domenica 30 gennaio 2022

Sergio Mattarella è stato rieletto Presidente della Repubblica

Presidente Sergio Mattarella


Articolo da Voce di Napoli

All’Ottavo scrutinio è stato eletto Sergio Mattarella come Presidente della Repubblica. Nonostante il Capo dello Stato in carica nei giorni scorsi avesse detto di non voler fare un altro mandato, questa mattina ha confermato la sua disponibilità a Mario Draghi e poi ai leader dei vari partiti. Roberto Fico al termine dello spoglio ha letto i risultati alla Camera alla presenza dei grandi elettori: Sergio Mattarella ha raggiunto il quorum che era fissato a 505 voti, superandolo con 759 voti. Alla lettura del voto numero 505 è partito un lungo applauso: Sergio Mattarella sarà Presidente della Repubblica per il prossimo settennio.

Sergio Mattarella rieletto Presidente della Repubblica

Così, dopo diverse votazioni andate tutte a vuoto, l’accordo è stato raggiunto su un Mattarella Bis. Il Capo dello Stato si prepara a iniziare il suo secondo mandato.

Il giuramento potrebbe essere previsto già per giovedì. Se molti leader politici esultano per la rielezione di Sergio Mattarella, è lo stesso Enrico Letta a chiarire che la politica italiana sta vivendo una crisi profonda. “Siamo stati costretti a chiedere al Presidente della Repubblica di essere rieletto, questo è il segno di una profonda fase di crisi della politica. Di questo dobbiamo essere consapevoli. Tutti i passaggi politici hanno dimostrato, nel momento più difficile in assoluto, che il campo largo esiste grazie al nostro lavoro: siamo riusciti a tenere tutti attorno. Il passaggio del punto in cui il piano si faceva inclinato è stato ieri mattina tra le nove e le dieci, in cui legittimamente potevate essere tuti diffidenti rispetto alle indicazioni che arrivavano, ma siete rimasti fiduciosi sul fatto che le scelte che stavamo facendo erano quelle giuste. Un passaggio determinante”, questo il lungo post del segretario del PD prima che si votasse.

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Fonte: Voce di Napoli

Autore: redazione Voce di Napoli


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Proverbio del giorno

 

Se i giorni della merla sono freddi, la primavera sarà bella; se sono caldi, la primavera arriverà in ritardo.



L'odio può essere sconfitto soltanto con l'amore



"Il genere umano può liberarsi della violenza soltanto ricorrendo alla non-violenza. L'odio può essere sconfitto soltanto con l'amore. Rispondendo all'odio con l'odio non si fa altro che accrescere la grandezza e la profondità dell'odio stesso."

Mahatma Gandhi


sabato 29 gennaio 2022

25 marzo: nuovo sciopero globale per il clima



Comunicato da Fridays for future

Gli attivisti di Fridays For Future annunciano il prossimo Sciopero Globale per il Clima #PeopleNotProfit

Fridays For Future Italia si sta preparando per il prossimo Sciopero Globale per il Clima del 25 marzo 2022 per chiedere che i paesi del Nord del Mondo garantiscano dei risarcimenti climatici alle comunità più colpite e che i leader mondiali smettano di fare discorsi pieni di greenwashing e intraprendano una vera azione per la salvaguardia del clima.

I risarcimenti climatici richiesti non sono beneficenza, ma fanno parte di un processo di giustizia trasformativa in cui il potere politico tornerà alle persone e alle comunità. Non dovranno essere concessi sotto forma di “prestiti”, ma di “finanziamenti”, come una risposta alle richieste delle comunità indigene ed emarginate; per restituire le terre alle comunità, dare risorse a quelle più colpite dalla crisi climatica affinché possano adattarsi e compensare le perdite e i danni. Per una ridistribuzione della ricchezza globale, della tecnologia e dell’informazione, e del potere politico dal Nord globale al Sud globale e dall’alto al basso.

“Siamo stanchi di sentire le bugie scritte ad hoc dai pubblicitari delle multinazionali del fossile e dai governi che le sostengono. Questa volta scenderemo in piazza non solo per presentare le nostre richieste, ma per creare sistemi più ampi basati sull’amore, l’empatia e la cura delle nostre comunità che metteranno al primo posto la cura delle persone piuttosto che il denaro. Ci riuniremo il 25 marzo 2022 sotto l‘hashtag #PeopleNotProfit e continueremo a riunirci per la nostra visione condivisa di un pianeta migliore che sia equo verso tutti i suoi abitanti.” Spiega Martina Comparelli di Milano, una dei portavoce del movimento italiano.

“I leader mondiali di oggi devono permettere all’umanità e agli ecosistemi in generale di riprendersi dai traumi del presente e del passato che sono tuttora inflitti dagli stessi sistemi basati sull’avidità che hanno incoraggiato la schiavitù, il genocidio, l’ecocidio e il colonialismo”, ha affermato Ina-Maria Shikongo, dalla Namibia.

In Italia, come nel resto del mondo, tutti i cittadini sono invitati a scendere in piazza per far arrivare queste parole e queste rivendicazioni ad una classe politica che tuttora sembra totalmente ignara della reale gravità della crisi climatica.

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Morti sul lavoro: solo parole



Articolo da Valigia Blu

Se fosse un film, ma purtroppo non lo è, dovrebbe cominciare dall’epilogo. Da un gruppo di studenti delle scuole secondarie superiori che protestano contro una morte ingiusta e vengono caricati dalla polizia. Dall’epilogo bisognerebbe passare subito al prologo. La storia di un ragazzo di 18 anni che muore schiacciato da una trave d’acciaio. Nel mezzo, soprattutto sui social media, si scatenano i flame: “È stata l’alternanza scuola lavoro”. “Siete degli ignoranti, non è l’alternanza scuola-lavoro, si chiama in un altro modo”. E via di questo passo. Bla bla bla.

È della sindacalista (e scrittrice) Simona Baldanzi il commento che mi ha colpito di più. Baldanzi racconta del suo lavoro come sindacalista, di una ragazza molto giovane che entra in CGIL in cerca d’impiego, pensando che la “camera del lavoro” sia un’agenzia interinale; di un ragazzo che le dice che lo sciopero è illegale; di una ragazza che chiede la Naspi ma non sa che cosa sono i contributi.

Il problema però non è dei ragazzi. Ci sono adulti che lavorano da anni e che non hanno mai messo piede in un sindacato, né partecipato a uno sciopero. Molto spesso non è che non ne hanno voglia: non possono proprio farlo. Sarebbe infame colpevolizzare gli studenti per ignoranze che riguardano non loro o le loro famiglie, ma la società che ha fatto di tutto per disintermediare le parti sociali, individuando nelle classi lavoratrici e nei sindacati che le tutelano un nemico, nel nome del mercato, dell’individualismo, della retorica tossica del “farcela da soli col duro lavoro”, che è poi un velo per mascherare lo sfruttamento. E intanto il lavoro inghiotte ogni giorno tre persone, uccise nel nome del profitto. Ogni giorno il solito bla bla bla e succede sempre anche il giorno dopo. Il risultato del deserto creato in anni di mancate riflessioni sullo sfruttamento e sulle classi è questo: che gli sfruttati non si percepiscono come sfruttati ma come consumatori con poche risorse. Che il lavoro è visto come un accordo commerciale tra privati e non come un diritto collettivo mediato da organizzazioni pubbliche. La differenza è sostanziale: nell’accordo tra privati uno pone tutte le condizioni e l’altro le accetta tutte, con poco o nessun margine di contrattazione. Molti lavoratori di oggi pensano che andare al lavoro implichi fare tutto quello che il datore di lavoro chiede, fino al punto che un cameriere si ritrova a lavare l’automobile privata del ristoratore. Un capitalismo della piantagione: i lavoratori sono schiavi che devono fare di tutto nel momento in cui entrano nel campo o nella casa padronale.

