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L'italianizzazione è stato un disegno politico del regime fascista che ha interessato tale periodo della storia d'Italia con l'intento di diffondere la lingua italiana, ma anche di intervenire sull'uso del dialetto di gruppi linguistici con diversa madrelingua. Il progetto di un'autarchia linguistica aveva avuto precedenti già all'inizio del XX secolo ed il regime vi aggiunse una connotazione ideologica con l'intento di rafforzare una connotazione centralista ed il consenso popolare controllando maggiormente anche aree di colonizzazione recente.[1]
«Basta con gli usi e costumi dell'Italia umbertina, con le ridicole scimmiottature delle usanze straniere. Dobbiamo ritornare alla nostra tradizione, dobbiamo rinnegare, respingere le varie mode di Parigi, o di Londra, o d'America. Se mai, dovranno essere gli altri popoli a guardare a noi, come guardarono a Roma o all'Italia del Rinascimento… Basta con gli abiti da società, coi tubi di stufa, le code, i pantaloni cascanti, i colletti duri, le parole ostrogote.»
L'italianizzazione venne perseguita, seguendo nelle intenzioni il modello francese, attraverso una serie di provvedimenti aventi forza di legge (come l'italianizzazione della toponomastica, dei nomi propri e la chiusura di scuole bilingui) ed un gran numero di disposizioni alla stampa ed alle case editrici, invitate ad evitare termini e nomi stranieri preferendogli i corrispondenti italiani o italianizzati.
Molti intellettuali accolsero favorevolmente l'iniziativa: sin dall'Umanesimo i linguisti e i letterati della corrente "purista" rifiutavano l'eccessiva eterogeneità linguistica del paese[senza fonte].
Tra i molteplici aspetti di questa politica, si ricordano:
- l'italianizzazione di molti cognomi non italiani (per esempio gli sloveni Vodopivec in Bevilacqua, Rusovič in Russo, Krizman in Crismani ecc.). Solo nella provincia di Trieste, furono italianizzati i cognomi di migliaia di persone prevalentemente di origine slovena e croata.[7][8][9][N 1] Le leggi fasciste sulla questione previdero l'italianizzazione d'ufficio (definita in questo caso "restituzione") di un cognome ritenuto di origine italiana, senza richiesta di consenso all'interessato; mentre se il cognome era straniero l'italianizzazione (chiamata "riduzione") era "facoltativa", anche se "raccomandata" spesso sotto minaccia, specie per i funzionari pubblici, ai quali un cognome straniero poteva arrivare a bloccare la carriera[11]. Motivata dal diverso intento di mitigare il senso di estraneità della cultura popolare anglosassone, l'abitudine di cambiare i nomi ebbe strascichi anche nel dopoguerra nei confronti di persone famose[N 2];
- l'italianizzazione dei toponimi, fenomeno particolarmente notevole in Alto Adige (es.: Sterzing = Vipiteno,[N 3] Ahrntal = Valle Aurina, Welsberg = Monguelfo ecc.), in Piemonte e Valle d'Aosta (es.: Salbertrand = Salabertano, Oulx = Ulzio, Courmayeur = Cormaiore, Morgex = Valdigna d'Aosta) e nella Venezia Giulia (es.: Postojna/Adelsberg = Postumia, Illirska Bistrica = Bisterza, Sv. Petar na Krasu = San Pietro del Carso, Godovic = Godovici). In Friuli il paese di "Pasian Schiavonesco" fu rinominato "Basiliano" per nascondere il suo essere stato colonizzato da popolazioni slave dopo la "vastata hungarorum", le scorribande degli Ungari che nei secoli VIII e IX avevano spopolato la pianura friulana (ma altre simili denominazioni non sono state mai cancellate in Italia, come ad esempio la stessa Gorizia che ha un'etimologia chiaramente slava). Merita un accenno in provincia di Trieste l'esempio di San Dorligo della Valle (Dolina in sloveno, ma anche in italiano, prima del 1920): si utilizzò infatti l'antica forma "Durlic", con la quale si chiamava il patrono della zona, Sant'Ulderico[13]. In effetti nel Martirologio Romano non esiste san Dorligo, ma Sant'Ulderico;
- l'italianizzazione di termini ormai di uso comune con equivalenti, ad esempio mescita in luogo di bar, acquavite in luogo di brandy o di whisky. Furono introdotti alcuni termini in sostituzione di altri entrati a far parte dell'uso comune, come sandwich che divenne tramezzino, cocktail che fu trasformato in bevanda arlecchina. Alcuni termini, come tramezzino, sono rimasti in uso nella lingua italiana.
