venerdì 19 luglio 2024

19 luglio 1992 – Palermo: alle ore 16:59, il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Agostino Catalano e Vincenzo Li Muli, rimangono uccisi dall'esplosione di un'autobomba in Via D'Amelio



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La strage di via D'Amelio fu un attentato di stampo terroristico-mafioso avvenuto domenica 19 luglio 1992, all'altezza del numero civico 19 di via Mariano D'Amelio a Palermo, in Italia, in cui morirono il magistrato italiano Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio[1]), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto fu l'agente Antonino Vullo, che al momento dell'esplosione stava parcheggiando una delle auto della scorta[2][3][4][5].

La volontà di Cosa nostra di uccidere Paolo Borsellino risalirebbe addirittura ai primi anni '80, quando il magistrato seguiva le indagini sugli assassini del capitano dei carabinieri Emanuele Basile[6]. I primi tentativi concreti vennero messi in atto a partire dal 1987, quando Borsellino era procuratore capo a Marsala: infatti il boss Salvatore Riina incaricò Baldassare Di Maggio (reggente del mandamento di San Giuseppe Jato in assenza di Bernardo Brusca) di spiare le mosse del magistrato quando trascorreva le vacanze estive nella sua villa al mare a Villagrazia di Carini[7]. Sempre con l'avallo di Riina, il piano ebbe un ulteriore sviluppo nel 1991: Francesco Messina (detto Mastru Ciccio, reggente del mandamento di Mazara del Vallo, in cui ricadeva il territorio di Marsala) assegnò il compito di eseguire l'attentato a Vito Mazzara (capo della Famiglia di Valderice), utilizzando un fucile di precisione o un'autobomba durante il tragitto che il giudice compiva da casa al lavoro[8][9]. Tuttavia il progetto incontrò l'opposizione di Vincenzo D'Amico e Francesco Craparotta (rispettivamente capo e vice-capo della Famiglia di Marsala), i quali fecero trapelare la notizia all'esterno, facendo così aumentare le misure di sicurezza intorno al magistrato e bloccando di fatto ogni tentativo di attentato (per questo motivo, D'Amico e Craparotta verranno uccisi su ordine di Riina nel 1992)[7][9].

Un altro tentativo stava trovando concreta attuazione nel 1988, quando Borsellino lasciava Marsala per trascorrere la domenica con i familiari nella sua abitazione di via Cilea a Palermo: un gruppo di fuoco composto da mafiosi della Noce e di Porta Nuova (Francesco Paolo Anzelmo, Raffaele e Domenico Ganci, Antonino Galliano, Salvatore Cancemi e Francesco La Marca) doveva colpirlo con armi da fuoco mentre usciva da casa per andare a comprare il giornale in edicola ma all'ultimo momento venne tutto sospeso perché, dopo un paio di appostamenti intorno all'abitazione, fu accertato che l'agguato non era fattibile[6][7]

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