lunedì 30 novembre 2020

Notte d'autunno di Rainer Maria Rilke


Notte d'autunno

Le stelle, tacendo,
rimiran la pallida luna:
barchetta d'argento,
che sogna l'approdo
per entro le chiome dei tigli.
Richioccola lungi una fiaba
la garrula fonte, sommessa.
Un tonfo leggero di pomi
sull'erba che immobile sta.
Dal poggio vicino,
la brezza notturna spirando,
mi reca sovr'ali d'azzurra
falena, traverso le querce,
un greve sentore
di fervidi mosti recenti.

Rainer Maria Rilke


Proverbio del giorno

 

Sin che si vive, s’impara sempre.



sabato 28 novembre 2020

Ecco i vincitori di Wiki Loves Monuments 2020 in Italia

Mareggiata Polignano


Articolo da Wikimedia Italia

La bellezza del patrimonio artistico e paesaggistico italiano in 10 scatti. Tutti ora possono ammirare e riutilizzare liberamente le 10 fotografie vincitrici della nona edizione di Wiki Loves Monuments, il più grande concorso fotografico del mondo che coinvolge oltre 50 Stati. L’obiettivo è quello di raccogliere immagini di monumenti per documentare il patrimonio storico e culturale di ogni nazione e illustrare le pagine di Wikipedia.

15.000 le fotografie proposte da oltre 700 fotografi che hanno partecipato al concorso, attivo a settembre. Hanno partecipato professionisti e amatori che hanno immortalato il monumento del proprio cuore. Una grande adesione che incorona l’Italia al terzo posto a livello mondiale, dopo USA e Iran, per numero di fotografi partecipanti.

Oltre 300 le richieste di autorizzazione per inserire nuovi monumenti nella lista dei fotografabili: con un incremento di oltre 1.500, diventano ora 15.312 i monumenti italiani che potranno essere riprodotti in fotografie condivisibili con licenza d’uso Creative Commons BY-SA. In Italia, infatti, è possibile fotografare e condividere un monumento solo se inserito nell’elenco dei monumenti autorizzati (autorizzazione che proviene dagli enti territoriali che hanno in consegna i beni culturali, secondo la regolamentazione del “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, il cosiddetto Codice Urbani datato 2004 con il successivo Art Bonus del 2014).

Il podio è tutto pugliese: la giuria nazionale, composta da fotografi professionisti ed esperti volontari della comunità di Wikimedia Italia, ha incoronato al primo posto Mareggiata Polignano, scatto di Nicola Abbrescia che immortala Cala Paura, suo “luogo del cuore” durante una mareggiata. Al secondo posto Gabriele Costetti con Brindisi – Teatro Verdi, veduta esterna del teatro comunale; il terzo posto va ad Alberto Busini che con Tutto rosa mostra l’oasi dei fenicotteri di Lesina, in provincia di Foggia.  

Alla Toscana va il primato per foto partecipanti, oltre 4.000, seguita dalla Lombardia da cui sono arrivati circa 2.500 scatti e poi Basilicata ed Emilia-Romagna, immortalate in circa 2.000 fotografie ciascuna. Sono 2.300 invece gli scatti che riprendono le vedute panoramiche, nuova categoria dell’edizione 2020.

Il prossimo passo per le 10 foto vincitrici è previsto per gennaio, quando la giuria internazionale di Wiki Loves Monuments eleggerà lo scatto più bello a livello mondiale, scelto tra le migliori raccolte in tutti i Paesi partecipanti alla competizione.

Matteo Ruffoni, presidente di Wikimedia Italia: “Grazie a Wiki Loves Monuments siamo riusciti, anche in un anno così complesso, a proseguire il lavoro di valorizzazione del nostro patrimonio artistico, aumentando il numero di monumenti liberati e fotografati. Tutti hanno il diritto di poter ammirare e apprezzare le bellezze italiane e mondiali, in particolar modo in questo 2020 che ci ha messi di fronte all’impossibilità di viaggiare e all’opportunità di ammirare l’arte gratuitamente attraverso un semplice click”.

Nella galleria fotografica trovate i 10 migliori scatti dell’edizione nazionale di quest’anno. Queste le motivazioni che hanno portato la giuria a selezionare le prime 3 classificate https://www.wikimedia.it/galleria-foto/


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Fonte: Wikimedia Italia 

 
Autore: Wikimedia Italia

         

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Articolo tratto interamente da Wikimedia Italia



L’Onu condanna la glorificazione del nazismo e del neonazismo



Articolo da Centro Studi Sereno Regis

Il 18 novembre 2020, l’ONU ha approvato la Risoluzione “Combattere la glorificazione del nazismo, neonazismo e altre pratiche che contribuiscono ad alimentare le contemporanee forme di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza”, un appello agli Stati membri affinché adottino tutti gli strumenti necessari per portare avanti una lotta nonviolenta contro un fenomeno tutt’altro che obsoleto ma, al contrario, tragicamente attuale.

Il neonazismo è qualcosa di più della glorificazione di un movimento del passato: è un fenomeno contemporaneo”, degradante e distruttivo. Pericoloso promotore di razzismi. Discriminazioni, fobie, intolleranze. Questo è il neonazismo.

