"Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra con il dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia."
martedì 26 settembre 2023
Qualche volta...
"Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra con il dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia."
Nove anni dopo Ayotzinapa, riceviamo un’altra “verità storica”: padri e madri dei 43

Articolo da Desinformémonos
Questo articolo è stato tradotto automaticamente. La traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su Desinformémonos
Città del Messico | Diventiamo disinformati. Nove anni dopo la Notte di Iguala, “abbiamo ricevuto “un’altra verità storica”, che falsifica la verità sugli eventi violenti che hanno portato alla scomparsa forzata dei nostri figli”, hanno accusato i padri e le madri dei 43 studenti normali di Ayotzinapa, prima le “simulazioni e montaggi istituzionali e governativi nelle indagini del caso.
I padri e le madri dei 43 hanno rifiutato i "privilegi e l'impunità" di cui gode l'esercito messicano, "indipendentemente dal partito che lo governa", perché nonostante le prove dimostrino che i militari furono coinvolti nella scomparsa dei normalistas e che non esiste documentazione che lo dimostri, non c'è stata la consegna di un'informativa completa da parte dell'Ente.
«Chiediamo che il presidente Andrés Manuel López Obrador mantenga la sua promessa elettorale per risolvere il caso. Perché li stai coprendo? "Perché non ci dite la verità?", si sono chiesti in un comunicato, in cui chiedevano all'esercito di consegnare tutta la documentazione mancante sulla Notte di Iguala.
I genitori hanno denunciato che non solo l'esercito ha nascosto informazioni sul caso, ma anche il Centro nazionale di intelligence (CNI), già Centro per l'intelligence e la sicurezza nazionale (Cisen). Secondo le informazioni diffuse dal Centro per i diritti umani Miguel Agustín Pro Juárez (Centro Prodh), ci sono diverse pagine di documenti detenuti dal Centro regionale per la fusione dell'intelligence (CRFI), generati nel 2014, che l'esercito si rifiuta di consegnare. dove si trovavano i 43 normalisti.
Vista la mancanza di risposte da parte del governo federale e dell’esercito, i genitori hanno organizzato un sit-in a tempo indeterminato nel Campo Militare 1 di Città del Messico e hanno svolto attività politico-culturali in diversi punti della capitale per esigere la consegna di informazioni complete che consente di avanzare nelle indagini.
Questo martedì pomeriggio, nel nono anniversario della scomparsa dei normalisti, padri e madri, accompagnati da studenti, organizzazioni, gruppi e attivisti, marciano dall'Angelo dell'Indipendenza allo Zócalo per denunciare la mancanza di giustizia e verità nel caso Ayotzinapa e pretendono che i giovani appaiano vivi.
L’Esercito gode di privilegi e impunità nel nostro Paese, indipendentemente dal partito che lo governa.
Simulazioni e montaggi che vengono realizzati a discrezione delle Istituzioni che hanno l'obbligo costituzionale di darci risposte.
Al suo posto riceviamo un'altra "verità storica" che falsifica la verità degli eventi violenti che hanno portato alla scomparsa forzata dei nostri figli.
Dopo nove anni la nostra pazienza è già esaurita.
Chiediamo che il presidente Andrés Manuel López Obrador mantenga la promessa fatta in campagna elettorale per risolvere il caso. Perché li stai coprendo? Perché non ci dici la verità?
L'Esercito deve consegnare tutta la documentazione mancante sull'evento che ci conduca al luogo in cui si trovano i 43 studenti normali scomparsi.
L'amore di una madre e di un padre è caratterizzato da un impulso naturale ad amare e proteggere un figlio e la forza non ci abbandonerà mai finché non otterremo verità e giustizia.
Camminando insieme ai futuri insegnanti della Rurale Normale Raúl Isidro Burgos de Ayotzinapa!
Nessun perdono, né dimenticanza!
