Come un uragano, l’esperienza del Coronavirus ci ha colti alla sprovvista, ci ha travolti lasciando scoperchiate le nostre difese, non solo fisiche e immunitarie, ma anche affettive, psicologiche e sociali.
Probabilmente i nostri nonni, di fronte all’impatto della pandemia,
rispetto alle persone più giovani, saranno riusciti a relativizzare
meglio quanto accaduto, avendo vissuto la guerra, e in generale
conoscendo meglio delle generazioni successive condizioni esistenziali
segnate dalla precarietà, dalla povertà e talvolta dalla morte
prematura. Nonostante, infatti, gli anziani siano la categoria più
vulnerabile e maggiormente colpita dal Covid-19, il sistema economico,
sociale e valoriale in cui hanno vissuto, almeno per la prima metà del
Novecento, li ha resi probabilmente più temprati e maggiormente
preparati alla possibilità di un evento infausto e sicuramente
catastrofico.
Fino al boom economico degli anni ’50 e ‘60, infatti,
sebbene già tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, secondo alcuni
storici, si siano sviluppate le condizioni per la nascita della futura
società di massa e del capitalismo globale (che, pur, con tutti i limiti
e le storture hanno permesso, almeno in parte , un diffondersi più
stratificato di un certo benessere), le condizioni economiche e sociali
erano sicuramente più precarie e incerte, tanto che, ad esempio, il
tasso di mortalità infantile all’interno di un nucleo familiare era di
347 su mille nati vivi nel 1887, mentre oggi è inferiore a 4[1].
La morte dunque, era considerata parte integrante della vita, qualcosa
di endemico che poteva capitare nel corso dell’esistenza. Dopo la fine
della Seconda Guerra Mondiale, il boom economico e l’avvento della
società di massa, per fortuna, almeno in Italia e in tutto l’Occidente
essa è diventata invece un avvento riguardante solamente le persone
molto anziane e fragili, mentre intanto crescevano la speranza di vita e
di benessere, almeno apparente.
Se da un lato, infatti, le condizioni degli individui sembravano
migliorare, dall’altra cominciavano ad affacciarsi altre problematiche
indotte da una società liberista portata alle estreme conseguenze: anche
dal punto di vista psicologico, un modello di esistenza basato sulla
sensazione di invincibilità ed eterna salute ha influito pesantemente
sullo stato emotivo delle persone: la morte stessa è sempre state più
percepita come un tabù, un fantasma da esorcizzare, al pari di
invecchiamento e malattie.
Soprattutto “negli ultimi anni, poi,
il messaggio trasmesso dai media, dalla pubblicità, dalla moda, dagli
organi di informazione (…) ha monopolisticamente imposto una sola
cultura che ha appiattito le differenze politiche, individuali e
culturali. Un messaggio più forte di qualsiasi teoria, che ti impone di
essere competitivo, ricco, bello, vincente, pena l’esclusione sociale”[2],
favorendo situazioni di disagio e malessere profondo; una cultura
edonistico-efficientistica così impostata non può infatti che
racchiudere in sé situazioni di profonda e reale disperazione ed
emarginazione.
Lo “sviluppo senza progresso” denunciato da Pasolini[3]
già negli anni ’70 ha portato infatti alle estreme conseguenze
l’affermazione di un modello sociale iniquo per cui i soprusi delle
categorie dominanti a danni delle classi e dei paesi subalterni hanno
riguardato anche l’ambiente, favorendo in questo modo anche la
diffusione di virus patogeni[4],
con la conseguenza inevitabile che la diffusione capillare di malattie è
strettamente connessa al sistema neo-liberistico su cui si fondano gli
Stati.
Al di là di questa premessa, che presuppone un ripensamento del
nostro modello economico e sociale, è indubbio che la pandemia di
Covid-19, per quanto in parte evitabile grazie a un sistema più
sostenibile, e probabilmente meno disturbante all’interno di un mondo
più “preparato” a riceverla, ci ha indubbiamente travolti e ha cambiato
per sempre le nostre esistenze. Sicuramente da marzo 2020 ad oggi niente
sarà più come prima, e gli enormi danni che la pandemia ha portato in
luce, non solo per quanto riguarda l’inefficienza di un sistema
sanitario non adeguato e non pronto a garantire l’assistenza universale
come vuole la nostra Costituzione, ma anche per quanto concerne la vita
dei singoli, si ripercuotono e si ripercuoteranno per molto tempo sul
benessere psicofisico delle persone.
Le misure messe in campo per
arginare il Coronavirus, fondate sull’isolamento, la quarantena, e la
limitazione dei contatti interpersonali, hanno inevitabilmente provocato
e accentuato diverse problematiche di natura psicologica. La rivista The Lancet,
punto di riferimento internazionale per la comunità medica, ha
pubblicato un’analisi dell’impatto psicologico della quarantena,
attraverso studi condotti su persone affette da SARS, Ebola, MERS,
Influenza H1N1, per esplorarne i potenziali effetti sulla salute mentale
e il benessere psicologico[5].
Lo studio ha preso poi in esame un’indagine svolta sul personale
sanitario impegnato nell’emergenza SARS e sottoposto a quarantena: nove
giorni dopo la fine della quarantena, i medici e i pazienti analizzati,
come ricorda anche la psicologa Francesca Picanza, “riportavano
sintomi compatibili con il disturbo acuto da stress, che provoca
pensieri intrusivi, incubi, incapacità di provare e mozioni positive e
altre reazioni come ansia, irritabilità ed esplosioni di rabbia”[6].
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Fonte: Il Becco
Autore: Chiara Del Corona
Licenza:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Italia.
Articolo tratto interamente da Il Becco
articolo interessante,grazie.
RispondiElimina👍
EliminaE' un vero guaio.Saluti
RispondiEliminaBuona giornata.
EliminaProblemi psicologici sono già evidenti ora, dai giovani, partendo dai bimbi, fino a chi non sa come potrà risollevarsi e quindi cade in profondi stati di prostrazione più che di depressione.
RispondiEliminaPurtroppo i vari lockdown non sono indolori.
EliminaEcco, sarà retorico ma credo che questa pandemia influisca soprattutto sui figli e nipoti del boom economico. Gente (me compreso) che non ha sofferto mai un bel nulla - a parte disgrazie fisiologiche e naturali -.
RispondiEliminaMi fanno davvero ridere tutti 'sti disturbi da stress.
Li immagino nella striscia di Gaza, questi sventurati, o in Birmania (tanto per rimanere in panorami ancora più attuali..)
Punto di vista mia, ovvio.
Ci sono zone del mondo, che si rischia veramente la vita.
EliminaI giovani di oggi poco avvezzi l sacrificio subiranno danni gravi.
RispondiEliminaPurtroppo è la realtà.
EliminaDiciamo che la nostra società era già su una bruttissima strada e questa pandemia sicuramente lascerà altri grossi danni morali e sociale, di conseguenza anche psicologici.
RispondiEliminaConcordo!
EliminaArticolo molto interessante, abbiamo assoluto bisogno di tornare a respirare aria di "normalità".
RispondiEliminaUn ritorno alla socialità.
EliminaNel mio ultimo articolo col giornale con cui collaboro - il Punto Quotidiano - ho trattato lo stesso argomento da un altro punto di vista... Buona serata.
RispondiEliminaLetto!
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