Articolo da Il sindacato è un'altra cosa
In fondo all’articolo, la campagna di sostegno allo sciopero,
con i nostri gatti che fanno da testimonials. Oggi NIENTE PACCHI! Con
le scatole ci giocano solo loro!
Il testo dell’articolo è ascoltabile da questo link, nella trasmissione di RadioQuarantena di venerdì 19 marzo.
Oggi, lunedì 22 marzo, è il primo sciopero nazionale nei magazzini
Amazon italiani. Il blocco parte dalle 6.30 del mattino e riguarda
l’intero turno degli addetti alla distribuzione, dai magazzini fino ai
corrieri sui furgoncini. Per l’intera giornata, speriamo che Amazon si
fermi, niente pacchi, niente consegne. Lo sciopero è indetto da Cgil
Cisl Uil del settore e riguarda circa 30-40mila persone, anche se, tra
appalti e subappalti, nessuno conosce il numero preciso di quanti
lavorano nella ‘catena di montaggio’ delle merci. Uno stop che
arriva a un anno dall’inizio della pandemia, dopo il boom di ordini e
fatturato dovuto al vertiginoso aumento dell’e.commerce nel 2020, ma con
lavoratori e lavoratrici esausti, anche perché non si sono mai fermati,
nemmeno nei momenti più duri della crisi sanitaria, nonostante i rischi
di contagio, corsi soprattutto da chi consegna casa per casa. Essenziali, quindi, ma con bassi salari, condizioni precarie di sicurezza e soprattutto carichi di lavoro massacranti.
Boom di fatturato, dicevo, (Jeff Bezos, l’AD di Amazon, è diventato
la prima persona nella storia del mondo ad ammassare un patrimonio netto
di oltre $200 miliardi) a cui non è corrisposta, però, una maggiore
attenzione per le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, con la
direzione che rifiuta ogni richiesta di confronto con i sindacati, in
particolare sul rispetto della clausola sociale in caso di cambi
d’appalto, sulla stabilizzazione dei precari e sui ritmi di lavoro
insostenibili, in particolare i carichi e gli orari di lavoro dei
driver, le cui consegne sono regolate da un algoritmo che ignora le
condizioni di traffico delle grandi città, costringendo a rispettare
tabelle di marcia impossibili e che mettono costantemente a rischio la
loro, e la nostra incolumità. È già accaduto che nel ritmo frenetico
delle consegne questi lavoratori si siano trovati coinvolti in
incidenti, talvolta mortali. Senza considerare che gli eventuali danni
ai mezzi sono tutti a loro carico. A questo si aggiungono salari ridotti
all’osso, nonostante il boom dei profitti, e scarse condizioni di
sicurezza sul fronte Covid.
I sindacati, denunciano il fatto che Amazon abbia repentinamente bloccato il tavolo della trattativa.
La risposta della multinazionale sarebbe che no, non è vero, ci sono
stati due incontri nel mese di gennaio. E tanto basta alla direzione e
alla associazione datoriale per accogliere lo sciopero con “stupore e
disappunto” perché, dicono, non depone a favore di un confronto e di un
dialogo e certo renderà difficili le trattative. In merito, in una
intervista al responsabile del gruppo per l’Italia, si legge che «Da
sempre, rispettiamo il diritto dei nostri dipendenti a formare o aderire
a un sindacato senza timore di ritorsione, intimidazione o
persecuzione”. Beh, direi, aggiungo io, si chiama Costituzione, ed è la
base di tutto l’impianto legislativo di questo paese. È entrata in
vigore nel 1948, pensa un po’. Lo dico, così, a titolo informativo, se
per caso Amazon se lo fosse perso.
Sul fronte salariale, nella stessa intervista, l’azienda afferma che i
livelli di inquadramento nei suoi stabilimenti sono di gran lunga
superiori a quelli del settore e quindi i trattamenti economici sono già
competitivi e superiori alla media nazionale. Beh, che dire, siete il
colosso mondiale dell’e.commerce, qualche responsabilità dovreste pure
avercela. In ogni caso, rivendica anche un premio da 800 euro cumulati
per il lavoro durante la pandemia. Dice che era una erogazione a titolo
di riconoscimento e ringraziamento ai nostri dipendenti per il lavoro
eccezionale svolto durante l’emergenza sanitaria». Io più prosaicamente
mi domando se non si possa piuttosto chiamarla indennità di contagio!
Insomma, complessivamente, una risposta dell’azienda a questa
inaspettata dichiarazione di sciopero che è la migliore conferma, se ce
ne fosse stato bisogno, della necessità e della giustezza dello
sciopero. Ripeto, se ce ne fosse stato bisogno, perché casomai
bisognerebbe chiedersi come non sia stato dichiarato prima questo
sciopero, per lavoratori e lavoratrici che hanno ritmi e carichi di
lavoro tali da non avere nemmeno la possibilità di fermarsi per andare
in bagno.
Veniamo quindi alle condizioni di lavoro, anche dentro i magazzini, non soltanto quelle dei driver sulla strada. Riporto alcuni passaggi di inchieste e testimonianze di chi ha lavorato nell’inferno della catena di montaggio delle merci.
“In piedi da ore, sollevo una cesta dal nastro e me la metto davanti.
Prendo il primo prodotto, lo scansiono e con una rotazione che a volte
sfiora i 180 gradi lo metto a sinistra, in una delle dodici ceste che il
computer mi indica. Prendo il prodotto successivo e obbedisco di nuovo
al pc. Poi un altro ancora, veloce. La mente è svuotata, annullata dalla
continua ripetizione degli stessi movimenti. Benché automatici,
richiedono un’attenzione continua sulla singola azione. Se mi distraggo,
metto i pezzi nella destinazione sbagliata”.
Questo è il reportage del giornalista Luigi Franco, che, nel 2018, si
fece assumere come lavoratore interinale nel magazzino di Amazon di
Piacenza nel periodo infernale che va dal Black Friday al Natale. Obbedisco al pc.
Sì, perché in questa catena di montaggio, non è la macchina a comandare
tempi e movimenti ma l’algoritmo, mentre un computer traccia in tempo
reale le prestazioni di ciascun lavoratore. Taylorismo digitale, con
target che possono toccare i 360 pezzi smistati all’ora e in più
l’aggravio dell’attenzione, che almeno al Charlie Chaplin di tempi
moderni erano risparmiati, con tanto di briefing motivazionali per
aumentare la produttività. L’algoritmo non detta soltanto i ritmi di
lavoro, ma stabilisce anche, sulla base del loro rispetto, chi deve
essere assunto a tempo indeterminato e chi deve andarsene, chi può
restare e chi deve essere licenziato.
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Fonte: Il sindacato è un'altra cosa
Autore: Eliana Como
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Articolo tratto interamente da Il sindacato è un'altra cosa
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