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Fonte: Desinformémonos
Autore: Redacción Desinformémonos

Articolo tratto interamente da Desinformémonos
Photo credit PetrohsW, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
Contro lo sfruttamento degli animali la Commissione europea fa marcia indietro
Articolo da L’Anticapitaliste
Questo articolo è stato tradotto automaticamente. La traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su L’Anticapitaliste
La revisione della legislazione europea sugli animali d’allevamento è scomparsa dalla lettera di intenti sullo stato dell’Unione Europea pubblicata il 13 settembre 2023, nonostante la Commissione Europea si fosse impegnata a presentarla entro la fine dell’anno.
Questo progetto di revisione trae origine, da un lato, da un'"iniziativa dei cittadini europei" per porre fine all'allevamento in gabbia (300 milioni di animali all'anno), che ha raccolto 1,4 milioni di firme nel 2020 e alla quale la Commissione ha accettato di dare seguito, e dall'altro in uno studio d’impatto condotto nell’ambito della strategia “dal produttore al consumatore”, una versione agricola e alimentare del Green Deal, focalizzata meno sulla protezione degli animali che sulla qualità e la competitività dei prodotti alimentari.
Rinviato il divieto di pratiche dannose
Notizia in anticipo! Questo studio ha rivelato che pratiche come l’allevamento in gabbia di polli, polli, vitelli, anatre, oche, quaglie, conigli e maiali erano dannose per la salute degli animali; stalle per suini e gabbie parto per scrofe; sistemi di legatura per le mucche che impediscono loro di sedersi o stare in piedi; la debeccatura degli uccelli, la decornazione delle mucche e dei vitelli (anche prima che il corno si attacchi al cranio); o addirittura la rimozione della coda dai maiali o dai cani!
La revisione doveva includere in particolare il divieto di queste pratiche, annunciato nel giugno 2021, insieme ad altre misure volte a regolamentare l'etichettatura dei prodotti e le condizioni di trasporto per i 1,4 miliardi di pollame, 31 milioni di suini, 4,3 milioni di bovini e 3 milioni di ovini spostati ciascuno anno per essere ingrassato e poi ucciso. Il tutto per un’applicazione progressiva dal 2027 accompagnata – non bisogna nemmeno andare troppo in fretta – con periodi transitori che vanno dai 5 ai 15 anni e sussidi per aiutare gli allevatori.
Pressioni della lobby agricola europea
Anche se la Commissione assicura che la revisione è ancora in corso, si tratta di lobby e Stati membri. Il Copa-Cogeca, la lobby europea delle organizzazioni professionali agricole, ha prodotto un proprio studio concludendo che ci sarebbe un calo della produzione se la revisione fosse attuata. Da parte sua, la Francia, il principale produttore agricolo europeo, chiede l'estensione degli standard alle importazioni per proteggere la redditività del suo mercato interno e delle sue esportazioni. Queste pressioni stanno avendo i loro effetti, poiché è stato ordinato un nuovo studio d'impatto perché quello precedente non aveva analizzato sufficientemente il rapporto costi-benefici della riforma!
Vietare le gabbie e le mutilazioni sarebbe ovviamente un progresso. Ma qui come altrove, i profitti del settore agroalimentare hanno la precedenza e il capitale è chiaramente riluttante a fare concessioni, il che illustra l’impasse di una politica che aggiusta le condizioni dello sfruttamento animale senza metterne in discussione le condizioni.
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Fonte: L’Anticapitaliste
Autore: L’Anticapitaliste
Licenza:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Francia.
Articolo tratto interamente da L’Anticapitaliste
Le Isole Eolie: 7 perle del Mar Mediterraneo
The Aeolian Islands. The 7 pearls of the Mediterranean Sea. Italy. from Andrea Di Stefano on Vimeo.
Photo e video credit Andrea Di Stefano caricato su Vimeo - licenza: Creative Commons
Barbarano Romano
Tra le forre di Barbarano Romano from Ricordi Ripresi on Vimeo.
