa sede, il Vaticano ha sostenuto che il ddl Zan ridurrebbe “la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato”. I due commi dei Patti Lateranensi, modificati nel 1984 con l’Accordo di Villa Madama, assicurano alla Chiesa “libertà di organizzazione, di pubblico esercizio di culto” e garantiscono “ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Il testo attacca quindi l’articolo 7 del disegno di legge che istituisce per il 17 maggio la giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia (lo stesso giorno in cui è già in vigore quella internazionale), per promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione e contrastare pregiudizi e violenze, perché non esenterebbe le scuole private cattoliche dall’organizzare attività per questa giornata.
Continua la lettura su Wired
Fonte: Wired
Autore: Kevin Carboni
Licenza:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.
Articolo tratto interamente da Wired
Articolo da East Journal
A pochi giorni dall’approvazione della legge anti-propaganda LGBT+ in Ungheria, migliaia di persone nella vicina Polonia si sono riversate nelle strade di Varsavia lo scorso sabato per l’annuale parata del Pride (Parada Równości). Nonostante le restrizioni per contrastare il covid-19, la marcia per l’uguaglianza si è tenuta ugualmente, anche se in forma ridotta.
Doppia radicalizzazione
La parata, giunta quest’anno al suo ventesimo anniversario, arriva in un contesto molto difficile per la comunità LGBT polacca, con l’introduzione delle “LGBT free zones”, l’arresto di diversi attivisti per i diritti civili e la continua strisciante omofobia del governo a guida PiS (Diritto e Giustizia).
Pochi giorni fa, l’Ungheria di Viktor Orbán ha approvato una legge, analoga a quella vigente dal 2013 in Russia, che equipara l’omosessualità alla pedofilia e vieta la diffusione a minori di qualsiasi materiale che affronti tematiche LGBT, inclusi programmi didattici per l’educazione affettiva e sessuale. Tra i manifestanti a Varsavia è diffuso il timore che il partito al governo Diritto e Giustizia, stretto alleato di Orbán, proponga presto una legge contro la propaganda LGBT anche in Polonia, allo scopo di troncare sul nascere qualsiasi azione pubblica per i diritti civili.
In parallelo all’inasprirsi dei toni di alcuni esponenti del governo, che hanno definito la lotta per i diritti LGBT un'”ideologia peggiore del bolscevismo“, l’attivismo nell’arco dell’ultimo anno si è fatto più assertivo, provocatorio e, sotto certi aspetti, radicale. La scorsa estate l’attivista queer Margot è stata arrestata per aver assaltato un furgone pubblicitario con slogan anti-LGBT e aggredito il conducente. L’episodio, presto degenerato in scontri tra forze dell’ordine e militanti pro-LGBT, aveva portato ad arresti di massa e diversi osservatori avevano denunciato l’uso sproporzionato della forza da parte della polizia. La “Stonewall polacca“, e i suoi echi in tutta Europa, ha segnato quest’anno come uno dei più complessi per la minoranza LGBT polacca, costretta di fatto a rafforzare la propria strategia di lotta per essere ascoltata: “Dobbiamo abbandonare il senso di vergogna, di docilità che ci opprime, smettere di scusarci“, ha affermato la stessa Margot.
Feriti ma forti
A distanza di vent’anni dalla prima manifestazione per i diritti omosessuali nel paese, la società polacca si mostra oggi sempre più polarizzata sul tema, ma il cambiamento, in particolare tra le generazioni più giovani, appare ormai evidente e persino ineluttabile. Se alle prime manifestazioni all’inizio degli anni Duemila partecipava poco più di un centinaio di persone, alle ultime edizioni – a distanza di poco più di 15 anni – hanno aderito quasi 50mila manifestanti.
Tra i partecipanti, era presente per il secondo anno consecutivo il sindaco di Varsavia Rafał Trzaskowski, del centrista Piattaforma Civica (PO), noto per aver fatto approvare dal Comune una Dichiarazione dei diritti LGBT. Si tratta della seconda edizione patrocinata dal municipio della capitale: i precedenti sindaci, incluse le personalità di orientamento più liberale, si sono sempre rifiutati di concedere il patrocinio e l’ex presidente Kaczyński aveva addirittura vietato per due anni lo svolgimento della marcia.
Articolo da Volere la luna
Nel mese di giugno di ogni anno l’Istat diffonde il report La povertà in Italia nel quale sono contenute le stime riferite all’anno precedente. Il report diffuso nei giorni scorsi, e relativo alla situazione del 2020, contiene dati interessanti e fonte di estrema preoccupazione. In sintesi: la povertà assoluta e quella relativa continuano a crescere. (la redazione).