Se doveste aver dato per scontato che tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite abbiano votato a favore della Risoluzione, mi addolora e terrorizza dover demolire un pronostico così fiducioso e ottimistico.

Solo 122 hanno espresso la loro approvazione, Russia e Cina comprese. Mentre 29 Stati membri si sono astenuti. Tra questi, anche il governo italiano.

Due, invece, sono gli insidiosi refrattari: Stati Uniti e Ucraina.

Nelle repubbliche baltiche, i rigurgiti neonazisti non hanno alcun timore di uscire allo scoperto. Si dilatano e regrediscono in un crescente e concreto sentimento d’odio.

Come analizza egregiamente Manlio Dinucci in un articolo per il Manifesto, “vi sono ampie prove che squadre neonaziste sono state addestrate e impiegate, sotto regia USA/NATO, nel putsch di piazza Maidan, nel 2014, e nell’attacco ai russi di Ucraina per provocare, con il distacco della Crimea e il suo ritorno alla Russia, un nuovo confronto in Europa analogo a quello della guerra fredda. Emblematico il ruolo del battaglione Azov […].”



Autore: Benedetta Pisani




Articolo tratto interamente da 
Centro Studi Sereno Regis 


Rhode Island

Aerial Footage - Rhode Island 2020 from Peter Spameni on Vimeo.

Photo e video credit Peter Spameni caricato su Vimeo - licenza: Creative Commons 


Franconia

HOMELAND // Franconia in Motion // 6K Timelapse from DSPhotography on Vimeo.

Photo e video credit DSPhotography caricato su Vimeo - licenza: Creative Commons 


venerdì 27 novembre 2020

La vita è fatta di delusioni...



"La vita è fatta di delusioni, botte e lividi che nemmeno il tempo è capace di cancellare. La vita è fatta di partenze e di ritorni, però una cosa ho imparato, in tutta questa spirale di esperienze negative,che si potrà anche soffrire, stare male, piangere fino a sentir doloranti gli occhi,ma ci si rialza sempre, perché nulla è più importante di noi stessi e della nostra vita, che è il dono più prezioso che abbiamo,quindi bisogna reagire e rialzarsi."

Luciano Ligabue


Pollice su e giù della settimana

 

India, salvato elefante caduto in un pozzo profondo 17 metri tratto da Skytg24


Femminicidio, i dati 2020: 91 vittime in 10 mesi. Una donna uccisa ogni tre giorni tratto da Fanpage



giovedì 26 novembre 2020

Calcio in lutto: è morto Diego Armando Maradona

Maradona cup azteca


Articolo da Altrenotizie

Diego Armando Maradona è stato la magia del gioco del calcio. Di volta in volta, con la maglia della nazionale argentina, è stato raddrizzatore di torti, spettacolo unico, trascinatore di ogni emozione, vendicatore delle Malvinas. Persino con la mano, certamente aiutato dagli angeli, riuscì a volare ingannando altezze, arbitri e corona inglese. Con la maglia del Napoli è stato la personificazione della bellezza, il leader della riscossa di una città, la dimostrazione di come un popolo possa sognare dietro a un uomo. Napoli, che lo ha amato perdutamente e che tutt'ora lo ama, con lui è stata più di se stessa, si dovette dare del voi a tanta maestosità ingiustamente seppellita che si riprendeva lo scenario che gli spettava di diritto.

Diego Armando Maradona è stato uomo di ogni eccesso. Un poeta maledetto del calcio e della vita. Refrattario alla disciplina in campo e fuori, ha vissuto inventando e godendo, sprecando e rischiando. Incarnare il Dio del calcio, del resto, era una missione che non consentiva fornire esempi per altre virtù. Dai capelli fino ai piedi espresse sempre ribellione. Nulla in lui era accomodante e discreto. Di fronte alle sue emozioni, alle sue paure ed alle sue ingenuità ha scelto di vivere come istinto comandava e non come prassi esigeva.
Come Mohammed Alì nel pugilato, Maradona divenne più celebre dello sport che praticava. Il più grande calciatore della storia si è preso gioco del calcio e delle miserie che lo circondano. Ha sfidato le leggi della balistica e persino quelle della gravità, ha smentito ogni fisica con la sua chimica. Non importa quale fosse l’istinto del momento, la velocità che riteneva di voler dare alla sua corsa: andavano, lui e il pallone, a fendere l’aria, a seminare meraviglia tra i compagni e panico tra gli avversari, che di fronte ai suoi slalom diventavano di colpo birilli inanimati.

Rese inutili le barriere e gli schemi, i blocchi e i raddoppi delle difese, perché la palla, semplicemente, obbediva a lui e non ai suoi avversari. Faceva scorrere il pallone come stesse sempre a filo d’erba e il tentativo di contrastarlo diveniva un inutile mulinare di gambe. Persino la durata delle partite cambiò: non più novanta minuti, duravano fino al momento in cui Diego decideva che dovevano finire. Allora prendeva palla e puntava avversari e porta e, mentre gli occhi dei tifosi uscivano dalle orbite di fronte a tanta abilità e bellezza, il risultato correva a cambiarsi d’abito.