In questo contesto parlare di “insicurezza” serve a poco, se lo si fa senza strumenti che possano mettere i datori di lavoro alle corde. Anche la parola sembra sempre più arrugginita. Perde pezzi semantici, è insicura di quel che denota. Ne abbiamo parlato così tanto sui media che non si capisce più cosa vuol dire questa parola, stremata da tensione inflazionista. Fino a qualche tempo fa “insicurezza” era l’orrore dei bravi cittadini decorosi (e solvibili) davanti alle gesta dei poveri che si siedono sugli scalini di Santo Spirito a Firenze (o altrove) a consumare birre invece di recarsi al pub fighetto dai costi proibitivi; oppure il termine era evocato con sdegno per denotare, col dito indice puntato, gli immigrati seduti sul muretto vicino alla stazione. Ma la stessa parola ha un significato diverso se sei una persona di classe lavoratrice: per te l’insicurezza è la possibilità quasi matematica di farti male (o perdere la vita) lavorando, qualcosa che diminuisce tanto più sei privilegiato. Parliamo tanto di sicurezza, ma non diciamo le stesse cose e finiamo per buttarla nel bla bla bla.

Tra l’altro sul senso delle parole che diventano virali nella semiosfera bisognerebbe riflettere a lungo. “Il mondo del lavoro” un tempo era sinonimo di operai e sindacati, oggi indica ristoratori (che non trovano lavoratori “per colpa del reddito di cittadinanza”), imprenditori, eccetera. Prima si parlava di “diritti del lavoro”, ora si parla di “mercato del lavoro” (con i suoi odiosi “costi” e gli imprenditori “strozzati dalle rigidità del mercato” da abolire assolutamente con la prossima riforma). Le parole slittano di senso e la retorica non è mai neutrale. Una valigia non vuol dire la stessa cosa per una persona con disabilità o per un atleta, un uomo solo che si muove verso di te per strada di notte vuol dire una cosa diversa se sei una donna o un uomo, e anche queste parole su cui in queste ore nei social ci si dà battaglia, parole come “tirocinio”, stage, alternanza scuola lavoro, PCTO, assumono un significato diverso se siete un maschio attempato con un posto di lavoro garantito o una giovane studentessa di famiglia lavoratrice priva di capitale culturale, costretta a trovare un impiego, a volte “a qualsiasi costo”. Tra i due c’è una differenza abissale di potere e privilegio. Per questo mi rifiuto in questi giorni di leggere i social con i commenti sulla morte di Lorenzo Parelli, a meno che a parlare e scrivere non siano giovani studenti o studentesse o qualche sindacalista. Bisogna ascoltare chi ha i piedi dentro alla melma, il resto è spesso il solito bla bla bla di chi pontifica dalla sua zona di comfort.

Leggi anche >> I giovani, il lavoro e la demonizzazione delle misure di contrasto alla povertà

Intanto proprio nella comfort zone dei media da un po’ di tempo si è cominciato a parlare di insicurezza senza puntare il dito contro i migranti. Si parla di lavoratori morti, anche se lo si fa solo quando ci sono certi standard di “notiziabilità”, come si dice nel gergo tecnico del giornalismo. Il rischio è di inquadrare queste vicende in una cornice fuorviante. Come nel caso di Luana D’Orazio, la giovane operaia del tessile di Prato stritolata da un macchinario. Ne hanno parlato come di una Cenerentola che non aveva trovato il suo Principe azzurro e che quindi era costretta a un lavoro malpagato. Come una mamma giovane e bella ma sfortunata. Ma Luana d’Orazio non è morta di malasorte. Ci ricordiamo solo gli operai morti che sono incorniciabili meglio in frame emotivi da talk show, ma ce li ricordiamo male, silenziando le vere ragioni per cui sono morti. E in questo modo produciamo una comunicazione emotiva che non va mai al nodo delle questioni, che non rimuove le ragioni di quelle morti. Così si spengono le luci della ribalta e il giorno dopo ne muoiono altri tre.

Per ridurre le morti sul lavoro bisogna che la palla del gioco venga tolta agli imprenditori e alle loro associazioni e passi ai lavoratori e ai sindacati. Ogni volta che sento un imprenditore parlare della necessità di abbassare i costi del lavoro, mi preparo a capire chi sta per morire. Il costo del lavoro non si può abbassare. Si può far pagare ad altri. Se lavori male e di furia perché hai un contratto capestro, il “padrone” (siamo in piantagione e chiamo le cose con il loro nome) aumenta i profitti ma tu paghi il costo del lavoro che lui risparmia. Se muore un lavoratore, il costo del lavoro lo paga la famiglia del morto. Se ti infortuni sul lavoro o contrai una malattia professionale, il costo del lavoro va a carico della collettività: il padrone aumenta l’estrazione di profitto e la collettività ha una malattia professionale e un carico previdenziale da curare per tutta la vita del lavoratore. Come la “sicurezza”, l’espressione “riduzione del costo del lavoro” non è un’etichetta semantica neutrale. È altamente ideologica, è lotta di classe fatta dall’alto nel campo delle parole: esprime gli interessi dei datori di lavoro, sulla pelle dei lavoratori.

Ci sono stati negli anni infortuni durante quella che genericamente chiamiamo l’alternanza scuola-lavoro, con danni fisici anche gravi. La cronaca registra anche un caso di molestie sessuali avvenuto a Monza nel 2017, con la denuncia di quattro studentesse contro il proprietario di un centro estetico. Questo è forse il caso più grave, ma lavorare da minorenni espone a molteplici abusi. Lo stage si può fare anche nei ristoranti, ambienti che ho frequentato per quasi una decina di anni come cameriere, barista, sguattero e pizzaiolo. Una studentessa che fa la cameriera in un ristorante si espone a un ambiente in cui non mancano abusi e molestie. Verbali, emotive, psicologiche, a volte sessuali. Fare un tirocinio o un’esperienza di lavoro da minorenne nella ristorazione significa anche questo. Magari è una esperienza breve, la ragazza sa che continuerà a studiare e quel posto di lavoro lo cederà a qualcuno meno fortunato che lo terrà per anni. Ma anche qui, nei lavori della ristorazione, ci sarebbe da sollevare un velo impietoso di tossicità.

“Si cresce anche così”. Ho letto anche questo sui social, nei commenti sui tirocini. Ogni tanto qualche vecchio maschio bianco ci ricorda nostalgicamente “il culo che si è fatto da giovane”. Lo ricorda ai giovani, che notoriamente vengono accusati in maniera sistematica di non aver voglia di lavorare (come ci ricordano le critiche strumentali al reddito di cittadinanza). Ce lo ricorda con l’aria di chi ha patito tanto, animato da giustizia negativa, con lo storytelling di “quello che si è fatto da solo” ma che poi “con la forza del carattere”, bla bla bla. La retorica per cui si cresce attraverso esperienze funeste è patriarcale e in genere è un indice dell’odio verso i giovani, tipico di una società anziana come quella italiana. Ricordate lo scandalo della giornalista che venne molestata davanti allo stadio Castellani di Empoli mentre in studio il conduttore del programma le diceva: “Non te la prendere. Si cresce anche con queste esperienze”? Ecco, ogni volta che uno studente o una studentessa si espone nei tirocini a sfruttamento, insicurezza, abusi e molestie, ogni volta che glissiamo, che diciamo che anche queste sono esperienze formative, siamo complici di una ideologia infausta, maschilista, patriarcale, asservita agli imperativi del mercato. Stiamo dicendo ai ragazzi che se si fanno sfruttare, devono abbassare la testa. Lo facciamo da una posizione di privilegio, sapendo che a noi non cascherà una trave d’acciaio in testa. Parliamo e mettiamo a tacere le uniche voci che contano, quelle di chi sta con i piedi dentro gli abusi, l’insicurezza, lo sfruttamento. La voce degli studenti e delle studentesse.

