domenica 30 aprile 2023
Il mio maggio di Vladimir Vladimirovič Majakovskij
Il mio maggio
A tutti,
a quanti,spossati dalle macchine,
si sono riversati per le strade,
a tutti,
alle schiene sfinite dalla terra
e che invocano una festa,
il primo maggio!
Al primo fra tutti i maggi
andiamo incontro,compagni,
con la voce affratellata nel canto.
E’ mio il mondo con le sue primavere.
Sciogliti in sole,neve!
Io sono operaio,
è mio questo maggio!
Io sono contadino,
questo maggio è mio!
A tutti
A quelli che, scatenata l’ira delle trincee,
si sono appostati in agguati omicidi,
a tutti,
a quelli che dalle corazzate
sui fratelli
hanno puntato le torri coi cannoni,
il primo maggio!
Al primo fra tutti i maggi
andiamo incontro,
allacciando le mani disgiunte dalla guerra.
Taci,ululato del fucile!
Chètati, abbaiare della mitragliatrice!
Sono marinaio,
è mio questo maggio!
Sono soldato,
questo maggio è mio!
A tutte
le case,
le piazze
le strade,
strette dall’inverno di ghiaccio,
a tutte
le fameliche
steppe,
alle foreste,
alle messi,
il primo maggio!
Salutate
il primo fra tutti i maggi
con una piena
di fertilità, di primavere,
di uomini!
Verde dei campi, canta!
Urlo delle sirene, innalzati!
Sono il ferro,
è mio questo maggio!
Sono la terra,
questo maggio è mio!
Vladimir Vladimirovič Majakovskij
Una società dove i lavoratori decadono a merce
"Noi siamo partiti dai presupposti dell'economia politica. Abbiamo accettato la sua lingua e le sue leggi. Abbiamo preso in considerazione la proprietà privata, la separazione tra lavoro, capitale e terra, ed anche tra salario, profitto del capitale e rendita fondiaria, come pure la divisione del lavoro, la concorrenza, il concetto del valore di scambio, ecc. Partendo dalla stessa economia politica, e valendoci delle sue stesse parole, abbiamo mostrato che l'operaio decade a merce, alla più misera delle merci, che la miseria dell'operaio sta in rapporto inverso con la potenza e la quantità della, sua, produzione, che il risultato necessario della concorrenza è l'accumulazione del capitale in poche mani, dunque una più spaventosa restaurazione del monopolio; che infine scompare la differenza tra capitalista e proprietario fondiario, cosi come scompare la differenza tra contadino e operaio di fabbrica, e tutta intera la società deve scindersi nelle due classi dei proprietari e degli operai senza proprietà."
Inno del primo maggio - Pietro Gori
Il testo venne composto da Pietro Gori nell'Aprile del 1892, utilizzando come base musicale il celeberrimo Và Pensiero di Giuseppe Verdi.
Testo:
Vieni o Maggio t'aspettan le genti
ti salutano i liberi cuori
dolce Pasqua dei lavoratori
vieni e splendi alla gloria del sol
Squilli un inno di alate speranze
al gran verde che il frutto matura
a la vasta ideal fioritura
in cui freme il lucente avvenir
Disertate o falangi di schiavi
dai cantieri da l'arse officine
via dai campi su da le marine
tregua tregua all'eterno sudor!
Innalziamo le mani incallite
e sian fascio di forze fecondo
noi vogliamo redimere il mondo
dai tiranni de l'ozio e de l'or
Giovinezze dolori ideali
primavere dal fascino arcano
verde maggio del genere umano
date ai petti il coraggio e la fè
Date fiori ai ribelli caduti
collo sguardo rivolto all'aurora
al gagliardo che lotta e lavora
al veggente poeta che muor!
Video credit Valestap caricato su YouTube - licenza: Creative Commons
sabato 29 aprile 2023
Per quanto gli uomini...
"Per quanto gli uomini, riuniti a centinaia di migliaia in un piccolo spazio, cercassero di deturpare la terra su cui si accalcavano, per quanto la soffocassero di pietre, perché nulla vi crescesse, per quanto estirpassero qualsiasi filo d'erba che riusciva a spuntare, per quanto esalassero fiumi di carbon fossile e petrolio, per quanto abbattessero gli alberi e scacciassero tutti gli animali e gli uccelli, – la primavera era primavera anche in città. Il sole scaldava, l'erba, riprendendo vita, cresceva e rinverdiva ovunque non fosse strappata, non solo nelle aiuole dei viali, ma anche fra le lastre di pietra, e betulle, pioppi, ciliegi selvatici schiudevano le loro foglie vischiose e profumate, i tigli gonfiavano i germogli fino a farli scoppiare; le cornacchie, i passeri e i colombi con la festosità della primavera già preparavano nidi, e le mosche ronzavano vicino ai muri, scaldate dal sole."
La rivoluzione dei garofani
Articolo da Codice Rosso
00:20 Radio Renascença trasmette Grândola, Vila Morena. È il segnale d’inizio delle operazioni militari. Sono arrestati gli alti ufficiali fedeli al regime e occupati i luoghi strategici, tra cui l’aeroporto di Lisbona e la prigione di Peniche, utilizzata dal 1930 come penitenziario per dissidenti politici e oggi sede del Museu da Resistência e da Liberdade.
03:10 I ribelli prendono il controllo della TV di stato RTP e delle stazioni radio Rádio Clube Português ed Emissora Nacional. Movimenti di truppe verso il quartiere Terreiro do Paço di Lisbona, sede delle istituzioni governative.04:20 Il Movimento delle Forze Armate (MFA) annuncia l’insurrezione attraverso un comunicato di Radio Clube Português. La fanteria occupa l’aeroporto di Lisbona.
05:45 Truppe ribelli occupano il Terreiro do Paço e pongono sotto assedio le sedi ministeriali.
06:00 Un plotone lealista giunge a Terreiro do Paço ma si unisce subito ai ribelli.
09:00 La fregata Gago Coutinho, in esercitazione con altre imbarcazioni NATO, riceve l’ordine di posizionarsi davanti al Terreiro do Paço e di aprire il fuoco contro i ribelli, ma si rifiuta di obbedire.
