lunedì 19 febbraio 2024

Crimini fascisti: la strage di Addis Abeba



Articolo da Pressenza

In Italia non esiste un “Giorno della memoria” dedicato al ricordo delle vittime africane provocate dal colonialismo fascista. Una storia criminale rimossa e nascosta sotto il falso mito degli “italiani brava gente”. La Repubblica democratica e antifascista nata dall’abbattimento del regime mussoliniano non si è mai posto il problema. A dire il vero una proposta venne presentata nel 2006 ma poi se ne persero le tracce nei meandri del Parlamento. Quella proposta indicava anche una data, il 19 febbraio, perché in quel giorno e mese del 1937 gli italiani si macchiarono di uno dei peggiori crimini mai compiuti dai bianchi nei confronti degli africani.

L’antefatto che scatenò quella che sarà ricordata come “la strage di Addis Abeba” avvenne nella tarda mattinata, nel corso di una cerimonia ufficiale indetta dal vicerè d’Etiopia Rodolfo Graziani per festeggiare la nascita del primogenito del principe Umberto di Savoia, Vittorio Emanuele, morto proprio all’inizio di questo mese. La piazza era gremita da circa 3000 etiopi, in gran parte donne, vecchi e bambini, perchè nell’occasione Graziani aveva promesso l’elargizione di un’elemosina. Due giovani eritrei appartenenti alla resistenza etiope, Abraham Deboch e Mogus Asghedom, lanciarono otto  bombe a mano contro le autorità italiane. L’attentato provocò sette morti e una cinquantina di feriti, tra cui lo stesso Graziani.

La rappresaglia italiana fu spietata. I militari spararono indiscriminatamente sulla folla inerme, uccidendo gran parte dei presenti. Il segretario federale del partito fascista Guido Cortese, che sostituì Graziani perchè in ospedale, fece distribuire armi a tutti gli italiani invitandoli a partecipare alla mattanza degli etiopi. Dal 19 al 21 febbraio si svolse quella che lo storico Angelo Del Boca definì “la più furiosa caccia al nero che il continente africano avesse mai visto”. All’eccidio presero parte non soltanto i militari e le squadre fasciste ma anche molti civili. Gli etiopi furono trucidati con tutti i mezzi: a fucilate, a colpi di bastone, attaccati ai camion e trascinati lungo le strade, bruciati vivi nelle loro capanne date a fuoco. Non esiste un calcolo preciso degli etiopi assassinati. Per le autorità italiane il numero degli uccisi sarebbe stato di appena 300. Lo storico inglese Ian Campbell, (autore del libro Il massacro di Addis Abeba, una vergogna italiana, Rizzoli editore) ha stimato che le vittime furono intorno alle 20 mila, mentre secondo le fonti etiopi esse furono almeno 30 mila,

Quella che venne considerata un’azione di “grande pulizia coloniale” non si fermò a quel tragico febbraio. Essa ebbe un seguito con la strage compiuta nella città santa di Debrà Libanòs, posta a 150 chilometri da Addis Abeba, dove l’esercito regio, su ordine di Graziani, massacrò i monaci cristiani di osservanza copta perché sospettati di aver protetto gli attentatori del 19 febbraio. Le esecuzioni sommarie vennero attuate dal generale Pietro Maletti il quale, in un rapporto del 21 maggio, scrisse che erano stati uccisi 297 monaci e 23 laici. Il 26 maggio Graziani, non soddisfatto del risultato, ordinò l’uccisione di 129 diaconi e di altre 276 persone comprendenti insegnanti e studenti di teologia. Secondo alcuni storici, però, la rappresaglia di Debrà Libanòs, il maggior eccidio di religiosi cristiani in Africa, provocò tra i 1400 e i 2000 morti.

I massacri ebbero la piena approvazione di Mussolini che considerava i capi e i componenti della resistenza etiope non dei combattenti ma solo dei ribelli da annientare con qualsiasi mezzo: impiccagioni, fucilazioni e utilizzo dei gas, in violazione di ogni regola di guerra. In un telegramma del 21 febbraio Mussolini ordinò: “Tutti i civili e i religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi senza indugi”. La ferocia dei colonialisti italiani ebbe l’effetto di far crescere il movimento patriottico e di liberazione etiope, fino al crollo definitivo dell’impero italiano d’Etiopia, in seguito all’azione concomitante della guerriglia interna e dell’intervento delle  armate britanniche.   Il 19 febbraio è un giorno di lutto in Etiopia e viene celebrato nella capitale Addis Abeba dove è stato eretto un grande obelisco a ricordo delle vittime dell’eccidio, mentre nessun monumento nel nostro Paese ricorda le responsabilità degli italiani.

In Italia, nel dopoguerra, non è stato celebrato alcun processo contro gli autori di questi crimini. Il generale Pietro Maletti, promosso generale di divisione “per meriti eccezionali”, morì nel 1940 in un’azione nel villaggio egiziano di Sidi Barrani. Venne decorato con medaglia d’oro al valor militare per “la sua nobile esistenza, tutta dedita alla sua missione di soldato, aperta alla voce del dovere e del sacrificio, dedicata al culto della Patria”. Al generale Maletti vennero anche intitolate delle vie nei Comuni di Mantova, Cocquio Trevisago e Castiglione delle Stiviere, dediche tolte solo in anni recenti in quanto “inopportune”. In molti Comuni italiani, però, permangono toponimi che indicano luoghi, (come Tripoli, Bengasi e Massaua) o battaglie (come Amba Aradam, Adua e Dogali) che ricordano le “imprese” coloniali fasciste.

Per la cronaca, figlio del generale Maletti è stato il colonnello Gianadelio Maletti, che nel 1971 venne nominato a capo del reparto D del SID, il servizio segreto italiano. Il colonnello Maletti nel 1979 è stato condannato a quattro anni di reclusione (ridotti a due in appello) per favoreggiamento in relazione alla strage di piazza Fontana del 1969. In una intervista rilasciata a Repubblica nel 2000 rivelò che la CIA, tramite infiltrati e collaboratori, fungeva da “collegamento tra diversi gruppi di estrema destra italiani e tedeschi”. Il suo nome venne trovato nella lista degli affiliati alla Loggia P2 di Licio Gelli.

Quanto al generale Rodolfo Graziani egli continuò la sua carriera militare e, nel corso della seconda guerra mondiale venne nominato governatore della Libia. Durante la campagna del nord Africa l’esercito italiano, guidato da Graziani, subì una dura sconfitta nonostante fosse numericamente superiore di quattro volte rispetto alle forze armate britanniche. Quando Mussolini costituì la Repubblica Sociale Italiana Graziani assunse la carica di ministro delle Forze Armate e si distinse per la repressione contro i partigiani. Il 18 febbraio del 1944 emanò un bando in cui era scritto che chiunque non si fosse presentato alla chiamata alle armi sarebbe stato punito con la pena di morte “mediante fucilazione al petto”.  Nell’Italia repubblicana Graziani aderì al Movimento Sociale Italiano del quale fu nominato presidente onorario.

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Fonte: Pressenza


Autore: Mario Pizzola

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Articolo tratto interamente da Pressenza 


2 commenti:

  1. "Italiani brava gente" è anche uno stupendo libro di Angelo DelBoca dove si raccontano i crimini italiani in Etiopia, Libia e Jugoslavia

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