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Valigia Blu


Fonte: Valigia Blu

Autore: 
Alberto Prunetti


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Articolo tratto interamente da Valigia Blu


I genocidi dimenticati


Sono passati alcuni giorni dalla "Giornata della memoria", dedicata alla commemorazione delle vittime dell'Olocausto. Questa ricorrenza fu istituita dal Parlamento italiano con legge 211 del 20 luglio 2000 e la scelta di questa data, rievoca la liberazione da parte dell'Armata Rossa; dal campo di concentramento di Auschwitz di milioni di ebrei.

Molti però dimenticano che oltre agli ebrei furono perseguitati e sterminati, dai nazisti molti altri gruppi di minoranze: Rom e Sinti, dissidenti politici, omosessuali, disabili, malati mentali, Testimoni di Geova, russi, polacchi e altre popolazioni di origine slava; sommando agli ebrei tutte queste categorie di persone, il numero delle vittime del nazismo è stimabile tra i dieci e i quattordici milioni di civili e fino a quattro milioni di prigionieri di guerra.

Tuttavia, con questo mio post oggi vorrei risvegliare la memoria di altri terribili genocidi storici, spesso dimenticati o ignorati (chissà perché...). Potrei riferirmi allo sterminio perpetrato contro gli Indiani d'America che dopo la scoperta di Cristoforo Colombo, furono massacrati dai nuovi colonizzatori e soprattutto dall'esercito statunitense, che non risparmiò neanche donne e bambini.

Purtroppo gli americani si macchiarono anche dell'orribile piaga dello schiavismo che sterminò circa due milioni di africani, che morivano di stenti nelle piantagioni americane oppure sotto maltrattamenti e durante il loro trasferimento dal continente nero a quello del "Nuovo Mondo".

Oggi il termine "Olocausto “è usato anche per descrivere il genocidio armeno e quello ellenico, che provocò lo sterminio di 2,5 milioni di cristiani, da parte del governo nazionalista ottomano dei Giovani Turchi, tra il 1915 e il 1923.

Restando invece a casa nostra, nel nostro Mezzogiorno; durante la nascita dell'Unità d'Italia, furono sterminate centinaia di migliaia, forse un milione di meridionali, che erano chiamati "briganti", ma erano partigiani che lottavano per le loro terre e la libertà.

Non dimentichiamo neanche il genocidio cambogiano perpetrato tra il 1975 al 1979 dai maoisti, che causò sei milioni di morti. Anche l'ex Unione Sovietica ha le sue responsabilità, durante il regime di Stalin furono assassinati sette milioni di ucraini e altri due milioni furono imprigionati nei campi di concentramento.

Purtroppo anche ai giorni nostri dobbiamo inorridire davanti alle immagini di palestinesi, continuamente attaccati dall'esercito israeliano, con armi di sterminio di massa. Il diritto internazionale vieta categoricamente gli attacchi indiscriminati ai civili, ma la capacità omicida di Israele è sproporzionatamente superiore.

Non so voi come la pensiate; però non è giusto che chi ha sofferto e ha vissuto un orrore come quello dell'olocausto; si renda carnefice di altre persecuzioni verso un altro popolo, perché in fondo chi ne fa le spese, sono sempre i più deboli.

In questo lungo post ho cercato di non fare negazionismo storico e la serie degli omicidi di massa, con annessa stupidità umana è lunga e ahimè infinita.


Autore e ricerca storica a cura di Mariangela B.

Coautore: Cavaliere oscuro del web


Buongiorno



"Buongiorno a chi guardando il cielo è ancora in grado di sognare in un mondo che fa di tutto per distruggere i sogni più belli."

Anonimo





Gennaio

In Gennaio from Ricordi Ripresi on Vimeo.

Photo e video credit Ricordi Ripresi caricato su Vimeo - licenza: Creative Commons 


Lanzarote

LANZAROTE from Javier Angel Lopez on Vimeo.

Photo e video credit Javier Angel Lopez caricato su Vimeo - licenza: Creative Commons


Pollice su e giù della settimana


 

Morto in alternanza scuola-lavoro, i compagni: "Vogliamo la verità per Lorenzo" tratto da TGCOM


mercoledì 26 gennaio 2022

Per non dimenticare




27 gennaio - Giorno della Memoria

Contro gli olocausti di ieri e quelli di oggi.


Se questo è un uomo

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi

Mattino di Selma Meerbaum-Eisinger



Mattino

Il vento canta la sua ninna nanna

con un fruscìo di sogno,

teneramente adula le foglie.

Mi lascio sedurre e spio quel canto

e mi sento come i prati.


Scrosci nell’aria

rinfrescano il mio viso

cocente, racchiuso nell’attesa.

Nuvole in viaggio riversano la bianca

luce che hanno rubato al sole.


La vecchia acacia

spande il suo silenzio

nel tremulo intrico di foglie.

Gli aromi della terra si alzano, salgono

e scendono poi su di me.


Selma Meerbaum-Eisinger


Citazione del giorno

 

"Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere."

José Saramago



lunedì 24 gennaio 2022

La storia di Lidia Beccaria Rolfi


Articolo da Enciclopedia delle donne

Lidia Beccaria Rolfi è nata a Mondovì l’8 Aprile del 1925 in una famiglia di contadini, ultima di cinque fratelli. La sua infanzia è trascorsa serena e, come lei stessa ricorda, imbevuta dalla propaganda fascista.

Lidia frequenta le scuole magistrali ed è l’unica della famiglia a proseguire gli studi. Con la promulgazione delle leggi razziali inizia ad avere i primi dubbi: l’insegnante fa strappare le pagine delle antologie scritte da autori ebrei e impone di ricomprare l’Atlante perché uno dei due autori è ebreo. La situazione precipita: l’anno successivo scoppia la guerra. Lidia accoglie con entusiasmo l’ingresso nel conflitto, ma la guerra mostra presto il suo vero volto.

Due dei suoi fratelli vengono inviati sul fronte russo, dal quale tornano miracolosamente illesi. I loro racconti rivelano le sofferenze dei soldati e le atrocità tedesche verso i civili. È il crollo delle illusioni di Lidia. Nel 1943, la portata del disastro militare è ormai chiara. Dopo l’8 settembre inizia la dura repressione tedesca, con la complicità dei fascisti repubblichini.

Nel frattempo, Lidia si diploma e riceve la prima nomina a maestra elementare nel paese di Torrette di Casteldelfino, in Valle Varaita. Lei è ormai cambiata e il rogo di Boves le toglie ogni dubbio: uno dei massacri di civili innocenti compiuto come rappresaglia dall’esercito nazista il 19 settembre 1943 e poi tra il 31 dicembre 1943 e il 3 gennaio 1944 a Boves, in provincia di Cuneo.

A diciotto anni diventa staffetta partigiana nella XV Brigata Garibaldi “Saluzzo”, assumendo il nome di “maestrina Rossana”. Mostra coraggio e determinazione, correndo rischi mortali. Nella sua casa costruisce le bombe a mano che poi nasconde in una cassa sotto il letto.