09:30 I ministri della difesa, dell’informazione, del turismo, dell’esercito, della marina, il capo di stato maggiore, il governatore militare di Lisbona e il sottosegretario all’esercito riescono a fuggire e a organizzare un comando lealista presso la caserma del 2º reggimento lanceri.
09:35 Arrivo a Terreiro do Paço di forze leali al governo. In seguito al rifiuto dei suoi ufficiali subalterni e dei soldati, di ubbidire l’ordine di sparare contro i ribelli, il comandante abbandona il terreno. Torna con altre forze ma nemmeno stavolta i soldati ubbidiscono.
11:30 Il comando dell’MFA ordina l’occupazione del quartier generale della Legione Portoghese e di avanzare verso il quartier generale della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) nel Quartel do Carmo, dove si trova il primo ministro Marcelo Caetano.
11:45 L’MFA annuncia di aver preso il controllo del paese.
12:30 Con l’appoggio della popolazione civile scesa in strada, i militari lanciano un ultimatum, minacciando di aprire il fuoco contro il quartier generale della GNR.
13:00 Truppe lealiste composte da fanti, poliziotti e gendarmi, cercano di assediare le truppe che attaccano il Quartel do Carmo, ma in meno di un’ora sono costrette alla resa.
13:40 Occupato il quartier generale della Legione Portoghese.
15:15 Artiglieri dell’MFA liberano le truppe arrestate in seguito al precedente tentativo di golpe del 16 marzo.
15:30 Viene aperto il fuoco contro il quartier generale della GNR.
16:15 Elementi della polizia politica (DGS) sparano sulla folla che circonda il loro quartier generale, provocando un morto e alcuni feriti.
16:30 In seguito alla minaccia di attaccare il quartier generale della GNR con mezzi blindati, Caetano si decide a trattare.
18:00 Caetano viene raggiunto dal generale António de Spínola, incaricato di proseguire le trattative.
19:30 Caetano si arrende. Viene scortato fino al comando dell’MFA circondato dalla folla.
21:00 La DGS, rimasta l’unica forza fedele alla dittatura, apre il fuoco sulla folla attorno al proprio quartier generale, uccidendo quattro civili e ferendone quarantacinque. Si arrende in seguito all’intervento di forze della Marina in appoggio all’MFA.
22:00 I paracadutisti dell’MFA costringono alla resa le ultime unità della DGS presso la prigione di Caxias a Lisbona.
23:20 Spínola approva la legge numero 1 del 25 aprile 1974 (Destituzione dei dirigenti fascisti), che decreta la destituzione del presidente della repubblica e del primo ministro, lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e del Consiglio di Stato e il passaggio dei poteri alla Giunta di Salvezza Nazionale composta da membri dell’MFA. Approva quindi i decreti legge 170/74, 171/74 e 172/74 ordinando la destituzione dei governatori civili delle province, la dissoluzione del partito unico Ação Nacional Popular (ANP), e lo scioglimento della DGS, della Legione Portoghese, della Mocidade Portuguesa e di altre associazioni di regime.
In 23 ore lo Estado Novo (Nuovo Stato), il regime dittatoriale instaurato da António Salazar nel 1933, era morto.
Senza rimpianti.
Postille
– l’insurrezione dei militari fu la principale conseguenza della lunga guerra per l’indipendenza condotta nelle colonie: Angola, Mozambico, Guinea-Bissau e Capo Verde ottennero l’indipendenza in un breve lasso di tempo; Timor si dichiarò indipendente ma venne invasa cinque giorni dopo dall’Indonesia; Macao restò territorio portoghese in vista di un futuro accordo con la Cina per il passaggio di sovranità, stipulato nel 1984 e attuato nel 1999.
– La Revolução dos Cravos (Rivoluzione dei garofani) deve il suo nome alla fioraia Celeste Caeiro che, in una piazza di Lisbona, offrì garofani ai soldati. Infilati nelle canne dei fucili divennero simbolo della rivoluzione e il segnale rivolto alle truppe governative perché non opponessero resistenza.
– Nell’estate calda del 1975 il governo attuò una riforma agraria per abolire il latifondo e ridistribuire la terra ai contadini. Nel nord del paese si formarono 2 gruppi terroristici di destra, l’ELP (Exército de Libertação Português) e l’MDLP (Movimento Democrático de Libertação de Portugal). Numerose sedi del Partito Comunista Portoghese (PCP) furono vandalizzate, le ambasciate di Spagna e Cuba incendiate da militanti di opposte formazioni politiche e per diversi mesi in tutto il paese si svolsero manifestazioni, occupazioni di case, fabbriche, terreni e scontri armati tra destra e sinistra.
Gli Stati Uniti, che avevano una base militare nelle Azzorre, sostennero con ingenti fondi i partiti loro amici.
A settembre, il governo venne fatto dimettere, sostituito da un governo più moderato diretto dall’ammiraglio Pinheiro de Azevedo.
Fonte: Codice Rosso
Autore: Rodrigo Andrea Rivas
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Articolo tratto interamente da Codice Rosso
Guernica sarà dichiarata luogo della memoria
Articolo da TerceraInformacion
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La città di Biscaglia di Gernika sarà il primo "luogo della memoria" che il governo dichiarerà in conformità con la legge sulla memoria democratica per il "bombardamento indiscriminato" contro la popolazione civile subito oggi 86 anni fa, ha evidenziato il ministro Félix Bolaños.
Bolaños, capo della Presidenza, Relazioni con il Parlamento e Memoria democratica, ha partecipato mercoledì agli eventi commemorativi per l'86° anniversario del bombardamento di Gernika , la prima volta che un ministro del governo spagnolo ha partecipato a questi eventi.
Nonostante la sua presenza questo mercoledì a Gernika, il lehendakari, Iñigo Urkullu, ha chiesto ancora una volta, prima della visita del ministro, un "gesto di giustizia riparativa" per le vittime dei bombardamenti commessi dagli alleati dei militari che hanno effettuato il golpe 'état contro il governo legittimo della Seconda Repubblica spagnola.