Nessuno poteva togliergli il pallone dai piedi, anche solo tentarlo esponeva a figuracce. Perché oltre la tecnica sopraffina non si poteva interrompere l’affascinamento reciproco tra il fuoriclasse e la sfera. Guardava negli occhi gli avversari ma non perdeva mai di vista il pallone. Con la sfera tra i piedi, Diego Armando Maradona diventava il Dio dell’estetica, livellava l’ingiustizia dello sport, sistemava i giusti nelle vittorie. e questi gli era devoto, non si allontanava mai dal suo piede sinistro perché ne ammirava la grande bellezza, la magia che vi era contenuta, la fantasia applicata. Il pallone, toccato da lui, diventava un ballerino capace di passare dal tango al merengue, dalla sinfonia classica alla salsa, al son. Andava dove Diego voleva che andasse: vento, pioggia e qualunque altro agente atmosferico si fermavano per non comprometterne il volo.

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Fonte: Altrenotizie

Autore: 
Fabrizio Casari
Licenza: Creative Commons (non specificata la versione

Articolo tratto interamente da Altrenotizie.org 

Photo credit Unknown author, Public domain, via Wikimedia Commons


Citazione del giorno

 

"La natura è un miracolo che si perpetua ogni giorno davanti ai nostri occhi, e noi spesso non riusciamo a vedere."

Stephen Littleword



martedì 24 novembre 2020

In piedi signori, davanti a una donna




In piedi signori, davanti a una donna

Per tutte le violenze consumate su di lei
per tutte le umiliazioni che ha subito
per il suo corpo che avete sfruttato
per la sua intelligenza che avete calpestato
per l’ignoranza in cui l’avete lasciata
per la libertà che le avete negato
per la bocca che le avete tappato
per le ali che le avete tagliato
per tutto questo
in piedi, Signori, davanti ad una Donna.
E non bastasse questo
inchinatevi ogni volta che vi guarda l’anima
perché Lei la sa vedere
perché Lei sa farla cantare.
In piedi, Signori, ogni volta che vi accarezza una mano
ogni volta che vi asciuga le lacrime
come foste i suoi figli
e quando vi aspetta
anche se Lei vorrebbe correre.
In piedi, sempre in piedi, miei Signori
quando entra nella stanza e suona l’amore
e quando vi nasconde i dolore e la solitudine
e il bisogno terribile di essere amata.
Non provate ad allungare la vostra mano per aiutarla
quando Lei crolla sotto il peso del mondo.
Non ha bisogno della vostra compassione.
Ha bisogno che voi
vi sediate in terra vicino a Lei
e che aspettiate che il cuore calmi il battito
che la paura scompaia
che tutto il mondo riprenda a girare tranquillo
e sarà sempre Lei ad alzarsi per prima
e a darvi la mano per tirarvi su
in modo da avvicinarvi al cielo
in quel cielo alto dove la sua anima vive
e da dove, Signori, non la strapperete mai.


Anonimo

Questi versi sono stati erroneamente attribuiti a Shakespeare, purtroppo non si conosce l'autore, ma le parole sono significative.


Voce: Arturo Delogu

Video credit Arturo Delogu caricato su YouTube



La storia di Harriet Tubman



Articolo da Vanilla Magazine

La storia di Harriet Tubman è una storia di avventura e coraggio, di schiavi e di padroni ma soprattutto di grande, grandissima umanità. Inizia in una contea del Maryland, negli Stati Uniti, ma non finisce nel piccolo stato nord orientale degli States, anzi, si dipana lungo una buona fetta del territorio americano, in cui nell’800 si sovrappongono il dramma della schiavitù e l’usurpazione della terra dei nativi, oltre alla terribile guerra di secessione.

Araminta Ross nasce in un anno compreso fra il 1820 e il 1825 nella contea di Dochester, nel Maryland. Figlia di schiavi, Araminta aveva altri 8 fratelli, ma la famiglia fatica a stare unita. Il loro proprietario, Edward Brodess, vende 3 dei Ross, Linah, Mariah Ritty, e Soph, e la madre, disperata per la perdita dei bambini, arriva a nascondere il piccolo Moses per un mese.

Quando i padroni vengono a cercarlo la mamma, Harriett Green, minaccia:

"Date la caccia a mio figlio, ma spaccherò la testa a chiunque metterà piede in casa mia."

Nonostante l’impegno della coraggiosa Harriet, Araminta viene separata dalla famiglia all’età di sei anni. I Brodess la cedono come impiegata a una famiglia che la utilizza per fare da tata al figlio della donna, e qui Araminta inizia a sperimentare la violenza dei bianchi contro gli schiavi di colore.

La piccolissima Araminta tenta di difendersi indossando diversi strati di vestiti e scappando alle torture dei suoi aguzzini, ma il suo destino è quello di esser frustata, quasi tutti i giorni. Un giorno viene frustata per 5 volte prima di colazione, e di quella drammatica esperienza porterà con sé le cicatrici per tutta la vita.

Quando ha 13 anni i Brodess mandano a lavorare Araminta, che è ormai considerata una donna matura, nella piantagione di un certo James Cook, ma qui la ragazza si ammala di morbillo e viene rispedita ai padroni, che le consentono di guarire nella casa materna.