Quando non è impegnata a scuola, tiene i contatti tra la valle e Saluzzo. I rastrellamenti a tappeto dei nazifascisti iniziano i primi giorni di marzo del 1944. Lidia torna a Mondovì dove rimane una decina di giorni per poi rientrare a Casteldelfino e riprendere il suo lavoro a scuola. La mattina del 13 marzo, in seguito alla delazione di una spia, viene arrestata dalla Guardia Nazionale Repubblicana e condotta a Sampeyre dove, dopo l’interrogatorio, subisce torture per un giorno e una notte, terrorizzata dalle minacce di morte e portata davanti a un plotone di esecuzione. Lidia resiste, subisce i tormenti con coraggio finché viene consegnata alla Gestapo e imprigionata per un breve periodo a Saluzzo per essere poi trasferita alle carceri Nuove di Torino. Saranno due mesi di grandi angosce, senza contatti esterni, in una piccola cella sovraffollata, alla mercé di aguzzini crudeli. L’attesa ha termine quanto le viene comunicato che verrà inviata in Germania “per lavoro”. Viste le condizioni in cui si trova, Lidia accoglie la notizia con sollievo.

Nella notte tra il 25 e il 26 giugno del 1944 viene caricata su un carro bestiame insieme ad altre prigioniere. Il treno viaggia per quattro giorni. Sia lei sia le compagne non riescono a immaginare nulla di peggiore della vita passata nelle carceri, con le ripetute torture e il timore di rappresaglie nei confronti dei familiari. La sera del 30 giugno 1944 il treno si ferma alla stazione di Furstenberg, nel Meckleburgo, a ottanta chilometri da Berlino. La accolgono le SS,  viene incolonnata e a piedi percorre i quattro chilometri che la separano dalla destinazione. Un alto muro, un portone, aperto, sormontato da torrette di guardia. Un gran numero di donne in attesa di varcarlo. E Lidia entra, insieme alle sue tredici compagne, nel campo di concentramento di Ravensbruck, l’unico lager nazista per sole donne. Il loro è il primo gruppo di italiane non ebree a essere internate.

L’impatto è terribile e viene raccontato con fredda lucidità nel libro scritto insieme ad Anna Maria Bruzzone: Le donne di Ravensbruck edito da Einaudi.
Prima incredula, Lidia scopre la brutalità nazista, la spietata determinazione nel disumanizzare le prigioniere. Il bisogno primario del cibo porta le persone a lottare fra di loro, i ricordi si affievoliscono, la dignità, l’identità scompaiono, tutto si concentra nella necessità di sopravvivere.

Il degrado fisico è rapido, a diciannove anni mostra un precoce invecchiamento: scompare il ciclo mestruale, appaiono i primi capelli bianchi e il corpo si riempie di piaghe per la mancanza di vitamine. Intorno, un universo di desolazione e morte che la mente fatica a elaborare. Nel libro racconta, con prosa asciutta ed essenziale, la lotta per non soccombere al freddo e alla fame. È una detenuta comune, solo un corpo disponibile per i lavori più massacranti, con le caposquadra che si accaniscono a colpi di bastone.

Nella camerata avviene l’incontro con le deportate francesi, con le quali stringe una forte amicizia che durerà anche dopo la guerra. Le italiane sono guardate con diffidenza dalle altre internate, perché appartengono a una nazione alleata della Germania. L’ostilità cessa in seguito a un piccolo episodio: una di loro intona in francese “Bandiera rossa” e Lidia, istintivamente, si unisce al canto in italiano. Le partigiane francesi cambiano atteggiamento e la aiutano a entrare nella fabbrica della Siemens, che si trova ai margini del lager e dove le condizioni di vita sono appena migliori, ma sufficienti a non soccombere. Lidia riesce a trovare i mezzi per scrivere, ruba della carta in fabbrica e recupera, grazie ad alcune compagne, un album da disegno e un mozzicone di matita. A rischio di severe punizioni, inizia ad annotare quello che vede, esercita la mente al ricordo, elabora la nostalgia di casa e il desiderio di scrivere e ricordare quello che sta vivendo per tornare e raccontarlo.

Malgrado sia debilitata, pesa trentadue chili, resiste all’ultima fatica quando le SS, di fronte all’avanzata russa, costringono le prigioniere a marciare nel freddo, sotto la pioggia battente e con pochissimo cibo. Sfinita, perde i contatti con le altre e incontra fortunosamente un gruppo di internati militari italiani che la assistono. Il 30 aprile 1945 i russi liberano le prigioniere e le affidano agli americani.

Ma la liberazione rappresenta l’inizio di altre, nuove sofferenze: sia gli americani sia gli inglesi si dimostrano insensibili nei confronti delle deportate politiche, e non si fanno scrupolo di dimostrare il loro disprezzo per queste donne che sospettano di aver concesso favori sessuali ai nazisti. Le abbandonano a se stesse, senza riconoscere loro nemmeno il diritto di ricevere i pacchi della Croce Rossa.

Lidia sopporta tutto con grande forza d’animo. Rimane a Lubecca, in un ex campo di prigionia, per tre mesi, finché la protesta collettiva delle donne obbliga gli inglesi, responsabili del campo, a disporre il loro ritorno. Un viaggio di quindici giorni per sperimentare, con immensa amarezza, una accoglienza fredda e distante. Tornata in patria, molti la giudicano poco più di una prostituta: pregiudizi durati molto a lungo e molto diffusi, anche tra i partigiani stessi. Gli sforzi di Lidia si infrangono contro un muro di indifferenza.

Rientra nel giugno del 1945. Naturalmente lei nulla sa degli sviluppi delle lotte partigiane e di tutto quanto era accaduto in Italia prima della liberazione. Vuole sapere, va alle riunioni dei vari partiti che si preparano per le elezioni, cerca di capire e di partecipare. Dopo molti tentativi, nei quali cerca di raccontare le sofferenze patite, si chiude in un mutismo triste, carico di una diffidenza che avverte anche da parte della sua famiglia, che pure l’ha riaccolta con gioia.

Il mutato clima politico degli anni successivi peggiora la situazione: con la guerra fredda il nemico è diventato il comunismo, dei crimini nazifascisti non si parla. La società italiana risulta ancora contaminata dal passato fascista: burocrati, politici e personale scolastico, compromesso con il passato regime, mantengono ruoli di potere, spesso emarginando i testimoni scomodi. A lei viene impedito di riprendere servizio nella scuola da un provveditore dal passato fascista, rimasto al suo posto.

Vive isolata, a parte i contatti che tiene con le poche persone che hanno vissuto la sua stessa esperienza. Ancora nessuno in Italia ha sentito parlare di Ravensbruck, citato solo in un libro scritto da Lord Russell e pubblicato in Italia nel 1955: Il flagello della svastica.

Finalmente Lidia riesce a riprendere l’insegnamento, in paesini sperduti. Anche qui viene guardata con diffidenza, controllata dalle autorità scolastiche per il suo passato partigiano e la deportazione in Germania.
Entra in contatto con alcuni deportati con i quali riesce a confrontare le esperienze vissute. Partecipa al primo congresso dell’Associazione ex-deportati a Verona, nel gennaio del 1957. Nessuna donna sarà eletta negli organi dirigenziali e permane il silenzio su Ravensbruck.

Nel secondo congresso, tenutosi a Torino nel dicembre del 1958, si verifica un mutamento di indirizzo e Lidia entra a far parte del consiglio nazionale. È la sola donna a parlare. La sala è piccola e le persone che assistono non sono molte. Tra queste però ci sono numerosi giovani, meno compromessi con il passato, sinceramente interessati alle testimonianze pubbliche dei sopravvissuti ai campi nazisti, desiderosi di sapere.
Incoraggiata dall’interesse riscontrato, Lidia raccoglie gli appunti scritti di getto quando non aveva ancora vent’anni e li rielabora. È una svolta. Consegue la laurea e inizia a insegnare all’Istituto magistrale di Mondovì. Ora le è chiaro che il suo compito è quello di ricordare e si trasforma in una testimone instancabile di un’epoca, di esperienze profonde, sconvolgenti, incredibili.