Insieme al ministro e al Lehendakari, altri membri del governo basco hanno partecipato agli eventi commemorativi; il presidente del PNV, Andoni Ortuzar; il segretario generale del PSE-EE, Eneko Andueza; il rappresentante di EH Bildu Gorka Elejabarrieta; e il parlamentare del PP Carmelo Barrio, tra altri esponenti istituzionali e politici.
Bolaños ha partecipato ai tradizionali quattro minuti di silenzio che si svolgono contemporaneamente, alle 15:45 , quando gli aerei tedeschi e italiani, alleati di Franco, hanno iniziato a bombardare la città, simbolo dei diritti e delle libertà storiche di cui godevano i Biscagliani con le monarchie regnanti in Spagna, e per mitragliare coloro che cercavano di sfuggire all'attacco.
Insieme ai lehendakari, il sindaco di Gernika, José María Gorroño; il presidente del parlamento basco, Bakartxo Tejeria, e un rappresentante del governo tedesco, Bolaños, hanno poi partecipato all'offerta floreale alle vittime di questo bombardamento.
Gernika, primo luogo della memoria
Dopo che il presidente del governo, Pedro Sánchez, ha annunciato questo martedì che Gernika sarà dichiarato "luogo della memoria " a causa dell '"orrore" del bombardamento fascista che la sua città subì nel 1937 , durante la guerra civile, Bolaños ha spiegato in dichiarazioni ai media che l'Esecutivo ha deciso che il primo luogo di questo tipo secondo la legge della memoria democratica è la città di Biscaglia.
Il ministro non ha alluso nelle sue dichiarazioni ai media alle riflessioni del Lehendakari, Iñigo Urkullu, il quale ha sottolineato che, a 86 anni dall'attentato, “è ancora pendente un gesto di giustizia riparativa” da parte dello Stato.
Bolaños, che non ha ammesso domande su questioni politiche di attualità, ha evidenziato che nei bombardamenti "morirono centinaia di persone innocenti per mano dei nazisti" e il Governo vuole riflettere che la loro memoria "è ancora presente" e che anche la democrazia è frutto del riconoscimento e della memoria di quelle vittime.
"Oggi ti viene ancora la pelle d'oca quando senti le sirene che hanno avvertito la popolazione del bombardamento", ha detto.
Il Governo, con le vittime
Bolaños ha sottolineato, "86 anni dopo quel massacro che Picasso ha immortalato" nel suo dipinto di fama mondiale 'Guernica' , che come membro del governo spagnolo desidera trasmettere alle vittime: "non li dimentichiamo, e la loro memoria è ciò che ispira anche la nostra democrazia".
Il ministro ha ritenuto "molto simbolico" che, nonostante gli "atroci bombardamenti operati da nazisti, golpisti e fascisti", l'albero di Gernika, "sotto il quale giurano i lehendakaris e simbolo della libertà di Euskadi", rimarrà "alzato " dopo l'attacco aereo.
"Il brutale bombardamento non ha raggiunto il suo obiettivo" , quello di impedire alla Spagna "di essere quello che è, una democrazia europea avanzata, di valori e diritti", ha aggiunto Bolaños.
Richiesta di perdono
In mattinata il sindaco di Gernika, José María Gorroño, ha ribadito il suo appello al governo centrale perché riconosca "la responsabilità di Franco" nell'attentato e chieda la "grazia".
Il sindaco ha affermato che la presenza di Bolaños a Gernika questo pomeriggio rappresenta "un ulteriore passo" nei gesti del governo nei confronti del comune, ma ha indicato che è necessario che "si dica ufficialmente chi ha ordinato l'attentato".
Prima dei formali atti di ricordo, in mattinata, il Comune di Gernika ha reso omaggio al giornalista britannico George Steer, che ha fatto conoscere al mondo la devastazione causata dal raid aereo, con la partecipazione del figlio, John Steer, che ha ha insistito sul fatto che, nonostante i progressi tecnologici, sono ancora necessari giornalisti " onesti e coraggiosi" per conoscere "la verità dei fatti " .
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Fonte: TerceraInformacion
Autore: TerceraInformacion.es
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Articolo tratto interamente da TerceraInformacion.es
Le dipendenze comportamentali della generazione Z
Articolo da Pressenza
Oltre un milione e 150mila adolescenti in Italia sono a rischio di dipendenza da cibo, quasi 500mila potrebbero avere una dipendenza da videogiochi mentre quasi 100mila presentano caratteristiche compatibili con la presenza di una dipendenza da Social Media, ed è diffuso anche il fenomeno dell’isolamento sociale (conosciuto come Hikikomori nella sua manifestazione clinica estrema), che riguarda l’1,8% degli studenti medi e l’1,6% di quelli delle superiori. Inoltre, proprio coloro che presentano rischio maggiore sono quelli che maggiormente dichiarano di avere difficoltà a parlare con i propri genitori di cose che li preoccupano. E’ quanto emerge dallo studio “Dipendenze comportamentali nella Generazione Z”, frutto di un accordo tra il Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità, presentato di recente a Roma.
Qui per approfondire la Ricerca: https://www.iss.it/-/comunicato-stampa-n%C2%B023/2023-dal-cibo-ai-social-quasi-2-milioni-di-adolescenti-della-generazione-z-a-rischio-dipendenze-comportamentali .
E che le condizioni di benessere psicologico dei ragazzi di 14-19 anni siano peggiorate lo certifica anche il Rapporto BES 2022 dell’ISTAT, che sottolinea come nel 2021 il punteggio di questa fascia di età (misurato su una scala in centesimi) sia sceso a 66,6 per le ragazze (-4,6 punti rispetto al 2020) e 74,1 per i ragazzi (-2,4 punti rispetto al 2020). Il Rapporto, tra le tante altre cose, evidenzia anche il miglioramento della percentuale di giovani non più inseriti in un percorso scolastico/formativo e non impegnati in un’attività lavorativa, i NEET (Neither in Employment nor in Education and Training), sottolineando però che “sono tutte del Mezzogiorno le regioni con i valori più elevati di NEET, e sette hanno valori superiori al 20% (Sicilia 32,4%, Campania 29,7%, Calabria 28,2%, Puglia 26,0%, Sardegna 21,4%, Molise 20,9%, Basilicata 20,6%)”. E il divario Nord- Sud attraversa tutto il Rapporto BES 2022.