Un giorno, durante un normale giro al paese per svolgere delle commissioni, accade un fatto che segnerà la vita di Araminta per sempre. Uno schiavo riesce a divincolarsi dalle grinfie di un padrone e inizia a scappare per la strada. Il bianco vede Araminta e le grida di fermarlo, ma la ragazza non si muove, e lo schiavo riesce a guadagnare terreno. Il padrone a quel punto lancia un oggetto di metallo del peso di circa 1 Kg, forse rivolto allo schiavo per tentare di fermarlo, e colpisce in testa la giovane Araminta, che cade a terra esanime.

La ragazza trascorre due giorni a riposo, e poi torna a lavorare nei campi. Si porterà appresso le conseguenze del gesto per tutta la vita con frequenti emicranie, capogiri e visioni mistiche, che interpreterà spesso “segni divini”.

Araminta Ross, in un ambiente che a ragione si può definire pericoloso e mortale per gli schiavi, riesce ad arrivare a vent’anni e sposa John Tubman, un uomo libero, e cambia nome in Harriet Tubman. Il suo status di schiava condiziona inevitabilmente la vita della coppia, della quale i figli sarebbero stati schiavi di proprietà dei Brodess.

I padroni di Harriet tentano in tutti i modi di venderla ma le malattie di cui soffre, fra cui l’ epilessia del lobo temporale, con continui attacchi epilettici e svenimenti improvvisi causata dal colpo ricevuto in strada, la rendono poco appetibile.

Nel 1849 Harriet si ammala e il padrone tenta di venderla, anche ad un prezzo “da saldo”, e la donna inizia a pregare affinché l’uomo cambi idea. Brodess continua a insistere nella vendita e Harriet, secondo i suoi racconti, prega affinché l’uomo muoia, fatto che puntualmente si verifica nell’arco di tempo di circa una settimana.

La moglie di Brodess, Eliza Ann, inizia a svendere tutti gli schiavi che ha ereditato dal marito, e Harriet decide che è giunto il momento di finire la sua vita in schiavitù.

Nonostante il parere contrario del marito, Harriet riesce a fuggire con i fratelli Henry e Ben il 17 settembre 1849. La vedova Brodes mette una taglia da 100 dollari sulla testa dei tre fuggiaschi (circa 3.000 euro odierni), ma la ricompensa si rivela inutile: i 3 tornano spontaneamente indietro.

Il giovane Ben, che aveva circa 20 anni, nel mentre è diventato padre e le circostanze lo obbligano a tornare nella proprietà dei Brodes, seguito dai due fratelli.


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Fonte: 
Vanilla Magazine

Autore: 
Matteo Rubboli

Licenza: Licenza Creative Commons
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Articolo tratto interamente da 
Vanilla Magazine


Polonia, continuano le manifestazioni contro la legge che limita il diritto all’aborto

02020 0691 Protest against abortion restriction in Kraków, October 2020


Articolo da East Journal

A una mese dalla decisione della Corte costituzionale, il governo polacco continua a ritardare la pubblicazione della controversa sentenza che vieterebbe quasi totalmente l’aborto. Il governo prende tempo, probabilmente in attesa di capire l’evoluzione delle proteste. “È in corso una discussione. Sarebbe meglio dedicare un po’ di tempo al dialogo e alla ricerca di una decisione, che è difficile e suscita forti emozioni”, ha detto qualche settimana fa Michał Dworczyk, capo dell’ufficio del primo ministro.

Le proteste e gli scontri

Nel frattempo, continuano le manifestazioni in tutta la Polonia, le più grandi dalla caduta del comunismo. Dopo due settimane abbastanza tranquille, mercoledì ci sono stati scontri e arresti nel centro di Varsavia. L’impressione è che la situazione sia cambiata radicalmente.

L’Ogólnopolski Strajk Kobiet (lo sciopero nazionale delle donne) aveva organizzato un manifestazione per bloccare il Sejm, la camera bassa della Polonia. L’imponente spiegamento di forze dell’ordine ha però impedito ogni tentativo di avvicinarsi alle sedi istituzionali. A quel punto, i dimostranti hanno raggiunto le vie del centro dove la polizia ha costantemente bloccato ogni strada ed eseguito i primi arresti. A farne le spese anche l’ormai celebre ‘nonna Kasia’ del collettivo Polskie Babcie (nonne polacche), già fermata in altre occasioni. Qualche centinaio di persone si è poi ritrovata sotto la sede della tv pubblica TVP per protestare contro quella che viene ritenuta la voce del governo.

Le forze dell’ordine hanno bloccato tutte le vie limitrofe e costretto i manifestanti a rimanere in piazza Powstańców Warszawy fino a tarda sera. Non sono mancati i momenti di paura quando una trentina di agenti sotto copertura del gruppo antiterrorismo “BOA”, scambiati per nazionalisti, hanno cercato di portare via alcuni giovani. La polizia è intervenuta con gas lacrimogeni e spray urticante, e il bilancio finale è di 20 arresti e un centinaio di persone multate per aver violato le norme anti-covid. “Avevamo a che fare con persone molto aggressive, la polizia ha dovuto usare la forza”, ha detto a TVN24 Sylwester Marczak, portavoce delle forze dell’ordine. “Queste manifestazioni sono illegali” e questa “non era pacifica”. Secondo il rapporto finale, i manifestanti avrebbero messo in pericolo l’integrità fisica degli agenti.