L’Italia dispone di un quadro articolato di indicatori di povertà la cui varietà consente di cogliere le molte dimensioni del fenomeno, specie in un anno come il 2020, segnato da una congiuntura economica particolarmente difficile e anomalo da molti punti di vista. Le diverse linee di povertà e i relativi indicatori mostrano la situazione secondo prospettive differenti.
La soglia di povertà assoluta fa riferimento a un paniere di beni e servizi che vengono considerati essenziali per una determinata famiglia per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. Non si tratta quindi di una unica soglia, ma di molte soglie che variano, per costruzione, in base alla dimensione della famiglia, alla sua composizione per età, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza (vedi il Prospetto in Nota Metodologica che mostra le soglie mensili di povertà assoluta per le principali tipologie familiari, ripartizione geografica e tipo di comune). La soglia di povertà relativa, invece, varia di anno in anno a causa della variazione della spesa per consumi delle famiglie o, in altri termini, dei loro comportamenti di consumo. Tale soglia, infatti, deriva da un calcolo interno alla distribuzione delle spese (è pari infatti alla spesa per consumi media pro-capite per una famiglia composta da due persone). La misura di povertà relativa fornisce, quindi, una valutazione della disuguaglianza nella distribuzione della spesa per consumi e individua le famiglie povere tra quelle che presentano una condizione di svantaggio rispetto alle altre. Nel 2020, per una famiglia di due componenti, la soglia è risultata pari a 1.001,86 euro, cioè oltre 93 euro meno della linea del 2019.
Per tenere conto dei cambiamenti nei comportamenti di spesa, ogni anno si calcola anche una linea di povertà dell’anno corrente rivalutando quella dell’anno precedente con la variazione dei prezzi. La soglia 2019, rivalutata al 2020 in base all’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività (pari a -0,2%), è risultata pari a 1.092,76 euro (90,90 euro in più della soglia standard). L’incidenza di povertà relativa 2020, calcolata rispetto alla soglia 2019 rivalutata, è, di conseguenza, molto più elevata ed è pari al 13,4% (3.484mila famiglie povere, ossia circa 847mila in più). Le due diverse stime permettono di individuare le famiglie che nel 2020, pur avendo conseguito dei livelli di spesa inferiori a quelli del 2019, non risultano povere per effetto della considerevole riduzione dei consumi e delle condizioni medie di vita nell’anno segnato dalle misure restrittive per il contenimento della pandemia.
Continua la lettura su Volere la luna
Fonte: Volere la luna
Autore: redazione Volere la luna
Licenza: Creative Commons (non specificata la versione)
Articolo tratto interamente da Volere la luna
Articolo da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'assassinio degli attivisti per i diritti civili del Mississippi fu l'evento accaduto nella notte tra il 21 ed il 22 giugno 1964, quando tre attivisti del movimento per i diritti civili degli afroamericani (African-American Civil Rights Movement), James Earl Chaney, Andrew Goodman e Michael Schwerner, vennero uccisi a colpi di pistola da un gruppo di membri dei "cavalieri bianchi" del Ku Klux Klan, con la complicità dello sceriffo della contea. Il fatto avvenne nella contea di Neshoba, in Mississippi, dove i tre giovani, nel quadro della campagna Freedom Summer, si erano recati allo scopo di convincere i membri della comunità afroamericana ad iscriversi ai registri elettorali.
L'evento suscitò enorme indignazione negli Stati Uniti e condusse ad un'inchiesta da parte dell'FBI, che prese il nome di Mississippi Burning (MIBURN), ed i corpi dei tre giovani furono ritrovati 44 giorni dopo la sparizione, sepolti in un terrapieno nei pressi del luogo dell'omicidio. Il Governo dello Stato rifiutò di proseguire l'inchiesta, ma il Governo federale riuscì ad incriminare 18 persone, ottenendo tuttavia solo la condanna di 7 di esse per reati minori.
La morte dei tre giovani attivisti contribuì nel 1964 all'approvazione del Civil Rights Act e del Voting Rights Act l'anno successivo.
All'inizio degli anni sessanta il Mississippi, come la maggior parte degli Stati del Sud, si trovava in aperta violazione delle leggi federali e le sentenze della Corte Suprema ne avevano sconvolto le istituzioni. La comunità bianca reagì con estrema ostilità ed attentati, omicidi, atti di vandalismo e di intimidazione vennero perpetrati allo scopo di scoraggiare i membri della comunità nera e seguire il sostegno proveniente dal nord. Nel 1961 la campagna Freedom Riders costituì una sfida alla segregazione, incoraggiando l'agitazione sociale nel sottoproletariato di colore e, nel settembre del 1962, all'Università del Mississippi vi furono disordini dovuti alle proteste contro l'immatricolazione dello studente di colore James Howard Meredith.