Qui il Rapporto Benessere Equo e Sostenibile 2022:
https://www.istat.it/it/files//2023/04/Bes-2022.pdf .
Ritornando alle dipendenze e nello specifico alla dipendenza patologica da internet, i dati evidenziano che: il 2,5% del campione presenta caratteristiche compatibili con la presenza di una dipendenza da social media (circa 99.600 studenti), percentuale che nel genere femminile raggiunge il 3,1% nelle studentesse di 11-13 anni e il 5,1% nelle studentesse di 14-17 anni; il rischio di disturbo da uso di videogiochi vede coinvolto il 12% degli studenti (circa 480.000 studenti italiani); il genere maschile è più colpito, con la percentuale che arriva al 18% negli studenti maschi delle secondarie di primo grado e al 13,8% negli studenti delle superiori (contro il 10,8% nelle scuole medie e il 5,5% nelle scuole superiori per le femmine); rispetto all’età, la percentuale di rischio maggiore si rileva nelle scuole medie con il 14,3% dei ragazzi a rischio, mentre il dato scende al 10,2% alle superiori; i fattori associati sono la depressione moderatamente grave o grave, con un rischio di 5,54 volte maggiore nei ragazzi di 11-13 anni e 3,49 nei ragazzi 14-17 anni e un’ansia sociale grave o molto grave, con un rischio di 3,65 volte maggiore rispetto alla media nei ragazzi di 11-13 anni e 5,80 nei ragazzi 14-17 anni; gli studenti di 11-13 anni con un rischio di Social Media addiction dichiarano una difficoltà comunicativa con i genitori nel 75,9% dei casi (questa percentuale scende al 40,5% in chi non presenta il rischio).
La dipendenza da Internet si riferisce a qualsiasi comportamento compulsivo correlato alla rete che provoca difficoltà nello svolgimento dell’attività lavorativa, nei rapporti affettivi, interferendo con lo svolgimento delle attività quotidiane. Per prevenire la dipendenza da internet, promuovere percorsi educativi e favorire il trattamento dei comportamenti compulsivi è stato messo a punto il progetto Rete senza fili, coordinato dal Centro Nazionale Dipendenze e Doping con il supporto tecnico e finanziario del Ministero della Salute e il coinvolgimento di 7 Regioni. Il progetto si propone di informare sul pericolo dell’uso eccessivo di Internet e degli strumenti tecnologici (social media, videogiochi, Internet), migliorando le competenze dei ragazzi (life skill) e favorendo l’accesso dei soggetti a rischio ai servizi sociosanitari: https://retesenzafili.it/. Sul sito è possibile anche scaricare alcuni manuali utili: https://retesenzafili.it/manuali-download/.
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Basta morti sul lavoro!
Ogni giorno un lavoratore non torna a casa e muore sul lavoro...
Vi invito a riflettere su questi dati:
Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro
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Infortunio sul lavoro di Edgar Lee Masters
Fu proprio come sempre nella vita:
qualcosa mi tirò giù dall'esterno,
la mia forza non mi abbandonò mai.
Perché ci fu il tempo che lavorando
mi pagavo la scuola,
e mio padre ebbe bisogno d'improvviso
e io dovetti dargli tutto.
Così andò sempre finché finii
operaio giornaliero a Spoon River.
E quando dovetti pulire la torre dell'acqua
e mi issarono per settanta piedi, .
io mi sfibbiai la corda dalla cintola
e allegramente gettai le mie braccia giganti
sopra l'orlo d'acciaio della cima
mi scivolarono sul limo traditore;
e piombai giù, giù, giù
nella tenebra ruggente!
Madre operaia di Ada Negri
Nel lanificio dove aspro clamore
cupamente la volta ampia percote,
e fra stridenti rote
di mille donne sfruttasi il vigore,
già da tre lustri ella affatica. - Lesta
core a la spola la sua man nervosa,
né l'altra e fragorosa
voce la scote de la gran tempesta
che le scoppia dattorno. - Ell'è sì stanca,
qualche volta; oh, sì stanca e affievolita!...
Ma la fronte patita
spiana e rialza, con fermezza franca;
e par che dica: «Avanti ancora!...» - Oh, guai,
oh, guai se inferma ella cadesse un giorno,
e al suo posto ritorno
far non potesse, o sventurata, mai!... -
Non lo deve; non lo può. - Suo figlio, il solo,
l'immenso orgoglio de la sua miseria,
cui ne la vasta e seria
fronte del genio essa divina il volo,
suo figlio studia. - Ed essa all'opificio
a stilla a stilla lascerà la vita,
e affranta, rifinita,
offrirà di se stessa il sacrificio;
e la tremante e gelida vecchiaia
offrirà, come un dì la giovinezza,
e salute, e debolezza
di riposo offrirà, santa operai;
ma il figlio studierà. - Temuto e grande
Lo vedrà l'avvenire; ed a la bruna
sua testa la fortuna
d'oro e di lauro tesserà ghirlande!...
... Ne la stamberga ove non giunge il sole
studia, figlio di popolo, che porti
scritte negli occhi assorti
de l'impegno le mistiche parole,
e nei muscoli fieri e nella sana
verde energia de le tue fibre serbi
gli ardimenti superbi
de la indomita razza popolana.
Per aprirti la via morrà tua madre;
a l'intrepido suo corpo caduto
getta un bacio e un saluto,
e corri incontro a le nemiche squadre,
D'altri orizzonti il folgorar sublime
move ed eccelse cime
addita al vecchio secol che tentenna:
e incorrotto tu sia, saldo ed onesto...
Nel vigile clamor d'un lanificio
tua madre il sacrificio
de la sua vita consumò per questo.
Ada Negri
Non so se siano le ombre...
"Non so se siano le ombre o le immagini che ci occultano la realtà. Possiamo discutere su questo tema all'infinito, certo è che abbiamo perso la capacità critica per analizzare ciò che avviene nel mondo. Per cui è come se stessimo chiusi nella caverna di Platone. Abbiamo abbandonato la nostra responsabilità di pensare, di agire. Ci siamo tramutati in esseri inerti senza la capacità di indignazione, di anticonformismo e di protesta che ci ha caratterizzato per tanti anni."