L’opposizione denuncia la violenza della polizia

I manifestanti hanno segnalato la mano pesante della polizia che, secondo loro, sarebbe stata troppo aggressiva e avrebbe avuto un atteggiamento provocatorio. Anche alcuni parlamentari dell’opposizione erano presenti e denunciano gli abusi delle forze di sicurezza. Magdalena Biejat (Lewica – Sinistra) è rimasta lievemente ferita dallo spray urticante, mentre un agente ha spezzato il tesserino della parlamentare Monika Wielichowska (Koalicja obywatelska – Coalizione civica) mentre questa cercava di identificarsi. “Ho avuto uno scontro con un poliziotto, mi ha detto che non gli importava della mia immunità” ha invece denunciato la deputata Barbara Nowacka (Ko). Secondo Mikołaj Małecki dell’Università Jagellonica di Cracovia, “quando un agente sotto copertura vuole intervenire, deve rivelare la sua identità in modo che possa agire secondo le sue competenze”.

Chiarimenti in merito alle azioni della polizia sono stati chiesti anche da Adam Bodnar, difensore civico e attivista per i diritti umani. “La mia preoccupazione riguarda l’uso di mezzi di coercizione diretta da parte di ufficiali non identificabili”, sostiene Bodnar.

Le rappresentanti dello Sciopero nazionale delle donne (Osk) descrivono quanto successo mercoledì come una serata in ‘stile bielorusso‘, per la violenza e le modalità d’azione: in molti video si vedono donne e giovani letteralmente trascinati via o presi a manganellate. Anche il sindaco di Varsavia, Rafał Trzaskowski, ha condannato il comportamento della polizia. Tra gli arrestati, c’è chi lamenta di essere stato rilasciato nel corso della notte, lontano da Varsavia. Un liceale ha ricevuto pressioni dalla polizia di Krapkowice per aver condiviso su Facebook l’evento delle proteste. Secondo fonti del quotidiano liberale Gazeta Wyborcza, una parte delle forze dell’ordine premerebbe per adottare un approccio più duro nei confronti delle manifestazioni.

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Articolo tratto interamente da East Journal

Photo credit Silar, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons


Non voglio cambiare il mondo...

Queen 1984 0005

"Non voglio cambiare il mondo, lascio che siano le mie canzoni ad esprimere le sensazioni e i sentimenti che provo ed ho provato. Essere felici è il traguardo più importante per me, ora, e quando sono felice il mio lavoro lo dimostra. Alla fine tutti gli errori che ho commesso e tutte le relative scuse saranno da imputare solo a me: mi piace pensare di essere stato solo me stesso... Adesso voglio solamente avere tutta la gioia e la serenità possibili, e vivere quanta più vita possa, per tutto quel poco tempo che mi resta da vivere."

Freddie Mercury




Verso e oltre il 25 novembre

Per maggiori informazioni:

Non Una Di Meno



Video credit non una di meno caricato su YouTube


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Proverbio del giorno

 

Quando nasce, il sole nasce per tutti.



lunedì 23 novembre 2020

Quarant’anni dal terremoto in Irpinia



Articolo da Il lavoro culturale

Il 23 novembre di quarant’anni fa uno spaventoso terremoto colpì la Campania e la Basilicata. Continuiamo la serie di approfondimenti su quell’evento ospitando una riflessione di Stefano Ventura, autore di “Storia di una ricostruzione. L’Irpinia dopo il terremoto”, recentemente uscito per Rubbettino editore.   

2914 morti. Decine e decine di paesi cancellati. Pensando agli effetti della scossa che il 23 novembre 1980, alle ore 19 e 34, sconvolse l’Appennino meridionale, colpendo al cuore l’Irpinia e la Basilicata, sarebbe bene non dimenticare il dolore profondo di chi, allora, perse le persone più care. Le polemiche e lo sdegno che si lega nel discorso pubblico al terremoto in Irpinia devono tener conto di questo dolore, devono tener conto delle testimonianze di chi visse quei novanta secondi interminabili ed ebbe la fortuna di restare in vita, ma cambiando per sempre, inevitabilmente, la propria esistenza. E’ questo il monito che l’anniversario da cifra tonda dovrebbe tener presente.

Ciascun irpino, ciascun lucano porta dentro di sé ricordi dolorosi, lutti di persone care, familiari, amici. Eppure il discorso pubblico nazionale, anche in questo quarantesimo anniversario, sarà certamente improntato su altre questioni: lo spreco, la cattiva gestione delle finanze pubbliche, i tempi lunghi per concludere i lavori di ricostruzione. Tutti questi temi sono temi reali e storici, dati di fatto che non possono essere elusi. La ricostruzione dopo il terremoto è costata circa 32 miliardi di euro, secondo i calcoli fatti dalla Corte dei Conti pochi anni fa attualizzando da lire in euro la spesa destinata al capitolo della “ricostruzione e sviluppo” delle aree terremotate, come recitava la legge 219 del 1981.

Ma la narrazione di un evento, come il terremoto, e di un periodo lungo, come la ricostruzione, deve essere più articolata e più ampia, senza fermarsi solo a stereotipi e slogan buoni per articoli scandalistici.