Il suo impegno non viene mai meno, pur sofferente per i postumi della prigionia. Instancabile, racconta ai giovani la propria storia, va nelle scuole e promuove incontri. Per lei non esistono “ex deportate”, perché quella è un’esperienza che non si può cancellare e ritiene essenziale far conoscere alle nuove generazioni quegli avvenimenti.

Dobbiamo in gran parte a lei se conosciamo la realtà di Ravensbruck e il destino delle donne prigioniere in quel campo. Centotrentadue mila prigioniere, novantadue mila di loro morte, moltissime delle scampate debilitate nel fisico e nella mente, molte sottoposte a crudeli esperimenti medici.

Lidia Beccaria Rolfi sarà, dal 1958 fino alla sua morte – avvenuta nel 1996 – la rappresentante per l’Italia del Comitato internazionale di Ravensbruck.
Stringe un’intensa amicizia con Primo Levi, saldata dalla medesima esperienza e dal profondo bisogno di tramandare la memoria alle future generazioni. Il figlio Aldo racconta, in un intervento alla casa della memoria di Milano il 26 febbraio 2016, che spesso Primo Levi la chiamava: “ho bisogno di aria del campo”, le diceva.

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Fonte: Enciclopedia delle donne

Autore: 
Gianfranco Coscia 


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Articolo tratto interamente da Enciclopedia delle donne 



C'è negli uomini...



"C'è negli uomini un impulso alla distruzione, alla strage, all'assassinio, alla furia, e fino a quando tutta l'umanità, senza eccezioni, non avrà subíto una grande metamorfosi, la guerra imperverserà: tutto ciò che è stato ricostruito o coltivato sarà distrutto e rovinato di nuovo; e si dovrà ricominciare da capo."


Anna Frank


Da domani sarò triste, da domani di Anonimo



Da domani sarò triste, da domani 

Da domani sarò triste, da domani.
Ma oggi sarò contento,
a che serve essere tristi, a che serve.
Perché soffia un vento cattivo.
Perché dovrei dolermi, oggi, del domani.
Forse il domani è buono, forse il domani è chiaro.
Forse domani splenderà ancora il sole.
E non vi sarà ragione di tristezza.
Da domani sarò triste, da domani.
Ma oggi, oggi sarò contento,
e ad ogni amaro giorno dirò,
da domani, sarò triste,
Oggi no.

Anonimo


Poesia di un ragazzo ebreo scritta in un ghetto nel 1941.


Proverbio del giorno


 La gentilezza è una bella veste.


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venerdì 21 gennaio 2022

Intervista a Daniele Verzetti il Rockpoeta® del blog L'Agorà



Ripartono le interviste su questo blog, oggi passa a trovarci Daniele Verzetti il Rockpoeta® del blog L'Agorà.

Buongiorno Daniele, puoi presentarti agli amici che non ti conoscono?

Ecco, questa è la domanda più difficile, ammetto che non sono molto bravo a descrivermi, infatti per farlo avevo scritto una poesia dal titolo "Io Non Sono" ed un'altra più recentemente dal titolo  " I Was  Born in 1967" dove ho provato a farlo. Ma non voglio eludere la tua domanda sono Daniele Verzetti Rockpoeta®  una persona nata a Genova nel 1967 che ha una laurea in giurisprudenza e che scrive e recita anche dal vivo,  almeno fino a quando si è potuto, attraverso reading anche nei teatri. Ma questi ed altri dati li si possono trovare in rete anche cliccando direttamente sul mio sito web. Andando invece all'essenza della tua domanda, sono uno che non ama le ingiustizie, che scrive di quello che vede intorno a sè e che crede fermamente che l'arte, ogni forma d'arte, debba, soprattutto poi nel mondo in cui viviamo oggi, avere un messaggio profondo da comunicare agli altri, un contenuto sociale.

Sei un poeta e un blogger, che tratti tanti temi sociali, posso farti delle domande su varie tematiche?

Certo che puoi, forza spara :-)))

Cosa è per te la libertà?

È aria pura, è sentirsi bene con se stessi non avvertendo, o meglio non avendo veramente, alcuna catena addosso. La libertà è la madre di tutti i diritti perchè tutti i diritti particolari che possiamo rivendicare, si riconducono necessariamente a quello da cui tutti discendono, ossia la libertà: la libertà individuale, di pensiero, il diritto al lavoro, ecc....  Ecco, un'ultima cosa che voglio aggiungere, ma importante, nessuno di  noi può ritenersi libero, anche se lo è veramente a livello individuale, se e fino a quando anche un solo uomo è in catene, siano esse reali o virtuali. Perchè la libertà non è godimento e fruizione egoistica di questo diritto, ma è anche il dovere di difenderla e lottare per essa e per coloro che più sfortunati di altri, non ce l'hanno o ne hanno ancora meno di quel poco di cui noi godiamo.

Leggendo vari post nel tuo blog, in questi mesi hai trattato molte volte la pandemia in corso, come giudichi, gli interventi per fronteggiare l'emergenza da Covid-19?

Perchè, l'hanno fronteggiata? Se è così non me ne sono accorto.Quello che invece ho notato palesemente è come, con l'alibi reale di una pandemia in atto, abbiano da noi e direi anche in Francia, Austria e Germania, iniziato sapientemente a contrarre diritti fondamentali e con "fondamentali" intendo proprio sanciti e difesi dalla nostra Costituzione, fino ad abolirli di fatto.  Hanno inoltre con la scusa dell'importanza di vaccinarsi con un intruglio che onestamente è sempre più chiaro che non funziona,  messo il popolo italiano in particolar modo, mondiale nell'insieme, in contrasto applicando il famoso principio romano del divide et impera.  Il contagio della variante Omicron per  esempio, è già svanito in Catalogna dove hanno per 5 settimane fatto un lockdown e poi ora lo hanno tolto eliminando anche il green pass. Già il Green Pass perchè il Super Green Pass è una realtà nostrana che ora sta arrivando anche in  quei tre Paesi che ho menzionato poco fa, ma altrove non esiste.  Questo vaccino non è la soluzione altrimenti non si spiegherebbe perchè in Olanda, con percentuali di vaccinati altissime equivalenti alle nostre, hanno fatto un lockdown totale senza distinguere  tra vaccinati e non. Inoltre, da noi,  si parla già di quarta dose a fine mese e ti dico che in Piemonte sono quasi certo che per le OSS e personale sanitario sia richiesta per lavorare. Ah, parliamo di lavoro: i docenti. Prima pochi facevano il tampone e tutto era ok adesso di fatto non trovi un insegnante che non sia vaccinato a scuola perchè gli altri sono stati tutti sospesi e senza nemmeno un indennizzo. Tu pensa, per  capire l'ingiustizia, che se sei un docente dell'infanzia o delle elementari, per fare un esempio, e dai un ceffone ad un alunno, e quindi vieni, come primo provvedimento, sospeso, ebbene perfino in questo caso l'insegnante non è senza stipendio, riceve cmq una piccola somma. La verità è che non esiste ancora una pozione magica che stronchi il covid che forse morirà da solo e si indebolirà al punto da sparire così come è "venuto"... Inoltre i dati che forniscono sono molto discutibili,  In primis oltre 20 milioni di italiani hanno già fatto la terza dose e molti di loro sono finiti col covid anche in ospedale ed in terapia intensiva e parlo non solo di ottuagenari con molte patologie ma uomini e donne di età anche tra i 30 ed i 40 anni. Insomma non voglio dilungarmi oltre, ma a me pare che soprattutto qui da noi più che al covid, si stia facendo la guerra ad una sparuta minoranza che, tra l'altro, da un po' non ha più accesso a nulla ed allora come può essere causa di numeri così alti? Le cose sono due o non sono veri i numeri allarmistici che danno oppure la maggioranza dei contagiati è vaccinata. Poi cmq questo parlare di no vax mi ha stancato io ho fatto tutti i vaccini meno quello influenzale non essendo per fortuna cagionevole sotto questo aspetto, e questo che vaccino vero poi non è. Aggiungo il paradosso di cui molti ancora non hanno contezza: dal 10 di gennaio per il governo è no vax sia uno come me con zero dosi di intruglio all'attivo che chi ne ha fatte "soltanto" due... Per cui in conclusione rispondo alla tua domanda dicendoti che non l'hanno fronteggiata bene per niente nemmeno, ma forse questo lo si può capire, nella prima ondata.