José Saramago
Proverbio del giorno
Un giudice di Parigi assolve Airbus e Air France dall'accusa di omicidio colposo nell'incidente del 2009 in cui morirono 228 persone
Articolo da Wikinoticias
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Lunedì, un giudice di Parigi, in Francia, ha dichiarato Air France e Airbus non colpevoli di omicidio colposo nell'incidente del volo Air France 447 (AF447) del 2009, che ha ucciso tutte le 228 persone a bordo, concludendo il primo processo. storia francese.
Il giudice Sylvie Daunis ha affermato che Airbus è stata negligente quattro volte e Air France una volta, ma: "Un probabile nesso causale non è sufficiente per caratterizzare un crimine". ((fr)) Ha riaffermato la responsabilità civile delle società, secondo cui Air France aveva pagato i risarcimenti alle famiglie, fissando al 4 settembre un'udienza sui maggiori danni civili.
Airbus e Air France avrebbero potuto essere multate fino a 225.000 euro ciascuna se ritenute colpevoli. Air France-KLM ha registrato entrate per 7,1 miliardi di euro nel quarto trimestre del 2022, mentre Airbus ha dichiarato che le sue entrate sono state di 20,64 miliardi di euro nello stesso periodo. Reuters ha citato fonti che hanno riferito che le parti avevano anche raggiunto un accordo per trasferire importi non divulgati.
La nipote di Claire Durousseau era uno dei 216 passeggeri provenienti da 33 paesi a bordo dell'AF447, il più mortale incidente aereo francese della storia. Dopo il verdetto, ha detto: "I nostri perduti sono morti una seconda volta. Mi sento male". Da parte sua, la presidente dell'associazione delle famiglie delle vittime Mutuo soccorso e solidarietà (Entraide et Solidarité) AF447, Danièle Lamy, ha dichiarato ai media che dopo controversie legali "caotiche" per più di dieci anni, compreso questo processo durato nove settimane lo scorso anno, le famiglie erano "mortificate e sopraffatte". E un avvocato delle famiglie, Alain Jakubowicz, ha commentato: "Ci è stato detto che Air France, Airbus è responsabile, ma non colpevole. Stavamo aspettando la parola 'colpevole'".
Gli imputati hanno espresso in modo indipendente la loro compassione per le famiglie e hanno affermato il loro sostegno alla sicurezza. Da parte sua, Air France ha dichiarato che le cause dell'incidente sono sconosciute.
I querelanti erano parenti delle vittime, poiché l'accusa ha chiesto l'assoluzione tra il processo e il verdetto, adducendo prove insufficienti per ritenere responsabili le società piuttosto che i piloti.
Lunedì Daunis ha trovato Airbus negligente per non aver sostituito lo schema dei tubi di Pitot, sensori di velocità all'aria all'esterno di un aereo, responsabili di incidenti precedenti e per non aver correlato i rapporti sugli incidenti aerei per identificare un problema con i pitot. Il giudice ha affermato che il display della cabina di pilotaggio dell'Airbus non informava i piloti dei problemi nella stessa misura in cui lo faceva i controllori del traffico aereo. Gli investigatori hanno fatto affidamento su avvisi in codice per indagare sulle cause dell'incidente prima che il relitto principale fosse scoperto nel 2011. Lunedì ha anche scoperto che Air France ha agito per negligenza non ricordando ai piloti i precedenti problemi di Pitot.
L'AF447, che stava volando da Rio de Janeiro, in Brasile, a Parigi, è precipitato nell'Oceano Atlantico il 31 maggio 2009 ora locale (UTC-03:00). Il 3 aprile 2011, i sottomarini robotici gestiti dalla Woods Hole Oceanographic Institution hanno trovato il relitto principale dell'A330-200 a circa 4.000 metri (13.123,4 piedi) di profondità; il BEA ha recuperato i registratori vocali della cabina di pilotaggio dall'aereo con un velivolo simile a maggio.
Gli investigatori del Bureau of Investigation and Analysis for Civil Aviation Safety (BEA) hanno concluso che il ghiaccio si era accumulato sui pitot, disabilitando il pilota automatico e l'acceleratore automatico. Hanno detto che l'aereo è andato in stallo e ha emesso avvisi, che i piloti hanno ignorato; Airbus era d'accordo con questa spiegazione. Air France, l'Unione nazionale dei piloti di linea e Entraide et Solidarité AF447 hanno criticato la BEA per aver concentrato le sue indagini sulla compagnia aerea invece di indagare anche su Airbus.
L'incidente dell'AF447 ha portato a nuove normative sui test dei sensori e sull'addestramento dei piloti.
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Fonte: Wikinoticias
Autori: vari
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martedì 25 aprile 2023
Oggi 25 aprile...
Oggi 25 aprile, ricorre l'anniversario della Liberazione e cioè la fine della guerra nel 45 in Italia e l'inizio di una nuova storia. Le forze della resistenza, dopo due anni di lotta contro il nazifascismo, vincono. La resistenza sorse quando; caduto il regime fascista il 25 luglio 1943 e firmato l'armistizio con gli alleati, in data 8 settembre del 43, le forze politiche antifasciste, che si erano riorganizzate, chiamarono il popolo a raccolta per cacciare i fascisti e i tedeschi.
Costituirono il movimento di Resistenza, forze diverse tra loro per orientamento politico e impostazione ideologica; ma unite nel comune obiettivo di sconfiggere il nazifascismo e conquistare la libertà. E' stato calcolato che i caduti nella Resistenza italiana (in combattimento o eliminati dopo essere finiti nelle mani dei nazifascisti), siano stati complessivamente circa 44.700, altri 21.200 rimasero mutilati o invalidi. Tra partigiani e soldati italiani caddero combattendo almeno 40.000 uomini. Le donne partigiane combattenti furono 35.000 e 70.000 fecero parte dei gruppi di difesa della Donna; 4.653 di loro furono arrestate e torturate, oltre 2.750 vennero deportate in Germania, 2.812 fucilate e impiccate, 1.070 caddero in combattimento e diciannove vennero, nel dopoguerra, decorate con Medaglie d'oro al valor militare.