Proprio la questione della memoria è un primo problema irrisolto; chi ha vissuto quei 90 secondi ricorda nel dettaglio ogni singolo particolare, lo ha isolato nel tempo, lo ha rivissuto come si fa con le scene di un film. Le testimonianze, poi, ripercorrono di solito i giorni dell’emergenza, a partire dai soccorsi in ritardo fino all’arrivo dei volontari e alla solidarietà fraterna tra italiani, una delle pagine più belle in quei giorni angosciosi. Poi si verifica un salto logico, un’omissione e un rifiuto di raccontare la ricostruzione a uso e consumo di chi ha già la risposta in tasca. Le vicende personali, le idee politiche e i giudizi qui divergono e vanno da chi ritiene che la ricostruzione sia stata comunque una grande pagina di modernizzazione e chi ritiene che, invece, sia stata una occasione persa, l’ennesima per questa parte di Sud in una lunga storia di fallimenti e sconfitte.

Il terremoto ha creato delle faglie più subdole e invisibili, quelle del rancore tra chi è stato capace di approfittare dell’occasione e di chi non ci è riuscito, tra chi prima non aveva nulla e adesso ha e tra chi prima aveva e poi ha perso quasi tutto. Forse per sanare queste fratture c’è bisogno di tempo, ci vorranno altre generazioni, una classe dirigente e professionale diversa, altri centri di azione e di pensiero.

Non appare chiaro chi gestirà e animerà, però, questi processi, se in tanti continueranno ad abbandonare le terre in cui il terremoto del 1980 seminò distruzione e dolore.

Tornando al volontariato, è forse poco evidente l’importanza dei segni e delle esperienze maturate nell’emergenza. Nell’Italia Repubblicana spesso i volontari hanno dimostrato slancio e praticità in caso di disastro, una costante che arriva fino ad oggi. Anche nell’emergenza COVID-19 i volontari hanno dato una grande mano intervenendo in sostegno e in sostituzione del servizio pubblico. Le storie dei volontari in Irpinia sono state raccolte in tanti diari, memoriali, libri e anche dai social media, ad ogni anniversario. Si può ad esempio citare la storia di Luisa Morgantini, sindacalista lombarda che partì alla volta di Teora (Avellino) per restarci poche settimane e che invece ci rimase un anno, avviando anche una cooperativa, “La metà del cielo”, con alcune ragazze giovanissime. Oppure la storia di Nora Scirè, architetto: appena laureata andò sul campo sia per dare una mano, sia per dare un contributo professionale. Infatti contribuì a ricostruire molti centri storici, scegliendo poi Laviano e Salerno come luogo di residenza per costruire una famiglia.

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Fonte: Il lavoro culturale  


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Articolo tratto interamente da Il lavoro culturale 


Un paese fantama: Romagnano al Monte (SA)

Romagnano Vecchia

Questo video ci mostra le immagini di un borgo distrutto e abbandonato, in seguito al terremoto dell'Irpinia del 1980. Oggi il nuovo paese si trova a 2 km di distanza.



Video credit Alessandra Borriello caricato su YouTube - licenza: Creative Commons

Photo credit Giovanni salimbene (Opera propria) [CC BY 3.0], attraverso Wikimedia Commons

Terremoto del 1980: ricordi di un professore di sismologia

 


Articolo da Blog INGVterremoti

Tra i sismologi più attivi nello studio del terremoto del 1980 c’è certamente Aldo Zollo, oggi professore di Sismologia all’Università di Napoli, a cui abbiamo chiesto di raccontarci come aveva vissuto quel momento e come questo avesse influenzato il suo percorso scientifico.

Era domenica pomeriggio tardi, rientravo in vespa percorrendo il corso Vittorio Emanuele a Napoli, nella sua parte più panoramica che guarda al golfo di Napoli ed al Vesuvio. Una sera di novembre, neanche troppo fredda, di quelle domeniche in cui può piacere scarrozzare in moto senza una meta fissa.

Salgo le scale che portano al monolocale dove vivevo, il vicino del piano di sopra si precipita giù vedendomi arrivare: “Il terremoto, il terremoto, fuggiamo via, …” Era completamente assalito dal panico. A grandi passi entro nella mia stanza, vedo il neon al soffitto che ancora oscillava, la luce che andava e veniva nella stanza.

Il mio primo terremoto l’ho vissuto così, a cose ormai fatte, senza averne percepito lo scuotimento forte e lungo, solo attraverso la paura delle persone che mi hanno raccontato la loro esperienza di mancamento del suolo dovuto ad una vibrazione lenta, ampia e interminabile.

Nel 1980 ero studente universitario, ai primi anni del corso di laurea in Fisica, studi che avevo intrapreso per una passione neanche troppo nascosta per le scienze della Terra e per la Fisica Terrestre, in particolare. Qualche anno dopo, mi sono laureato con una tesi sui meccanismi di innesco dei terremoti e proprietà statistiche delle sequenze sismiche, supervisionata da Roberto Scarpa e ispirata dalle lezioni tenute da sismologi del calibro di Hiroo Kanamori, Keiiti Aki e Raoul Madariaga che ebbi la fortuna di seguire, insieme a tanti giovani studenti e ricercatori europei, alla Scuola Internazionale di Fisica di Varenna del 1982 organizzata da Enzo Boschi, allora giovane e brillante Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica.