Photo e video credit Ricordi Ripresi caricato su Vimeo - licenza: Creative Commons
50 anni senza Anna Magnani
Articolo da Doppiozero
Marzo 1944: siamo a Roma, nel quartiere Prenestino, alla vigilia delle nozze tra Pina, interpretata da Anna Magnani, e Francesco (Francesco Grandjacquet). Ci troviamo in una scena di Roma città aperta (1945): Pina, come si usava fare, vive in una casa condivisa con altre persone, tra cui dei bambini. Di notte, quando tutti, ormai, si sono messi a dormire, i ragazzini commentano tra di sé una bravata contro i soldati tedeschi. Quello scherzo, all’indomani, scatenerà una vendetta fatale, ma nessuno presagisce ancora la tragedia imminente e così uno dei piccoli, Marcello, figlio di Pina, dice: «L’avemo fregati bene a quelli, eh?». «A me non mi ci portate mai, però!» protesta una ragazzina. «Ma che c’entra?» – ribatte l’altro – «Te sei una donna!»; «E perché, le donne non possono fa’ l’eroismo?»; «Sì, lo ponno pure fa’…ma Romoletto dice che le donne so’ sempre guai.. ». «Ma non dormi tu? Dormite!» ordina Francesco entrando nella stanza.
Che scena perfetta e doppiamente incredibile: anzitutto perché quello scambio infantile che all’apparenza sembra funzionare come riempitivo, diventerà invece una specie di anticipazione dei gravi fatti del giorno dopo, quando Pina, la madre di Marcello, farà una morte eroica mentre insegue la camionetta che le sta portando via il suo amore, nella scena più famosa di Roma città aperta. Ma quel dialogo così giocoso è interessante anche perché in effetti è difficile, a pensarci, trovare una definizione più emblematica di ciò che Anna Magnani, morta mezzo secolo fa, il 26 settembre 1973, ha fatto accadere nella storia del cinema italiano. Le sue interpretazioni più famoso e più indimenticabili («Ti ho sentito gridare “Francesco” dietro un camion e non ti ho più dimenticato» scrisse Ungaretti) hanno scolpito nella memoria cinematografica italiana una verità spesso rimossa eppure, grazie a Magnani, evidente: le donne “possono fa’ l’eroismo”.
Qualche mese fa, l’artista e attivista americana Nan Goldin (colei a cui è dedicato il film di Laura Poitras che ha vinto il Leone d’Oro nel 2022) ha partecipato a “Il Cinema Ritrovato”, a Bologna. Presentando la proiezione di Bellissima (Luchino Visconti, 1952), sul palco di Piazza Maggiore, Nan Goldin ha definito Anna Magnani una grandissima attrice femminista. Ha ragione. Credo che si debba aggiungere anche un’altra cosa. È tempo di guardare il cinema di Anna Magnani non come la storia eccezionale di una geniale artista considerata all’interno di una storia del cinema italiano intesa come storia essenzialmente maschile – scandita e organizzata da sguardi maschili, a tutti i livelli: di regia, produzione, realizzazione, interpretazione, ricezione. È tempo di riconoscere cosa ha fatto accadere attraverso il cinema Anna Magnani, e proprio perché era un’attrice.
Vari studi recenti, prevalentemente di studiose, hanno illuminato questi aspetti, riguardanti anche questioni di genere, e che non sono fatti supplementari, marginali, opzionali. «Io non recito: vivo quello che faccio» ha dichiarato spesso Magnani nelle interviste. Le donne in cui ci fa vivere e ci fa credere Anna Magnani, il loro coraggio, il loro eroismo, non prescindono dalla storia, ma la reinterpretano e la dirottano. Anche quando, praticamente sempre, a dirigerla sono stati uomini: Rossellini, Visconti, Cukor, Pasolini, per fermarci ai primi nomi. C’è un filtro però che Magnani mette sempre tra sé e il regista che la dirige, vale a dire il suo sguardo. È come se, prima di farsi dirigere da altri, fosse Magnani a guardarsi e dirigere sé stessa, a reinventarsi – anche colluttando con il regista: per esempio con Pasolini che in Mamma Roma mal sopportava il suo dinamismo attoriale.