Ricordiamo anche le vittime civili che furono oltre 10.000. Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nella valle tra il Reno e la Setta (Marzabotto, Grinzana e Monzuno), i soldati tedeschi massacrarono sette partigiani e 771 civili e uccisero in quell'area 1.830 persone.
Tutte queste cifre ci dovrebbero far riflettere; anche perché la memoria storica sta lentamente scomparendo e molti giovani non conoscono l'importanza di questa giornata. Ovviamente c'è chi vuol fare revisionismo storico e tutto questo è altamente pericoloso.
Questa giornata è sempre stata vista erroneamente come una festa di un solo colore politico; ma a combattere settant'anni fa c'erano: comunisti, socialisti, cattolici, militari dissidenti, anarchici, perseguitati razziali, preti e tutti quelli che si sentivano antifascisti.
La festa di Liberazione, quindi, è di tutti e riguarda tutti gli italiani e non possiamo dimenticare quei mesi sanguinari; ma pieni di passione, orgoglio e coraggio.
Autore e ricerca storica a cura di Mariangela B.
Coautore Cavaliere oscuro del web
lunedì 24 aprile 2023
Un governo che non ama l'antifascismo
Articolo da CRS - Centro per la Riforma dello Stato
La strategia in tre mosse della destra meloniana sul fascismo e l’antifascismo, una guerra culturale cruciale per ribaltare l’egemonia della sinistra sulla visione della storia nazionale. Con il contributo decisivo della stampa liberale mainstream e la copertura del sostegno alla resistenza ucraina
Non c’era bisogno delle esternazioni del ministro Lollobrigida sulla “sostituzione etnica” per rendersi conto delle matrici culturali di chi ci governa (è bene ricordarlo per restare ancorati al principio di realtà, non con la maggioranza ma con il 13% dei voti dell’elettorato). Bastava quello che è successo poche settimane fa in quel di Cutro, con quella concezione gerarchizzata delle vite che contano e che non contano sottostante al mancato soccorso dei naufraghi, e delle morti che contano e che non contano sottostante all’ostentata indifferenza con cui la Presidente del Consiglio ha evitato di posare anche solo uno sguardo sulle bare delle vittime. Che cos’altro se non questa gerarchizzazione delle vite e delle morti porta alla “soluzione” dei campi, di concentramento e sterminio ieri e di detenzione e tortura oggi, nello stesso momento in cui, ieri e oggi come ieri, si piange sulla denatalità e si celebra la donna come madre della nazione e dei nativi?
Nemmeno c’era bisogno dell’annuncio del 25 aprile praghese di Ignazio La Russa, con annessa barzelletta sull’assenza dell’antifascismo nella Costituzione, per assodare quale sia la strategia degli ex-post-neo fascisti rispetto al fascismo e all’antifascismo. Bastava il suo discorso di insediamento alla seconda carica dello Stato, giudicato all’epoca con connivente clemenza dalla stampa mainstream, e bastava pure l’autobiografia di Giorgia Meloni, per capire che la suddetta strategia non è estemporanea, non è una mera provocazione, non divide bensì unisce la Presidente del Consiglio e i suoi “fratelli”, e si articola in tre mosse.
Prima mossa: equiparare nazifascismo e comunismo sotto il titolo comune di totalitarismo, e non concedere alcuna presa di distanza dal primo senza pretendere in cambio l’abiura del secondo, anzi rivendicare, come eredi del fascismo, un processo di democratizzazione avvenuto che gli eredi del comunismo non avrebbero invece portato a compimento.
Seconda mossa, la più specificamente meloniana: identificare l’antifascismo della Resistenza con l’antifascismo militante degli anni ‘70 (e quest’ultimo con i suoi episodi più scriteriati e nefasti tipo l’incendio di Primavalle, oggetto nei giorni scorsi di una campagna cinicamente strumentale sui giornali della destra all’unisono), in modo da poter continuare a vittimizzare “i fratelli allora morti sul selciato” (ovviamente esentandoli da qualunque corresponsabilità nello stragismo neofascista del quale sempre si tace), e in modo da poter continuare a sostenere che i conti in sospeso in Italia non sono quelli con il fascismo, bensì quelli con l’antifascismo.
Terza mossa: derubricare il fascismo a un incidente di percorso nella lunga storia della “nazione”, ad esempio annacquando il senso della data del 25 aprile in una lista insensata di date che vanno dal 17 marzo, proclamazione del Regno d’Italia nel 1861, al 18 aprile, vittoria della Dc sul fronte socialcomunista nel 1948, al 9 novembre, caduta del Muro di Berlino nel 1989.
Sono i tre cardini di una “guerra culturale” condotta dal Governo nella piena consapevolezza che attraverso di essa passa gran parte del tanto agognato trasferimento di egemonia dalla sinistra alla destra nella storia repubblicana. Grave errore è considerare questa guerra un diversivo per distrarre l’opinione pubblica dalle inefficienze del Governo sui problemi del presente, vedi l’inflazione o il Pnrr, con il cabaret sul passato. La visione del passato e l’azione nel presente sono com’è noto sempre intrecciate. E infatti questa visione del passato è confermata e corroborata dall’azione di governo per come si è configurata fin qui: corporativizzazione della società e dell’economia, xenofobia galoppante, attacco ai diritti sociali e civili, demolizione della forma di stato repubblicana con le annunciate riforme del presidenzialismo e dell’autonomia differenziata, rivalutazione del passato coloniale (la visita di Meloni in Etiopia senza una parola sulle nefandezze lì compiute da Mussolini e dal generale Graziani oggi monumentalizzato è uno degli atti più indecenti e più sintomatici, nonché più sottovalutati, del melonismo).
Ce n’è quanto basta dunque per rilanciare l’antifascismo come postura di lotta politica sul presente e non come celebrazione vuota del passato. Ma ce n’è quanto basta anche per rimettere la questione del rapporto fra presente e passato sui binari giusti, dai quali continuamente deraglia grazie a un dibattito mal posto, che liquida qualunque allarme sui possibili ritorni di fascismo nella democrazia italiana (e non solo italiana) sulla base di una presupposta incomparabilità fra le nuove destre e il fascismo novecentesco.