Ma il mio incontro ravvicinato con il terremoto dell’Irpinia accadde nuovamente qualche anno più tardi alla fine degli anni ’80. Quando con una borsa di studio europea mi trasferii in Francia all’Istituto di Fisica del Globo di Parigi per svolgere attività di ricerca nell’ambito della tesi di Dottorato, sotto la direzione scientifica di Pascal Bernard e Raoul Madariaga.

Pascal da qualche mese aveva cominciato a lavorare alla teoria delle isocrone, poi successivamente utilizzata per costruire una tecnica, molto avanzata all’epoca, per la simulazione della radiazione sismica ad alta frequenza emessa dalle fratture sismiche durante i forti terremoti. Raoul, poi, era stato diverse volte in Italia ad incontri organizzati dall’ENEA-ENEL che operava la prima rete accelerometrica nazionale, con l’obiettivo di monitorare l’attività sismica in prossimità dei siti di realizzazione delle centrali nucleari. Da queste due coincidenze nacque l’idea della mia tesi di dottorato in Francia, cioè utilizzare i segnali accelerometrici prodotti dai forti terremoti per determinare le caratteristiche cinematiche e dinamiche delle fratture sismiche ed in particolare studiare il processo di nucleazione, propagazione ed arresto della frattura che causò il terremoto irpino, dall’analisi e modellazione dei dati della rete accelerometrica ENEA-ENEL.

Infatti, il caso volle che il terremoto dell’Irpinia sia accaduto in un’area densamente monitorata dalla rete accelerometrica dell’ENEA-ENEL. Una ventina di stazioni ENEA-ENEL lo registrarono, ben dislocate rispetto all’epicentro dell’evento e con una qualità del segnale non raggiungibile dai sensori sismici tradizionali della Rete sismica ING. Tra queste stazioni accelerometriche alcune (Bagnoli Irpino, Calitri, Sturno prossime all’epicentro del terremoto ed entro 40-60 km di distanza) hanno rilevato accelerazioni massime del moto del suolo fino a 0.38 g (dove g è l’accelerazione di gravità pari a 9.81 m/sec2), comparabili ai valori massimi registrati nel terremoto del Friuli del 1976.

In circa due anni di lavoro certosino, tra fonti bibliografiche, dati strumentali multi-disciplinari e codici di calcolo originali, abbiamo elaborato e modellato i dati accelerometrici integrati da quelli sismologici della rete locale temporanea (installata subito dopo l’evento per la registrazione delle repliche) e da quelli delle reti a più grande apertura nazionali e mondiali. I nostri modelli furono raffrontati con i dati geodetici della deformazione co-sismica del suolo, e con quelli geologici riguardanti le evidenze di fratturazione superficiale del terremoto e con i dati della struttura del volume di crosta appenninica nel quale si sono originate e sviluppate le fratture sismiche, superfici di faglia di lunghezza di svariate decine di chilometri con dislocazioni medie dell’ordine del metro. I segnali accelerometrici indicarono chiaramente che durante il terremoto si erano fratturati almeno tre segmenti di faglia a distanza temporale di circa 20 secondi l’uno dall’altro. La durata dell’intero processo di frattura del terremoto irpino (circa 40-50 secondi) in aggiunta alla sua magnitudo (Ms 6.9) è stata la causa della lunga durata del forte scuotimento del suolo che causò gravi danni all’edificato su di un’area molto vasta (100×80 km2) dell’Appennino meridionale, prevalentemente nella direzione della catena montuosa, ma con effetti anche nelle aree costiere tirrenica e adriatica.

Il terremoto irpino del 1980 ha rappresentato un punto di svolta nello sviluppo metodologico e dei sistemi di osservazione sismica nel nostro Paese, permettendo alla Scienza dei Terremoti di fare un grosso passo in avanti sulla comprensione dei fenomeni sismici e sulle strategie di mitigazione del loro impatto economico e sociale.

Di fatto, ha dato inizio ad un processo di potenziamento e di ammodernamento delle reti osservative geofisiche che ha condotto a dotare oggi il nostro Paese di una rete sismica nazionale, di una rete accelerometrica ed una rete geodetica ad acquisizione in continua per la misura del moto sismico e della deformazione del suolo. Esse coprono in modo uniforme il territorio italiano a rischio sismico elevato ed operano in tempo quasi-reale in modo da garantire in pochi minuti l’informazione relativa ad un evento sismico dalla più piccola magnitudo rilevabile dagli strumenti (M circa 2) fino alle magnitudo più elevate registrabili in Italia (M 7-7.5). Un sistema integrato, sviluppato in collaborazione scientifica e tecnologica dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dal Dipartimento della Protezione Civile Nazionale, dalle Università e dagli enti regionali. Con un numero totale prossimo ai 1000 nodi ed una spaziatura media di meno di 30 km tra stazioni adiacenti, la densità delle reti osservative sismica e accelerometrica italiana è oggi confrontabile con quella delle reti sismiche equivalenti in Giappone e tra le più avanzate nel mondo.