Ti aspetti che in futuro ci saranno altre limitazioni?

Le temo fortemente non solo a breve termine ma anche dopo quando mi auguro, questa pandemia sarà finita, Temo soprattutto un rigurgito dittatoriale da noi oltre che come ti ho già accennato in Francia, Germania ed Austria. Forse dovremmo pensare perfino ad andarcene ma forse temo che per farlo si sia già perso l'attimo.

Quest’anno hai lanciato una grande iniziativa contro la violenza sulle donne, accolta da tanti blogger, cosa si può fare per fermare questa piaga?

Ti  ringrazio per averla ricordata ma soprattutto ti ringrazio tantissimo per essere stato tra quei blogger che hanno aderito ad essa. Credo che parlarne, sensibilizzare costantemente sia fondamentale, soprattutto credo che noi uomini dobbiamo essere in prima linea a dare l'esempio proprio per fare in modo che culturalmente, le cose cambino, e poi magari oltre a pene certe e più severe, sarebbe importante anche da noi poter definitivamente attivare il braccialetto elettronico che magari suoni non quando quel bastardo è ad un solo chilometro dal o dai luoghi a lui inibiti, ma già a 5 km per esempio. E poi, se solo abbiamo un sospetto, un timore, ecco cerchiamo di non girarci dall'altra parte ma concretamente di agire anche se possibile chiamando le forze dell'ordine. 

Parliamo di lavoro, cosa pensi della tanta precarietà in giro?

Credo che sia un fenomeno drammatico che già da anni era ampiamente in atto, (penso per esempio a tutti i casi in cui si assumeva una donna ma a parte le si faceva firmare in bianco una lettera "spontanea" di dimissioni in caso di gravidanza, o ancora al lavoro a tempo determinato fino ad arrivare al fenomeno dei rider, tutti temi di cui io mi sono sempre occupato ed ho spesso trattato con le mie poesie) e che oggi con la pandemia si sia acuito enormemente aprendo la strada ad una sua pericolosissima "accettazione" come forma ordinaria e nuova di lavoro anche a pandemia finita, se mai finirà. Oggi più che mai il lavoratore è anche in occidente uno schiavo moderno in quanto sa che se solo provasse anche a rivendicare i suoi diritti, verrebbe subito allontanato con un qualunque pretesto, pronto ad essere sostituito (e questo è l'altro punto dolente, l'assenzadi solidarietà tra lavoratori ma proprio anche tra esseri umani deboli) da uno pronto a subentrargli subito. Inoltre poi ci sono le multinazionali straniere che solo perchè vogliono delocalizzare ossia produrre, detto in parole povere, dove gli schiavi moderni costano sempre di meno, licenziano e possono andarsene senza che nessun governo sappia, possa o abbia potuto fare mai qualcosa, per impedire che questa atroce violenza fosse perpetrata ai danni di uomini e donne con famiglia, e questo nonostante la fabbrica sia in attivo. Solo che loro hanno ancora diritti e costi più elevati di altra manodopera per esempio dell'Est. E poi abbiamo la piaga del lavoro nero, che si inserisce anche in questa tematica, ma di questo parleremo un'altra volta, o mi dilungo eccessivamente e non voglio tediare nessuno :-)))

Cosa si può fare per salvare questo pianeta?

Dipende: se per pianeta intendi la Terra è facile e saremmo pure ancora in tempo: un'estinzione globale di massa simultanea dell'uomo. Se invece intendevi salvare anche noi oltre al resto del Pianeta, è urgente partire subito con ogni soluzione che riduca l'inquinamento atmosferico e blocchi il peggioramento della situazione dell'atmosfera e del clima, perchè se qualcuno dice che non è vero che il clima sarebbe in procinto di cambiare così radicalmente, rispondo dicendogli che ha ragione infatti questo processo di cambiamento del clima è già iniziato e lo viviamo anche noi in prima persona quando ci sono le alluvioni, le classiche "Bombe d'Acqua".

Quali progetti hai in programma prossimamente?

Scrivere, sensibilizzare e scendere anche in piazza e lottare assolutamente contro questa discriminazione in atto tra vaccinati e non che, oltre a porre in essere profonde ed assurde ingiustizie sociali, essendo anche del tutto priva di un senso sotto l'aspetto medico,  rischia di non permettere di lottare seriamente per abbattere definitivamente il covid19. A questo aggiungo ovviamente il continuare ad occuparmi di tutto quello che non va nel mondo, impegno improbo eh :-)))?

Grazie per le tue risposte, terminiamo l’intervista con una tua citazione preferita.

Grazie a te di cuore per avermi ospitato in questo tuo spazio che amo moltissimo e che ha uno straordinario padrone di casa. Mia citazione preferita: non cel'ho e sai perchè? Non ne ho mai trovata una che racchiudesse tutto quello che vorrei per rappresentarmi. Forse una l'ho trovata, ma non è una vera citazione ed è una parola tratta da un brano di Aretha Franklin: " Freedom, Freedom, Freedom oh oh Freedom!" Oppure, ma non è una vera citazione, queste parole di Martin Luther King:

La vigliaccheria chiede: è sicuro?
L'opportunità chiede: è conveniente?
La vana gloria chiede: è popolare?
Ma la coscienza chiede: è giusto?
Prima o poi arriva l'ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare ma bisogna prenderla perché è giusta."

(Martin Luther King)

Grazie Daniele della tua disponibilità, mi raccomando di visitare il suo blog.

Link: L'Agorà


Se qualcuno è interessato per un'intervista, basta contattarmi via mail, cliccando sul banner "Contatti".



Liberalizzazione dei brevetti: produzione pubblica per i vaccini



Articolo da Effimera

Nel dibattito in corso sulla liberalizzazione dei brevetti risulta interessante la tesi di Massimo Florio (1): la invenzione e produzione di vaccini andrebbe affidata a infrastrutture pubbliche di ricerca internazionali sul modello dell’ESA (Agenzia spaziale europea) e del CERN (Conseil européen pour la recherche nucléaire).

Il modello in auge invece è il seguente: la ricerca scientifica viene fatta con denaro e mezzi pubblici, nelle università e nei centri di ricerca, che pubblicano le scoperte e metodologie scientifiche senza lucro alcuno, mentre le grandi imprese private, come le case farmaceutiche, intervengono nell'”ultimo miglio” del processo di ricerca e sviluppo, utilizzando il frutto del lavoro dei ricercatori pagati col denaro pubblico, per fare brevetti privati.

A dimostrazione di quanto sia possibile una produzione pubblica di vaccini, c’è anche l’esempio cubano (2): già tre vaccini sono in produzione ed uso, con risultati migliori di qualsiasi paese nel mondo, e costi molto minori di ogni altro vaccino brevettato; nonostante il pluridecennale embargo degli USA sul commercio con qualsiasi impresa cubana e la scarsa disponibilità finanziaria del governo cubano.