Siamo tutte spettatrici e spettatori di Anna Magnani: chi guarda i suoi film, chi ha recitato con lei, chi l’ha diretta, e anche lei stessa. È come se, quando è in scena Magnani, anche senza accorgercene fossimo messi di fronte a degli autoritratti per interposta persona, che fanno esistere l’attrice anche come autrice di sé stessa. Agisce, infatti, nei suoi ruoli, una consapevolezza del corpo scenico, di cui Magnani non nutre il personaggio (possiamo anche dire la personaggia) ma la sua stessa persona, con effetti continui di sdoppiamento e di mise en abyme.
Torniamo, per esempio, a quella famosa corsa dietro alla camionetta, che ha fatto la storia e potrebbe valere da punto di partenza per riscrivere un’intera storia del cinema come storia di donne che corrono. Quante volte (troppe) si è sentito parlare, per via di aneddoti, delle intemperanze di Magnani, come se il suo talento (che sa sfruttare così bene un’espressività anche popolaresca) fosse una risorsa impulsiva, un nervosismo animale.
Mentre, in realtà, siamo in presenza di un’intelligenza attoriale incarnata che arriva anche dal teatro, anche dalla disciplina, o dal travaglio della preparazione, come racconta il figlio nella biografia. Quel grido stesso («ti ho sentita gridare “Francesco”») è disciplina, respiro, arte attoriale. E forse è anche di più, se trattiamo la recitazione anche in termini di spazio delle donne, vale a dire non solo come una questione tecnica, come “valigia dell’attore”, ma, al tempo stesso, come negoziazione di un diritto alla voce: all’eroismo delle donne, per l’appunto. Per questo la definizione di Nan Goldin, fatta risuonare sotto le stelle, in una piazza piena di migliaia di persone, suona così bene. La risata forte di Magnani, la voce alta, il grido, lo sguardo, le occhiaie stesse e i capelli spettinati buttati in faccia all’altro non sono solo stilemi, ma strategie corporee di conquista dello spazio – usate, tra l’altro, da un’artista che, proprio in teatro, ha imparato a vivere la recitazione come evento reattivo, in continua sintonia con la presenza fisica del pubblico. E così quel grido, il punto preciso in cui è pronunciato intanto che il corpo frana a terra, è la voce di un’interprete che non era affatto nata come protagonista di Roma città aperta, ma, attraverso il corpo dell’attrice diventa emblema, cifra eroica del capolavoro di Rossellini. Nulla sarà più come prima, nella storia del cinema come nel destino cinematografico di Magnani, da quando quel grido scappa fuori. Al quindicennio successivo di fama e popolarità internazionale farà seguito, infatti, una carriera alterna e che forse, nelle sue discontinuità, ci parla della straordinaria fedeltà a un eroismo e a uno spazio autoriale e attoriale d’ora in poi irrinunciabili.
Prendiamo come spartiacque proprio Roma città città aperta (1945), il lavoro con cui Magnani conquista un successo mondiale diventando una diva. All’epoca Magnani ha trentasette anni ed è il diciottesimo film in cui recita (da accreditata). Nei quattro anni successivi gira altri dieci titoli – e siamo a ventotto. Negli anni Cinquanta recita in dieci film, tra cui The Rose Tattoo (La rosa tatuata, 1955), di Daniel Mann, con cui sarà la prima attrice non madrelingua inglese a vincere un Oscar. The Fugitive Kind (Pelle di serpente, Sidney Lumet, 1960) è il primo dei soltanto sei film che girerà negli anni Sessanta. Dopo ci saranno Roma (Fellini, 1972) e Correva l’anno di grazia 1870 (Giannetti, 1972). Riepiloghiamo: diciassette film in undici anni, prima del capolavoro di Rossellini; venti nei quindici anni successivi; otto dal 1960 al 1973, a cui va aggiunta la trilogia per la televisione girata da Giannetti (Tre donne: La sciantosa; 1943: Un incontro; L'automobile). Non le piacciono i copioni, rifiuta i ruoli: non si fida, come dice, chiudendo la porta, nel finale di Roma.
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Fonte: Doppiozero
Autore: Daniela Brogi
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Articolo tratto interamente da Doppiozero