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Fonte: Blog INGVterremoti


Autore: Aldo Zollo 

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Terremoto Irpinia 1980: il presidente Pertini sulla mancanza di aiuti


"Nel 1970 in Parlamento furono votate leggi riguardanti le calamità naturali. Vengo a sapere adesso che non sono stati attuati i regolamenti di esecuzione di queste leggi. E mi chiedo: se questi centri di soccorso immediati sono stati istituiti, perché non hanno funzionato? Perché a distanza di 48 ore non si è fatta sentire la loro presenza in queste zone devastate? Non bastano adesso. Vi è anche questo episodio che devo ricordare, che mette in evidenza la mancanza di aiuti immediati. Cittadini superstiti di un paese dell'Irpinia mi hanno avvicinato e mi hanno detto: "Vede, i soldati ed i carabinieri che si stanno prodigando in un modo ammirevole e commovente per aiutarci, oggi ci hanno dato la loro razione di viveri perché noi non abbiamo di che mangiare". Non erano arrivate a quelle popolazioni razioni di viveri. Quindi questi centri di soccorso immediato, se sono stati fatti, ripeto, non hanno funzionato. Vi sono state delle mancanze gravi, non vi è dubbio, e quindi chi ha mancato deve essere colpito, come è stato colpito il prefetto di Avellino, che è stato rimosso giustamente dalla sua carica. Adesso non si può pensare soltanto ad inviare tende in quelle zone. Sta piovendo, si avvicina l'inverno, e con l'inverno il freddo. E quindi è assurdo pensare di ricoverarli, pensare di far passare l'inverno ai superstiti sotto queste tende. Bisogna pensare a ricoverarli in alloggi questi superstiti. E poi bisogna pensare a una casa per loro. Su questo punto io voglio soffermarmi, sia pure brevemente. Non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice."

Sandro Pertini


Terremoto dell'Irpinia del 1980: per non dimenticare




Domenica 23 novembre 1980 - 19:34:

2.914 morti

8.848 feriti

280.000 sfollati


Mai dimenticare!



Video credit mcirillo380 caricato su YouTube


domenica 22 novembre 2020

Nuova scoperta a Pompei: ritrovati gli scheletri di due uomini



Articolo da Il Fatto Storico

Lo scavo di ​​una grande villa alla periferia di Pompei ha restituito gli scheletri di due uomini, morti insieme mentre si riparavano dalla catastrofica eruzione del Vesuvio avvenuta il giorno prima, il 24 ottobre del 79 d.C. È possibile che i due uomini fossero uno schiavo e il suo padrone. Massimo Osanna, direttore del parco ad interim, ha dichiarato: «È uno scavo importantissimo, restituisce al patrimonio una villa suburbana meravigliosa, ma anche scoperte toccanti di grande emotività e impatto». Gli scavi stanno interessando un sito che in passato è stato gravemente rovinato dai tombaroli.

Il racconto di Massimo Osanna

Osanna, temporaneamente ancora direttore del parco archeologico, spiega il ritrovamento: «Le vittime probabilmente cercavano rifugio nel criptoportico, il vano sotterraneo dove pensavano di essere più protetti. Vengono travolti dalla corrente piroclastica, probabilmente alle 9 di mattina [del 25 ottobre], quando arriva a Pompei la nube ardente che distrugge completamente i piani superiori e uccide chiunque incontrasse sul suo percorso. Morirono probabilmente per lo shock termico, come dimostrano gli arti, le mani e i piedi contratti. Una morte che però, per noi, è una fonte di conoscenza incredibile. [I corpi] restituiscono non solo i volti, ma anche i vestiti. Hanno un panneggio straordinario, sembrano delle statue. Come ricordava Fiorelli nel 1863 quando, per la prima volta si realizzarono i calchi dei fuggiaschi pompeiani, “si potrebbero studiare gli antichi non sulle statue di bronzo e di marmo ma sui corpi stessi delle vittime rapite alla morte” ».

Un Romano e il suo schiavo?

Dei due uomini, il più grande aveva un’età compresa tra i 30 e i 40 anni. Il più giovane aveva probabilmente 18-25 anni e diversi schiacciamenti alle vertebre fanno pensare a un lavoratore manuale o uno schiavo. Entrambi indossavano una tunica, e il giovane anche un mantello o una coperta di lana. Secondo gli esperti, sarebbero sfuggiti alla fase iniziale dell’eruzione quando la città era ricoperta di pomici e lapilli. Furono invece uccisi dall’esplosione avvenuta il giorno successivo. La villa si trova circa 700 metri a nord-ovest di Pompei: nel 2017 era stata scavata la parte servile della stalla con i resti di tre cavalli, uno addirittura bardato con una raffinata sella in legno e bronzo e scintillanti finimenti. «Lo scavo di Civita Giuliana è molto importante perché condotto insieme alla Procura di Torre Annunziata per scongiurare danni enormi al patrimonio. Gli scavi clandestini stavano attraversando gli ambienti con tunnel, saccheggiando la villa», ha aggiunto Osanna.

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Fonte: Il Fatto Storico

Autore: redazione Il Fatto Storico

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Articolo tratto interamente da
 Il Fatto Storico