È di dicembre la notizia che è già in produzione in India, da parte dell’impresa indiana Biological E, il vaccino Corbevax (3), progettato da un ente pubblico, il Children’s Hospital del Texas, senza brevetto. Il costo è di 2,5 dollari a dose, un decimo dei vaccini brevettati da multinazionali private.

Il vaccino del Texas Children’s Hospital è stato sviluppato con 7 milioni di dollari provenienti principalmente da investitori privati (tra cui il produttore della Vodka Tito). Uno dei progettisti del vaccino insieme a Maria Elena Bottazzi, Peter Hotez, dipendente dell’ospedale pubblico, ha detto: “Se avessimo avuto solo una frazione del finanziamento che ha avuto Moderna, chissà, forse il mondo sarebbe già vaccinato in questo momento. Non avremmo alcuna discussione su Omicron“.

Per avere un’idea delle cifre, “su 210 principi attivi (new molecular entities) approvati da Food and Drug Administration, l’agenzia USA del farmaco, … NIH [l’agenzia governativa di tutela della salute] ha contribuito alla ricerca su ognuno di questi 210 principi attivi mediamente per 840 milioni di dollari (2010-2016)” (Florio M., La privatizzazione della conoscenza, cit. p. 105) (1).

L’agenzia COVAX dell’ONU incaricata della distribuzione dei vaccini nei paesi a basso reddito non si è dimostrata efficace (4); il fallimento di COVAX è dovuto alla sua scelta di operare senza contestare il principio privatistico del profitto posto a base del sistema dei brevetti.

Molti oggi sostengono la richiesta di India e Sudafrica di imporre la licenza obbligatoria sui brevetti dei vaccini Covid, cioè il diritto degli stati poveri di far produrre vaccini senza pagare il prezzo della licenza di brevetto alle multinazionali proprietarie.

L’istituto della sospensione dei diritti di brevetto – licenza obbligatoria – (6) è frutto di un precedente storico (5). In Sudafrica nel 1997 col nuovo presidente Mandela si pose il problema della pandemia di Aids tra la popolazione che causava milioni di morti. E benché già esistessero farmaci antiretrovirali efficaci, questi non erano disponibili per i paesi poveri dell’Africa per i prezzi elevatissimi causati dal costo del brevetto sui farmaci.

Con Mandela il Congresso sudafricano approvò una legge che autorizzava la produzione dei farmaci per l’Aids senza pagare la rendita chiesta dalle multinazionali titolari del brevetto.

Il Wto (Organizzazione mondale del commercio) su denuncia delle multinazionali farmaceutiche ordinò al Sudafrica di cessare la produzione di farmaci anti Aids brevettati.

Nel 2001 a Doha, nella riunione del WTO si discusse della vicenda dei farmaci sudafricani senza brevetto; la pressione e l’indignazione internazionale portarono all’approvazione di una modifica del trattato internazionale TRIPs, articolo 31, che sancisce il principio capitalistico del brevetto. Venne introdotta una clausola di eccezione che vige ancora oggi: in condizioni straordinarie di pandemia che mette a rischio la vita dei propri cittadini, uno Stato può far produrre un farmaco senza pagare quanto chiedono i titolari del brevetto.

In Italia il riconoscimento giuridico dei diritti di brevetto per i prodotti medicinali e farmaceutici è relativamente recente. La legge piemontese e preunitaria (legge 18 marzo 1855 n. 782) disponeva con chiarezza: non possono costituire argomento di privativa i medicamenti di qualunque specie. Per iniziativa di Carlo Farini la disposizione fu estesa al Regno d’Italia con R.D. 30 ottobre 1859 (articolo 6) a firma di Vittorio Emanuele II. Successivamente il divieto fu confermato con l’art. 14 del R.D. 29 giugno 1939 n. 1127, questa volta a firma di Vittorio Emanuele III. Per circa 120 anni, fino al 1978, il principio venne mantenuto, in quanto la privativa in materia sanitaria era considerata un ostacolo allo sviluppo scientifico e tecnologico libero da speculazioni, con effetti deleteri anche sulla ricerca. Ma le principali case farmaceutiche italiane e straniere aprirono il contenzioso, con il patrocinio dei migliori civilisti italiani, e la questione fu rimessa al vaglio della Corte Costituzionale. Con la sentenza n. 20 del 9 marzo 1978 Astra Pharmaceutica, Ciba e altre importanti big pharma la spuntarono; la Consulta, con decisione immediatamente esecutiva e vincolante per l’intero ordinamento nazionale, legittimò lo strumento del brevetto (privativa) in ambito sanitario e farmaceutico, senza limiti, cancellando il divieto senza necessità di intervento parlamentare (6). Ma se ne parlò molto poco: non c’erano pandemie e pochi giorni dopo le prime pagine dei quotidiani erano dedicate al sequestro dell’onorevole Aldo Moro.

Di fronte al fatto che solo l’1% della popolazione dei paesi poveri è vaccinata, nel 2020 India e Sudafrica hanno chiesto di attivare la clausola inserita nell’art. 31 Trips e di poter produrre vaccini a basso costo senza pagare per i brevetti, anche per prevenire la diffusione del virus che causa nuove varianti (8).

L’amministrazione USA con Trump, e l’Unione europea, con anche il vergognoso parere negativo del governo Italiano, hanno rifiutato la richiesta di India e Sudafrica. Oggi il nuovo presidente statunitense Biden dice di sostenere la richiesta di India e Sudafrica, ma il parere dell’U.E. continua a determinare la situazione attuale. La scelta di garantire i profitti da brevetto a scapito di milioni di morti non vaccinati è mostruosa, miope e stupida.

L’India è già in grado di produrre miliardi di vaccini per vaccinare a basso costo tutto il mondo.

Noi speriamo di poter partecipare ad un movimento internazionale che imponga la licenza obbligatoria sui vaccini per il Covid (7); il tempo e la strage crescente prodotta dall’indegno brevetto farmaceutico ci daranno inevitabilmente ragione.

Ma la nostra speranza va oltre. Secondo noi tutti i diritti di brevetto non hanno la giustificazione che viene divulgata storicamente ed ancora oggi, cioè la retribuzione dei contributi al progresso tecnologico; il regime di concorrenza che è presupposto della “nobile gara” tra produttori innovativi è una fola, i brevetti redditizi sono nelle mani di un oligopolio di multinazionali che non si fanno nessuna concorrenza ma programmano solo un trasferimento di ricchezza dalle tasche dei meno abbienti a quelle dei più ricchi. Ciò con la connivenza di governi venduti che finanziano col denaro pubblico la ricerca scientifica, ricerca da cui attingono a piene mani le multinazionali per poi brevettare e guadagnare col frutto del lavoro di altri, i ricercatori delle università e istituzioni pubbliche (1).

La recinzione e l’appropriazione del frutto dell’ingegno umano è garantita solo dalla legge; la legge va cambiata.

I frutti tecnologici dell’ingegno umano sono beni comuni globali come le scoperte scientifiche; pertanto andrebbero gestiti e remunerati da organi pubblici che per legge hanno il precipuo fine della pubblica utilità e non del profitto.

Il caso del brevetto privato sui vaccini Covid, come fu quello sui farmaci retrovirali per l’HIV, è particolarmente significativo ed odioso. Ma vorremmo andare oltre.

Bisogna cogliere questa occasione per porre le condizioni di un cambiamento prima culturale e poi giuridico rispetto al concetto stesso di diritto di brevetto, per arrivare alla sua eliminazione.

I danni prodotti dalla pandemia sono stati moltiplicati dalla gestione capitalistica; la privatizzazione della sanità ha causato migliaia di morti, come ha dimostrato sino dal 2020 il modello lombardo.

