Articolo da Pressenza
Il 25 aprile è la festa della Liberazione. Perché quel 25 aprile del
1945 ha segnato una fine e soprattutto un inizio: la fine della
dittatura fascista e, quindi, l’inizio che ha reso possibile una
stagione di democrazia. Pertanto il giorno del 25 aprile di ogni anno ci
invita a rendere testimonianza pubblica e collettiva di volere tenere
insieme memoria antifascista e impegno democratico nelle scelte delle
nostre vite.
Il 25 aprile è una ricorrenza che si fonda sulla memoria. Negli anni
drammatici della guerra, uomini e donne sono stati chiamati ad una lotta
di resistenza e di liberazione, che ci ha insegnato come, in realtà,
ogni tempo chiama ogni persona a rendere conto della giustizia e della
libertà di tutti. Proprio l’intelligenza della memoria oggi ci spinge a
cercare le forme, vive, della sua trasmissione. Vuol dire essere capaci
di non imbalsamare antifascismo e resistenza nella retorica di una
narrazione soltanto celebrativa. Significa anche conservare salda la
necessità di distinguere le responsabilità e di chiamare le cose con il
loro nome. Così la memoria tiene fermo il senso della storia.
Il 25 aprile è un’occasione per rileggere le parole della lettera
agli amici che Giacomo Ulivi, un giovane partigiano, pochi giorni prima
di essere fucilato dai fascisti, ha scritto dal carcere: “Dobbiamo
guardare ed esaminare insieme: che cosa? Noi stessi. Per abituarci a
vedere in noi la parte di responsabilità che abbiamo dei nostri mali.
Per riconoscere quanto da parte nostra si è fatto, per giungere ove
siamo giunti. (…) Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa
pubblica sia noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro
mondo, insomma, che ogni sua sciagura è sciagura nostra, come ora
soffriamo per l’estrema miseria in cui il nostro paese è caduto: se lo
avessimo sempre tenuto presente, come sarebbe successo questo? (…) Oggi
bisogna combattere contro l’oppressore. Questo è il primo dovere per noi
tutti: ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo,
e che eviti il risorgere di essi ed il ripetersi di tutto quanto si è
abbattuto su di noi”.
Oggi la vita e la memoria di chi si è sacrificato per la libertà
interrogano anche il nostro presente, il nostro impegno attuale. Ogni
giorno siamo chiamati a prendere la parola e ad agire coerentemente
contro le forme, talvolta striscianti e suggestive, della violenza e dei
soprusi di oggi. Parafrasando Primo Levi, il fascismo può essere di
nuovo possibile, se cessiamo di essere presenti e protagonisti
nell’esercizio della democrazia; se non prendiamo posizione
quotidianamente contro il razzismo, l’esclusione e ogni forma di
ingiustizia; se non agiamo ogni giorno e dovunque per l’esercizio dei
diritti di tutte le persone, per difendere l’autodeterminazione della
società, per fare vivere nelle istituzioni e nelle pratiche i valori di
una Costituzione democratica fondata sul lavoro.
La contrapposizione
tra fascismo e Costituzione è evidente, come ha sottolineato la
costituzionalista Barbara Pezzini: “Il fascismo assume la
discriminazione come propria categoria fondante (sino all’estrema
abiezione delle leggi razziali); la Costituzione assume l’eguaglianza e
l’universalità dei diritti come principio fondamentale. Il fascismo
sopprime il pluralismo e concentra il potere nelle mani di un capo
supremo; la Costituzione ha una struttura istituzionale fondata sulla
divisione, la distribuzione, l’articolazione e diffusione massima dei
poteri.
Il fascismo aggredisce le autonomie individuali e sociali; la
Costituzione fissa un perimetro invalicabile di libertà individuali e di
autonomia sociale. Il fascismo celebra la politica di potenza e di
guerra, nel disprezzo del diritto internazionale; la Costituzione
ripudia la guerra, negando alla radice la legittimità della politica di
potenza”.
Per dirla con le parole usate da Piero Calamandrei già nel 1946, si
tratta di attuare la “Resistenza in prosa”, dopo la “Resistenza eroica”
dei partigiani. La “Resistenza in prosa” oggi sta anzitutto nella difesa
attiva della Costituzione: nei principi fondamentali, nei diritti e
doveri e nelle forme istituzionali che separano i poteri per dare
garanzie. È l’architettura del sistema costituzionale che fa la
differenza ed impedisce ogni trasformazione autoritaria o dittatura
della maggioranza; questo spiega l’insofferenza e i reiterati attacchi
alla Costituzione da parte di chi persegue il disegno di restaurare
l’onnipotenza dei decisori politici o economici. La difesa della
Costituzione deve essere praticata anche contro insidie più sottili e
insinuanti, ma altrettanto pericolose: la tentazione di una
verticalizzazione del potere, il rischio di delegare ad un leader
carismatico la soluzione dei problemi, la scorciatoia di scegliere un
capo politico rispetto al quale il partito o il movimento diviene solo
una macchina elettorale, uno strumento plebiscitario.