Il processo previde inoltre la censura o la chiusura di giornali in lingua diversa da quella italiana[14] e l'incentivazione al trasferimento di italofoni nelle zone a maggioranza linguistica alloglotta (il caso più eclatante è quello di Bolzano, comune dell'Alto Adige ora a maggioranza linguistica italiana). Si aggiunse la chiusura delle banche e degli istituti di credito locali e l'abolizione di eventuali seconde lingue ufficiali.[14]
Numerosi intellettuali appoggiarono la politica di italianizzazione: tra questi Gabriele D'Annunzio, il quale propose ad esempio il termine arzente per indicare il distillato di vinacce e, in generale, qualsiasi liquore ad alta gradazione alcolica. Arzente è una variante di ardente[15], usata nell'antica locuzione acqua ardente (e da cui probabilmente derivò il termine arzillo).
Inoltre l'italianizzazione venne vista da molti intellettuali vicini al fascismo, tra cui Giovanni Gentile - direttore scientifico e animatore della prima edizione dell'Enciclopedia Italiana nel 1925 - come il recupero linguistico di terre che erano state in precedenza "deitalianizzate", o almeno "delatinizzate", in seguito a politiche di assimilazione linguistica praticate da Stati stranieri.
Fu quindi naturale per l'Enciclopedia Italiana accogliere ed ufficializzare l'italianizzazione di toponimi tripolitani e cirenaici[16] (più tardi anche del Fezzan) proposta nel 1915 - dopo un primo insoddisfacente tentativo di Eugenio Griffini per conto dell'Istituto Geografico Militare - da Carlo Alfonso Nallino, principale arabista italiano, docente dell'Università di Roma cui, fascista egli stesso, fu affidata dall'Enciclopedia Italiana la cura di tutto ciò che riguardava il mondo arabo e islamico. La Libia era infatti vista come un territorio già romano e quindi, con azzardata deduzione, italiana, di cui era necessario italianizzare i toponimi, ancorché la massima parte non fosse costituita da arabizzazioni di originali latini (ma anche greci), bensì da termini del tutto arabi o berberi, con rare presenze turche.
Il recupero linguistico era avvenuto prevalentemente in Istria, dove il processo di migrazione e d'insediamento di nuclei rurali slavi era cominciato già nell'Alto Medioevo nel VIII secolo, nella stessa fase storica delle prime presenze tedesche stabili in altri territori cisalpini. A ciò va aggiunta la reazione politica al contemporaneo processo di de-italianizzazione che veniva effettuata nei territori ancora italofoni (anche solo parzialmente o residualmente) sotto sovranità straniera: nel Nizzardo ed in Corsica l'italiano venne osteggiato fino alla sua quasi totale scomparsa; in Dalmazia la politica del neonato Regno di Jugoslavia causò addirittura l'esodo di quasi tutti i dalmati italiani, rimanendone circa 5000 secondo il primo censimento etnico del regno.
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I due estremi... Adesso è tutto un calderone di termini italiani, latini e inglesi... ma soprattutto si cerca di adattare la grammatica italiana a termini stranieri!
RispondiEliminaPagine buie del fascismo.
EliminaIn Benecia proibì l'uso della lingua slovena.Ciao
RispondiEliminaVero!
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