Comunicato da NonUnaDiMeno
Dopo l’enorme manifestazione del 25 novembre, con più di
mezzo milione di persone in piazza, l’8 marzo scioperiamo contro la
violenza patriarcale in tutte le sue forme.
Scioperare l’8 marzo significa trasformare la potenza del 25N in blocco della produzione e della riproduzione,
attraversando i luoghi dove la violenza patriarcale si esercita ogni
giorno: nelle case e sui posti di lavoro, nelle scuole e nelle
università, nei supermercati e nei luoghi di consumo, nelle strade e
nelle piazze, in ogni ambito della società. Perché se ci fermiamo noi si
ferma il mondo!
Vogliamo opporci al Governo che tratta la violenza
maschile sulle donne e di genere come problema securitario.
L’irrigidimento del Codice Rosso è un’operazione che ripropone un
approccio emergenziale e punitivo senza agire sullo scardinamento dei
meccanismi che riproducono la società patriarcale.
Scioperare l’8 marzo significa mostrare come l’ascesa delle
destre in Italia e a livello globale abbiano reso ancora più dure le
politiche familiste, razziste e nazionaliste che alimentano sfruttamento
e violenza.
Lo vediamo nelle misure del Governo che estende i contratti precari, in un paese in cui gli stipendi medi riferiti all’inflazione non aumentano da 20 anni.
Lo vediamo nell’erosione del welfare e nello smantellamento e privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, nella chiusura dei consultori pubblici
e nello sgombero di quelli autogestiti, nella cancellazione del reddito
di cittadinanza la cui platea era a maggioranza femminile, nella
costante precarizzazione abitativa, nella difficoltà di accesso ai
servizi e nel sovraccarico del lavoro di cura gratuito e malpagato
che pesa soprattutto su donne, lesbiche, froce, persone bisessuali,
trans, queer, intersex, asessuali, su persone povere, anziane, migranti e
seconde generazioni, con disabilità, minori, sexworkers e detenute.
Lo
vediamo nelle politiche sessiste e razziste per la natalità del
Governo, che spingono le donne “bianche e italiane” a fare figli per la
patria, quando una madre su 5 è costretta a lasciare il posto di lavoro
dopo il primo figlio non riuscendo a conciliare ritmi familiari e
lavorativi, mentre le famiglie omogenitoriali vengono discriminate e
attaccate.
Lo vediamo nell’aumento del controllo fiscale sulavoratorx domesticə che sopperiscono a un welfare pubblico assente, nel moltiplicarsi di CPR e nel decreto Cutro,
che continuano a restringere la libertà di movimento delle persone
migranti e a intensificare il ricatto del permesso di soggiorno e di un
lavoro sfruttato, sempre più povero e senza tutele.
Lo vediamo nelle linee guida di Valditara sull’educazione, che riproducono un sapere patriarcale e coloniale, e nella scuola del merito
che trasforma il diritto allo studio per tuttə in un privilegio per
pochə mentre vengono precarizzatə sempre più le condizioni lavorative di
maestrə, insegnanti, ricercatorə e docenti.
Se questo scenario punta a dividerci, a differenziare tra Nord e Sud
con il progetto di autonomia differenziata, ad approfondire le
disuguaglianze, isolare le nostre istanze, per noi scioperare contro il patriarcato significa invece intrecciare le lotte per una trasformazione radicale della società.
Scioperare contro il patriarcato significa scioperare contro la guerra come espressione massima della violenza patriarcale, e rifiutare le politiche di guerra che si fanno sempre più pervasive nelle nostre società.
Lo abbiamo visto con lo scoppio della guerra in Ucraina, che ha
intensificato un’ideologia nazionalista e militarista dell’ordine e
della disciplina che rafforza le gerarchie di genere, e che reprime e
mette a tacere le nostre lotte.
Scioperare contro il patriarcato significa reclamare
l’immediato cessate il fuoco su Gaza per fermare il genocidio, la fine
dell’apartheid e dell’occupazione coloniale in Palestina.
Rifiutiamo il pinkwashing sostenuto da Israele, che
promuove la partecipazione di donne e persone queer all’esercito come
orizzonte ultimo dell’emancipazione, perché sappiamo che l’unico modo
per promuovere una lotta transfemminista di liberazione collettiva è
opporsi al progetto coloniale e genocida dell’oppressore sionista.
La nostra solidarietà si rafforza attraverso i legami transnazionali che ci permettono di creare un fronte che travalica i confini:
ci schieriamo al fianco dell3 palestinesi che resistono e lottano per
la propria esistenza e per la propria autodeterminazione, con chi
diserta lo stato di Israele, con chi in tutto il mondo, dall’Africa,
all’Occidente, al Medio Oriente all’America Latina, fa della liberazione
della Palestina la propria lotta.
Insieme siamo più forti, non è solo uno slogan. Vogliamo interrompere il lavoro
nelle nostre case, nelle fabbriche, negli ospedali, nei magazzini,
nell’università e nelle scuole, negli uffici e nelle mense, senza
distinzioni di categoria. Vogliamo estendere lo sciopero oltre i confini del lavoro salariato,
costruendo pratiche collettive di astensione dal lavoro per le tante
forme di lavoro precario, autonomo, nero, informale, non riconosciuto. Vogliamo boicottare le infrastrutture civili che promuovono il genocidio in Palestina e l’invio di armi.
Quanto valgono le nostre vite? Quanto valgono le
vite di tutte quelle soggettività che non rientrano nel progetto “Dio,
Patria e Famiglia” di questo Governo? Quanto vale il nostro tempo e il
lavoro che in quel tempo siamo in grado di svolgere? Poco. Quasi niente
per coloro che ci sfruttano e ci opprimono. Tantissimo per noi che
vogliamo tornare a urlare: se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo!
Scioperiamo dalla produzione e dalla riproduzione di questo sistema, scioperiamo dai consumi e dai generi!
Cortei, sit-in, azioni, flashmob diffusi in tutte le città d’Italia: l’8 Marzo scioperiamo contro la violenza patriarcale!
Non Una Di Meno