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Fonte: Effimera


Autori: Lidia Demontis e Roberto Faure

Licenza: Copyleft 

Articolo tratto interamente da 
Effimera 


Citazione del giorno


"Un popolo che elegge corrotti, impostori, ladri e traditori, non è vittima. È complice."
 
George Orwell
 
 

Comunicazione di servizio




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Pollice su e giù della settimana

 







mercoledì 19 gennaio 2022

Il rischio reale di dipendenza da uno stato di emergenza continuo


Articolo da Il Becco

«Il mondo è cambiato. Lo sento nell’acqua, lo sento nella terra, lo avverto nell’aria: molto di ciò che era si è perduto perché ora non vive nessuno che lo ricorda». È la frase di apertura (pronunciata parzialmente in sindarin / grigio elfico, ma puntualmente tradotta) della trasposizione cinematografica de La Compagnia dell’Anello, il primo film della trilogia de Il Signore degli Anelli uscita a inizio del nuovo millennio.

Per percepire i mutamenti della nostra società sarebbe sicuramente utile prestare attenzione a quello che sta avvenendo alle nostre risorse idriche, al pianeta che viviamo e a ciò che respiriamo: più semplicemente ci si potrebbe limitare a prendere in considerazione quanto dice la “tecnica” e provare a farne elemento di discussione politica.

Nonostante l’emergenza sanitaria, i dati e le informazioni, anche se provenienti dal mondo accademico, difficilmente vengono utilizzati per una riflessione sistematica sul presente, sul recente passato e – soprattutto – sul futuro.

L’Espresso del 19 dicembre 2021 dedicava la copertina al XXIV rapporto tra gli italiani (e le italiane, si spera) e lo Stato, curato da LaPolis dell’Università di Urbino e Demos, presentato e introdotto da Ilvo Diamanti. Prima di alcune considerazioni su quanto viene scritto, è utile ricordare come quest’ultimo avesse pubblicato, insieme a Marc Lazar, poco prima della pandemia, un libro in cui teorizzava un processo di istituzionalizzazione dell’anti-politica e dell’impolitico, all’interno di uno svuotamento di significato dell’organizzazione della vita comune (Popolocrazia, Laterza, 2018). Le ipotesi di quel volume sembrano in larga parte confermarsi, dal modo in cui i risultati delle ricerche vengono presentati.

Quello che emerge dai dati pubblicati poche settimane fa è la scomparsa, per tre italiane e italiani su quattro, di un’idea di futuro: non ci si riesce neanche a immaginare come potrebbe essere il domani. A due anni dalla proclamazione della pandemia globale, rimaniamo immerse e immersi in uno stato di sospensione, in uno stato di emergenza che si è fatto norma, dove SARS-CoV-2 viene alternativamente rimosso (per “salvare il Natale”) e poi brandito per criminalizzare alcuni comportamenti personali (i finti runner prima, chi va senza mascherina allo stadio ora).

Tutto viene ridotto all’esperienza soggettiva, negando la possibilità di risposte condivise e plurali, fatte di partecipazione. La stessa soggettività negata, o meglio rimossa, quando si tratta di interrogarsi su come stiamo vivendo questa fase storica, con l’aumento significativo di problemi di salute mentale (a partire dai casi di depressione e di ansia).

Nel XXIV rapporto si illustra come sia cresciuta molto la richiesta di sicurezza individuale. Nonostante l’emergenza sanitaria, resta difficile persino da capire se sia chiaro cosa si potrebbe intendere per sicurezze collettive, ma invece su questo punto almeno una parte del mondo politico dovrebbe insistere molto. Chiedere conto a chi governa non solo di cosa sta facendo sul green pass e l’obbligo vaccinale (pure temi centrali), ma anche di quali cambiamenti abbia previsto per il trasporto pubblico locale, per gli spazi scolastici, per le condizioni all’interno dei luoghi di lavoro, per un diverso modo di fruire la cultura e un’altra possibilità di pianificazione dell’economia.

Risultano in crescita la fiducia nelle istituzioni e persino verso i partiti, che restano comunque inchiodati all’ultimo posto della classifica, con il 13% (segnando però un + 4%). I comuni, la scuola e il Presidente della Repubblica si inseriscono in una tendenza di maggiore affidamento, che però in nessun modo può essere inteso come partecipazione. Crollano infatti tutte le forme di impegno nella vita pubblica: sono meno gli acquisti equi e solidali, si pratica in misura minore il volontariato, calano le attività sportive, culturali e ricreative, si scende meno in piazza a manifestare. Persino il “boom” delle discussioni sui social registra una battuta di arresto (ha riguardato il 15% delle persone intervistate nel 2011, il 30% nel 2019, il 32% nel 2020 e il 26% nel 2021).

L’insoddisfazione esiste, ma rimane mitigata dal 70% che continua a pensare di vivere nel migliore modello istituzionale possibile, quello delle democrazie occidentali. La Covid-19 ha aumentato la “soddisfazione” verso il sistema che ci governa (salito al 48%, dopo il precipizio del 28% in cui era caduta nel 2013).

Eppure, chi ha ruoli nelle organizzazioni politiche e ha funzioni di governo sembra non voler accettare l’idea di avere la possibilità di svolgere un ruolo centrale nei mutamenti in corso, contrastando questa ritirata dalla partecipazione.

La paura del virus si traduce inevitabilmente in domanda di tecnocrazia e leadership in assenza di spazi condivisi, in cui riscoprirsi cittadine e cittadini (riconoscendo cittadinanza a chi se la vede negata da leggi prive di umanità e contrarie ai valori costituzionali).

Il mondo sta cambiando, ma la politica sta aspettando di capire come, fingendo di non accorgersi dei mutamenti, quasi la comunicazione avvenisse all’inizio di un film in elfico, senza traduzione in una lingua conosciuta. La maggioranza si affida alle realtà organizzate esistenti ma queste a loro volta si affidano allo stato di cose presenti, alla necessità di tutelare l’economia e il sistema imprenditoriale.

Nel frattempo, le emergenze si sovrappongono. Il blocco degli sfratti ha rappresentato una parentesi, senza nessun piano di edilizia residenziale pubblica che potesse mitigare il disastro repressivo in corso. Negli istituti penitenziari si è riusciti solo a portare l’opzione di Skype per permettere alla popolazione detenuta di parlare con le famiglie, mentre il populismo legalitario e giustizialista si rafforza, episodio di cronaca dopo episodio di cronaca. Il contesto pandemico sembra giustificare la minore consapevolezza in merito ai cambiamenti climatici e ai cataclismi ambientali che gli studi ci dicono essere molto probabili in prossimità temporale. La Costituzione prosegue nel suo svuotamento di fatto (con il pareggio di bilancio inserito dalla sostanziale totalità del Parlamento italiano, che oggi per fortuna prende atto che non era un principio indispensabile). L’architettura della sorveglianza a livello globale si allarga in tutte le nostre città, senza nessuna capacità del pubblico di immaginare un ruolo proprio, in concorrenza con i monopoli delle piatteforme private, a cui si delegano le competenze con cui portare avanti programmi di controllo dei movimenti e videosorveglianza.

Il quarto capitolo cinematografico di Matrix è anche una riflessione della regista sull’assuefazione a ogni novità e “scandalo” denunciato: ci adagiamo nell’emergenza, di fronte alla quale si “fa quel che si può”, accettando come ineluttabile la richiesta di perdere pezzi della nostra libertà. Come se fosse solo individuale e riguardasse strettamente l’io, invece del noi. 

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Fonte: Il Becco

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Articolo tratto interamente da Il Becco