Queste agitazioni sociali suscitarono la reazione dei "cavalieri bianchi" del Ku Klux Klan, un gruppo scissionista creato e guidato da Samuel Bowers, che nell'estate del 1964 si preparò a reagire a quella che veniva percepita come un'invasione dal nord. I media contribuirono a riscaldare il clima, esagerando il numero dei giovani aspiranti all'iscrizione nei registri elettorali ed il Council of Federated Organizations (COFO) sostenne che circa 30.000 persone di colore sarebbero giunte nel Mississippi durante l'estate. Tali informazioni ebbero un effetto stridente sulla popolazione bianca e molti si unirono ai "cavalieri bianchi", più bellicosi rispetto ad altri gruppi del Ku Klux Klan, facendo arrivare il numero dei seguaci a circa 10.000, preparandosi al conflitto.
In quel momento alla maggior parte della comunità nera era negato il diritto al voto ed il Congress of Racial Equality (CORE) promosse una serie di attività per affrontare il problema, avviando campagne per l'iscrizione nei registri elettorali e creando le cosiddette Freedom Schools, allo scopo di incoraggiare ed istruire i cittadini afroamericani all'iscrizione; i membri del CORE James Earl Chaney e Michael Schwerner furono incaricati di creare una Freedom School nella contea di Neshoba.
Continua la lettura su Wikipedia, l'enciclopedia libera
Questo articolo è pubblicato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Esso utilizza materiale tratto da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
"Luce diffusa, splendore. L’estate è essenziale e costringe ogni anima alla felicità."
André Gide
Articolo da OggiScienza
Non c’è niente che ci faccia sentire più al mare del profumo (odore, se non ne siamo particolari estimatori) della crema solare. Eppure il sole non c’è solo sulla battigia, e a volte, a onor del vero, anche lì la dimentichiamo, o decidiamo volontariamente di non utilizzarla, perché non ci piace, perché unge troppo, perché pensiamo che in quel tipo di situazione non sia poi così necessaria. Se ci ricordiamo di spalmarla, molto probabilmente non ne mettiamo a sufficienza, o abbastanza spesso, oppure siamo convinti che quel grosso “50” stampato in bella grafia ci protegga molto di più rispetto a un Spf (fattore di protezione solare) 30. Proviamo a sfatare qualche falso mito sulle creme solari, cercando di capire cosa dovremmo fare davvero e cosa rischiamo se non la mettiamo.
I raggi UVA e UVB sono stati classificati dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) tra i carcinogeni certi per l’uomo, contribuiscono alla formazione di tumori della pelle e non solo. Come per molte sostanze o fattori carcinogeni, bisogna sempre tener presente che è la dose a fare la differenza: un po’ di sole è necessario per sintetizzare la vitamina D, senza la quale si possono sviluppare malattie. Bisogna però fare sempre attenzione quando ci si espone ai raggi UV, anche durante l’inverno e in città: il Codice europeo contro il cancro, promosso da IARC, suggerisce l’uso di creme con filtro solare durante tutto l’anno. In estate corriamo i rischi maggiori, perché esponiamo una superficie più ampia del nostro corpo e lo facciamo per tempi più lunghi.
Tra parentesi, probabilmente non tutti sono a conoscenza del fatto che il fattore di protezione scritto sulle creme si riferisce solo agli UVB. Le creme che presentano il bollino rotondo con all’interno la scritta “UVA”, o con la scritta “protezione UVA/UVB”, per la legge europea, devono contenere un filtro antiUVA pari ad almeno un terzo del fattore di protezione solare indicato sull’etichetta. Quindi, una Spf 30 per gli UVB “incorpora” una Spf 10 per gli UVA. Ma che differenza c’è tra UVA e UVB? Questi ultimi sono la minoranza, circa il 10% di quelli che ci raggiungono – sono infatti in parte trattenuti dalla fascia di ozono, dalla troposfera e dalle nuvole -, si fermano agli strati superficiali della pelle (epidermide), ma sono quelli che ci fanno abbronzare e provocano le scottature. Ecco perché storicamente le creme solari si sono concentrate su di loro.