Tralasciamo il fatto, ovvio, che le congiunture storiche diverse sono comparabili per definizione, altrimenti lo stesso lavoro degli storici non avrebbe senso, e che la comparazione con il passato fascista è non solo lecita ma dovuta in un paese come l’Italia che il fascismo l’ha inventato e ce l’ha impresso nel DNA, e veniamo al punto, un tantino più complesso di come viene liquidato. Perché se è vero che dopo mezzo secolo di neoliberalismo il fascismo non può tornare nella sua configurazione novecentesca, statalista, autoritaria e repressiva, è altrettanto vero che ingredienti basilari della cultura fascista possono transitare sotto forme istituzionali e disciplinari diverse da quelle del regime di un secolo fa. E se è vero che le destre radicali di oggi sono fatte da una miscela assai contraddittoria – libertarismo e autoritarismo, moralismo e nichilismo, individualismo e populismo, tradizionalismo e nuovismo, liberismo e protezionismo – e diversa da quella dei partiti fascisti del passato, è altrettanto vero che gli ingredienti di questa miscela si combinano a loro volta con quelli che della tradizione fascista sono i più classici, dal nazionalismo al razzismo al sessismo, il tutto sotto il velo legittimante di forme democratiche svuotate di sostanza. E infatti quello a cui stiamo assistendo non è un ritorno del fascismo storico: è un non meno allarmante riciclaggio democratico della sua cultura politica.
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Fonte: CRS - Centro per la Riforma dello Stato
Autore: Ida Dominijanni
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Articolo tratto interamente da CRS - Centro per la Riforma dello Stato
Ma quando finirà?
Francesco: Finirà, Pina, finirà, e tornerà pure la primavera e sarà più bella delle altre, perché saremo liberi. Bisogna crederlo, bisogna volerlo! […] Non dobbiamo aver paura né oggi né in avvenire perché siamo nel giusto, nella via giusta, capisci Pina? Noi lottiamo per una cosa che deve venire, che non può non venire. Forse la strada sarà un po’ lunga e difficile, ma arriveremo e lo vedremo un mondo migliore, e soprattutto lo vedranno i nostri figli: Marcello e lui, quello che aspettiamo. Per questo non devi aver paura, mai Pina, qualunque cosa succeda.
Dialoghi tratti dal film Roma città aperta
Una lotta per una società pacifica e democratica
"Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, che di queste non ce ne sono."
Italo Calvino
Non è un 25 aprile come tutti gli altri
Articolo da Volere la luna
Non è un 25 aprile come tutti gli altri che, dal 1945, lo hanno preceduto: perché è il primo in cui il governo e le massime istituzioni della Repubblica sono in mano a un partito fascista. Per reagire, e per onorare davvero la lotta e il sacrificio dei partigiani, è doveroso avere il coraggio di dirlo senza remore: diffondendo le argomentazioni di coloro che, nei loro studi, non solo lo dicono, ma lo dimostrano testi alla mano. Ne cito, a titolo di esempio, due di genere e taglio assai diversi: il recente saggio dello storico inglese David Broder (Mussolini’s Grandchildren. Fascism in Contemporary Italy, Pluto Press 2023), e l’inchiesta del giornalista Andrea Palladino (Meloni segreta, Ponte alle Grazie 2023). È quindi necessario chiedersi come sia stato possibile: perché «prima di agire, bisogna capire», come dicevano i fratelli Rosselli un secolo fa. E qua la risposta è necessariamente articolata, almeno in tre punti.
Primo. Ci sono ragioni storiche di lungo periodo: dopo la guerra non si sono fatti i conti fino in fondo con il fascismo e con i fascisti. Il malinteso imperativo della continuità dello Stato ha impedito la necessaria discontinuità della classe dirigente, e una troppo veloce e larga auto-assoluzione ha restituito agli italiani l’illusione di essere ‘brava gente’ (su questo si veda, da ultimo, P. Corner, Mussolini e il fascismo. Storia, memoria e amnesia, Viella 2022): un’illusione che ha permesso una ricaduta nella malattia. Inoltre, il viscerale anticomunismo del capitalismo italiano e degli Stati Uniti ha consentito che risorgesse, in barba al veto costituzionale, un partito ovviamente fascista, che alla fine (dopo ‘svolte’ totalmente false) è stato riportato al governo (negli enti locali e nel Paese) da Silvio Berlusconi, sempre in chiave anticomunista e grazie all’involuzione (profondamente contraria allo spirito della Costituzione) di un sistema elettorale maggioritario, e dunque tendenzialmente bipolare. Tutto questo culmina nello sbandamento di una ‘sinistra’ che – da Violante a Ciampi, dalla legge sul Giorno del Ricordo ai troppi silenzi di Sergio Mattarella – finisce con l’affondare più o meno consapevolmente l’antifascismo della Repubblica.
Secondo. Questi fatti spiegano perché i fascisti non siano spariti, non perché siano tornati alla guida del Paese. E qua la spiegazione è nel drammatico smontaggio del progetto costituzionale avvenuto soprattutto ad opera dei governi di centro-sinistra: quello era il progetto dell’antifascismo per l’Italia, quello abbiamo distrutto. Nelle parole di Piero Calamandrei, quel progetto consisteva nel «dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità d’uomini. Soltanto quando questo sarà raggiunto si potrà veramente affermare che la formula contenuta nell’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica, perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale» (1955). Le democrazie puramente formali presto si ammalano e muoiono: ed è esattamente quel che è avvenuto a noi. Siamo malati, e la diagnosi non è delle più fauste. La profonda ingiustizia sociale ha allontanato i cittadini dalla democrazia: e un astensionismo enorme ha portato – con i voti del 28% degli aventi diritto al voto – al governo del Paese una coalizione di estrema destra, guidata da un partito fascista. In questa (ovvia) analisi c’è anche il rimedio: l’unico antifascismo in grado di rigettare i fascisti nelle fogne della democrazia, è una politica che ricominci a costruire giustizia sociale, e dunque partecipazione.
Terzo. Manca ancora un pezzo di risposta per spiegare come sia stato possibile che in un paese come l’Italia i fascisti siano tornati al governo. Quel pezzo si trova in una intervista di Marine Le Pen concessa a Repubblica pochi giorni fa. Qui la leader dell’estrema destra francese diceva di avere le stesse idee di Giorgia Meloni, tranne che su un punto: la guerra. Alludeva all’attuale, oltranzistica, fedeltà atlantica di Meloni: la quale, ribaltando una lunga retorica antiamericana, sposa ora senza riserve le ragioni della Nato, delle armi, della acritica sottomissione alla dottrina americana che vuole il mondo dominato da una sola potenza, in nome della superiorità della cultura occidentale. Questa differenza, cruciale, tra Le Pen e Meloni spiega perché il Front Nationale sia pacificamente definito da tutti come un partito di estrema destra, xenofoba e razzista, mentre per Fratelli d’Italia la stampa occidentale preferisca parlare di forza ‘conservatrice’: anche se le idee sono esattamente le stesse (salvo, appunto, una: ma decisiva). La triste verità è che, per gli Stati Uniti e per le classi dirigenti europee, lo spartiacque non è quello tra fascismo e antifascismo, ma tra fedeltà atlantica (ivi compresa un’acritica accettazione del dogma del TINA neoliberista) e multilateralismo. Per questo si accetta di buon grado che l’Italia si trovi nella condizione della Polonia: con un governo illiberale e xenofobo che però offre assolute garanzie nella lotta contro la Russia, e quindi contro la Cina. Naturalmente questo significa concedere ai governi di estrema destra mano libera sui diritti civili, e sulle vite dei marginali (poveri, migranti, diversi di ogni sorta): un danno collaterale irrilevante nel grande scacchiere della volontà di potenza mondiale.
Del resto, Fratelli d’Italia nasce esattamente per sfruttare questa finestra di opportunità. Prendiamo i suoi tre fondatori ufficiali: Ignazio La Russa, Guido Crosetto e Giorgia Meloni. Il primo rappresenta (in modo perfino caricaturale) la fedeltà al fascismo storico, e la militanza nel torbido e sanguinario neofascismo del dopoguerra. Il secondo rappresenta la garanzia di totale organicità ai dogmi del liberismo economico e alle esigenze del sistema militare-industriale e dunque della guerra. La terza rappresenta l’apertura all’ideologia dell’estrema destra internazionale (da Orban a Bolsonaro a Trump). Quest’ultimo punto merita qualche parola in più. Nonostante l’affettuosa deferenza per Giorgio Almirante e alcune giovanili dichiarazioni di entusiasmo per Mussolini, Meloni è attenta a smarcarsi dal fascismo nostalgico alla La Russa. La ragione è la volontà di essere, e apparire, in sintonia con un nuovo fascismo che – pur nella sostanziale continuità ideologica con le idee di Hitler o di Evola – non ha bisogno di un apparato simbolico storico, e costruisce nuovi simboli e nuovi miti.
In questo 25 aprile, prendetevi un momento per guardare un terribile video del 2013 (in francese, con sottotitoli in inglese: https://www.youtube.com/watch?v=XA5S5Qrg6CU). È la ‘dichiarazione di guerra’ alle democrazie lanciata da Génération Identitaire, un movimento politico nato in Francia (e lì sciolto dal governo nel 2017) che fa della ‘questione etnica’ il fulcro di una politica fondata sulla paura e sull’odio. La linea è quella del suprematismo bianco: e in concreto quel movimento ha organizzato una serie di attacchi anche fisici contro le Ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo. I simboli non sono le svastiche: ma, come si spiega nell video, i ‘lambda’, cioè le lettere greche che figuravano tra gli emblemi degli Spartani (‘lambda’ è la lettera iniziale di Lacedemoni, altro nome degli Spartani). La scelta cade sulla grande antagonista della democratica Atene: una città governata da una minoranza (gli Spartiati) che dominava attraverso la violenza e il terrore su una maggioranza (gli Iloti) etnicamente diversa. Un modello atroce, fatto proprio dall’organizzazione studentesca di Fratelli d’Italia. Un esempio eloquente: il percorso formativo di Azione studentesca si chiama ‘agoghé’, come quello dei giovani spartiati, che in esso si formavano alla resistenza fisica, e alla violenza (anche attraverso uccisioni rituali e impunite degli Iloti). Una ricca documentazione iconografica mostra come i ragazzi italiani che crescono all’ombra della Presidente del Consiglio non ricorrano ai fasci o alle svastiche (anche se la croce celtica rimane il simbolo ufficiale di Azione studentesca), ma ai simboli dell’antica Sparta: un mimetismo formale che mette i giovani di estrema destra italiana al riparo dalle accuse di fascismo nostalgico, e in connessione con i loro camerati di tutta Europa, consentendo una perfetta, e indisturbata, continuità con gli ‘ideali’ fascisti e nazisti. Vale la pena di ricordare che è stata proprio Azione studentesca la responsabile, nel febbraio scorso, del pestaggio dei ragazzi del Liceo Michelangiolo, a Firenze: e che nello stesso palazzo fiorentino hanno sede Fratelli d’Italia, Casaggì (nome locale di Azione studentesca) e la casa editrice “Passaggio al bosco” (etichetta esplicitamente jüngeriana che allude alla ribellione contro la democrazia), il cui catalogo è ricco di testi su Sparta, e sulla sua mistica del razzismo violento. È in questo quadro che si deve leggere l’uscita sulla ‘sostituzione etnica’ del ministro Lollobrigida, cognato di Meloni. Lungi dall’essere frutto di “ignoranza”, come penosamente asserito dall’interessato, si tratta della maldestra esibizione della parola d’ordine chiave per questa nuova-vecchia destra europea che fa della questione razziale e migratoria il centro di un intero sistema di pensiero e azione. Negli ultimi decenni si possono documentare decine e decine di uscite di Salvini, Meloni e molti altri leader della destra italiana sulla sostituzione etnica: e ora la tragedia di Cutro mostra come proprio quell’ideologia ispiri le azioni e le omissioni dell’attuale governo della Repubblica.
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Fonte: Volere la luna
Autore: Tomaso Montanari
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Articolo tratto interamente da Volere la luna