Gli UVA sono trattenuti soltanto in minima parte dall’atmosfera e dalle nuvole, sono più penetranti, non provocano ustioni e non abbronzano realmente, ma riescono ad arrivare fino al derma, dove stimolano la formazione di radicali liberi, accelerando i processi di invecchiamento cutaneo e provocando rughe, e inducono mutazioni nel DNA delle cellule, aumentando il rischio di sviluppare tumori. In più, l’intensità degli UVA che raggiungono la superficie terrestre rimane più o meno costante durante tutto l’anno, a differenza di quella degli UVB che invece dipende dalla stagione, dall’orario, da altitudine e latitudine. Ecco perché sarebbe importante proteggersi sempre, e non solo al mare d’estate…
È credenza piuttosto diffusa che, se la pelle è già “allenata”, perché abbiamo già preso molto sole o perché abbiamo un fototipo più scuro, più mediterraneo, possiamo risparmiarci la seccatura di ungerci come i lottatori di sumo… Purtroppo, però, non è così. “Quanto” possiamo abbronzarci è determinato dalla genetica, ovvero da quanta eumelanina (la “forma” scura della melanina – a differenza della feomelanina che ne è la versione chiara -, va dal marrone al nero e assorbe gli UVB) sono in grado di produrre le nostre cellule. Quindi, la massima tintarella raggiungibile è indipendente da quanto si possa stare al sole.
Per quanto riguarda la protezione offerta dalla nostra pelle, l’abbronzatura è sì un filtro, ma non particolarmente efficace. Corrisponde, circa, a un Spf 2, ovvero filtra solo il 50% dei raggi UVB. Se abbiamo la pelle abbronzata o la carnagione più scura possiamo magari utilizzare creme con un fattore di protezione un po’ più basso, ma se non vogliamo ustionarci è necessario metterla ugualmente. Stesso discorso per le nuvole: lì ci troviamo in una situazione in cui il sole, per quanto possa sembrare strano, può essere ancora più pericoloso. Fa meno caldo, riusciamo a restare più tempo sotto i suoi raggi senza bisogno di rintanarci sotto l’ombrellone… Le condizioni perfette per ritrovarsi color aragosta alla sera senza nemmeno essersene resi conto. Questo rischio aumenta ancora di più se saliamo di altitudine, dove già di base fa meno caldo, ma il sole è davvero molto insidioso.
Continua la lettura su OggiScienza
Fonte: OggiScienza
Autore: Giulia Negri
Licenza:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 2.5 Italia.
Articolo tratto interamente da OggiScienza
Articolo da GlobalProject
Ucciso durante uno sciopero nazionale della logistica alla Lidl di Biandrate, nel "profondo Nord" produttivo. Assassinato da un camionista che ha forzato il blocco di lavoratori perché aveva fretta di scaricare la merce.
Si, la merce; quella che non ha mai smesso di circolare anche durante i mesi più duri di pandemia, quella per cui si passa anche oltre la vita degli esseri umani, calpestandola e trucidandola come rulli compressori.
Adil Belakhdim era coordinatore interregionale del sindacato Si Cobas e aveva soli 37 anni: una vita passata tra sfruttamento e riscatto operaio, in quel far-west della logistica che un anno e mezzo di pandemia non hanno fatto altro che peggiorare. Un far-west dove non ci sono cow-boy, ma grandi e piccoli interessi padronali, infiltrazioni mafiose, un mercato del lavoro dove regnano cottimo ed esternalizzazioni e dove i diritti si affermano solo con lotte dure ed estenuanti.
Le prime notizie che sono circolate hanno derubricato l'accaduto come “incidente”, ma stando a quanto hanno raccontato i lavoratori presenti al presidio, l’autista dopo una discussione con i manifestanti ha forzato il blocco della protesta per entrare nel magazzino “investendo i lavoratori, tra cui Adil”, e “lo ha trascinato per una ventina di metri. Non può non essersene accorto“. Il camion ha urtato e ferito anche altri due manifestanti che si trovano ora in ospedale ma non sono gravi. Le circostanze e la dinamica sono adesso al vaglio delle forze dell’ordine.
Oggi era in programma uno sciopero nazionale della logistica, si era deciso di manifestare davanti ai cancelli dei maggiori depositi di merci, perché da settimane è in atto un attacco coordinato tra “padroni”, Confindustria e governo Draghi rispetto a diritti conquistati in anni di lotte sindacali.
L'omicidio, perché di questo si tratta, di Adil avviene al culmine di una escalation di violenza contro le sigle sindacali che da anni portano avanti una lotta quotidiana per la difesa di lavoratori e lavoratrici.
In questi ultimi giorni, soprattutto sindacalisti del Si Cobas, hanno subito una serie di aggressioni e intimidazioni.
Cariche alla Fedex TNT di Piacenza, arresti, i fogli di via e le multe contro gli scioperi, aggressioni armate di body guard e crumiri a San Giuliano e Lodi, passando per i raid punitivi alla Texprint di due giorni fa, sono parte di un unico disegno che vede uniti padroni e criminalità organizzata per fermare con la forza e la violenza gli scioperi dei lavoratori.