mercoledì 28 febbraio 2024

La repressione della solidarietà pro-Palestina in Germania



Articolo da Global Voices

A Berlino, i cittadini di origine araba si tendono la mano l'un l'altro, allestendo santuari privati per elaborare il lutto per Gaza. Sebbene il soffocamento [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] dei sentimenti pro-palestinesi non sia una novità, le recenti repressioni in Germania hanno toccato una tasto più dolente. L'ultima guerra di Israele contro Gaza ha ucciso almeno 28.663 palestinesi e ne ha feriti altri 67.984 finora.

Dal 7 ottobre, la Germania ha intensificato la repressione dell'identità e della solidarietà palestinese, soffocandone l'espressione pacifica. Le proteste sono state vietate o cancellate e le autorità hanno preso di mira chiunque esponga simboli palestinesi, come la bandiera e la kefiah. Inoltre, frasi di resistenza legittime come “Free Palestine” e “From the River to the Sea” sono state criminalizzate.

Global Voices ha intervistato sei arabi a Berlino che hanno espresso preoccupazione per la repressione del dissenso e la cancellazione dell'identità palestinese in Germania. Per motivi di sicurezza, le loro identità non verranno rivelate ma si utilizzeranno degli pseudonimi.

Una sensazione opprimente di fragilità

Fouad, un graphic designer di 30 anni e rifugiato politico iracheno in Germania da un decennio, ha espresso la sua delusione per la mancanza di impegno della città di Berlino per la pace e la libertà:

“Anche se la repressione non è una novità, questa è la prima volta che mi sento veramente un rifugiato a Berlino, che vedevo come un riparo. Ancora una volta la Germania non riesce a stare dalla parte di chi chiede pace e libertà. Mi addolora che i soldi delle mie tasse finanzino l'oppressione. C'è dell'energia negativa ovunque. Mi sento osservato e sono in stato di allerta — non mi sento al sicuro”.

Fouad non è solo. Hanan, un'egiziana di 25 anni che si è trasferita in Germania durante l'adolescenza, è costernata dal fatto che i suoi otto anni nel Paese siano stati macchiati dall'insincerità: “Prima mi sentivo più sicura. Non ho paura di affrontare commenti o sguardi razzisti. È solo che prima mi sentivo più sicura in compagnia di persone genuine che condividevano gli stessi valori e principi di vita. Ora, tutto sembra falso”.

Omniya, una donna polacco-egiziana di 39 anni nata e cresciuta in Germania, fa eco ai loro sentimenti, sentendo un rischio onnipresente di venir cacciati. Anche lei esprime un analogo desiderio di sicurezza: “Quando ero bambina, uno dei miei genitori è stato deportato. Ora i politici discutono di deportazioni di massa. Il partito di destra AfD sta ottenendo potere in parlamento e raccoglie consensi, con l'obiettivo di trasformare la Germania in un etno-stato.

Se l'AfD riuscirà a mettere in atto il suo programma – insieme ad altri partiti che si orientano in quella direzione – potrebbero esserci gravi conseguenze. Non direi che prima mi sentissi ‘al sicuro’, ma almeno ‘più’ di adesso. Ora mi sento molto in pericolo”.

Souad, un'educatrice palestinese di 36 anni, nata negli Stati Uniti ma che vive in Germania da oltre 10 anni, condivide il senso di confusione che si prova di fronte alle imprevedibili normative del Paese. Ha sottolineato che:

“La Germania cambia le regole di giorno in giorno, ma non vengono documentate ufficialmente da nessuna parte. Crea una confusione incredibile. Un giorno, dire “Palestina libera” è accettabile; il giorno dopo, è “verboten” (vietato). Un altro giorno, discutere di “genocidio” va bene; poi, improvvisamente, è verboten. Troveremo il modo di esprimerci, ma abbiamo bisogno di chiarezza su ciò che è nella loro agenda. Perché fare giochetti mentali con noi quando il nostro popolo viene massacrato?”.

Rania, un'umanitaria tedesco-palestinese di 40 anni nata e cresciuta in Germania, si interroga sullo stato del panorama politico del Paese:

“Non è la paura a sopraffarmi quando leggo i titoli assurdi (che ci etichettano come i nuovi islamisti e invocano la nostra deportazione), ma la pura e semplice rabbia. La stessa rabbia che provo quando il governo per cui ho votato si astiene dal referendum sul cessate il fuoco delle Nazioni Unite.

La mia vera preoccupazione è questa: esiste ancora un partito politico di cui gli individui che si identificano come Neri, Indigeni e Persone di Colore (BIPOC) possano fidarsi?”.

Marwa, un'ingegnera giordana di 35 anni che si è recata a Berlino per una borsa di studio di tre mesi, si è sentita a disagio per tutta la durata del suo soggiorno.

“Mi sono sentita in pericolo a Berlino fin dal mio arrivo in aeroporto. Sono stata l'unica passeggera a essere fermata dalla polizia per un'ispezione a causa del mio hijab e del mio aspetto arabo-musulmano.

La mia insicurezza è aumentata dopo il 7 ottobre, in concomitanza con l'aumento dei discorsi di odio contro arabi e musulmani. Ora mi sento costretta a giustificare perché sono musulmana, perché sono araba, perché sostengo la Palestina”.


Echi dell'islamofobia post 11 settembre e del razzismo anti arabo in Germania

In seguito alla risposta tedesca al 7 ottobre, gli intervistati hanno fatto un parallelo con le loro passate esperienze negative dopo l'11 settembre. Le loro riflessioni sottolineano gli effetti duraturi della discriminazione, che si estendono a Paesi e contesti diversi. Hanno notato il riemergere del senso di paura, dolore e dell'islamofobia nelle loro vite. Souad ha sottolineato che:

“A 13 anni abitavo negli Stati Uniti durante l'11 settembre, e ho vissuto uno dei periodi più duri, poiché arabi e musulmani venivano disumanizzati. Sentire i bianchi celebrare la morte di civili arabi e musulmani ha lasciato delle cicatrici durature. Ci sono voluti anni per superare il dolore, ma questi ultimi mesi in Germania hanno riaperto la ferita.”

Omniya ha manifestato simile incredulità e angoscia, affermando:

“La mia attuale esperienza con la repressione mi ha ritraumatizzata, dato che stavo diventando maggiorenne durante l'11 settembre. Allora non potevo credere a come George Bush parlasse di arabi e musulmani e a come tutto ciò avesse portato all'attacco all'Iraq. Ora, assistendo al genocidio a Gaza, riconosco i paralleli con il clima post-11 settembre, che evoca gli stessi sentimenti”.

Invece, Fouad ha condiviso i suoi timori per il futuro, spiegando:

“Nel momento in cui ho letto la notizia [del 7 ottobre], ho subito pensato alle conseguenze e ho provato dolore per quello che sarebbe successo. Ho pensato a come l'Occidente l'avrebbe interpretata. Mi ha riportato alla memoria l'11 settembre e l'ondata di islamofobia che ne è seguita”.

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Fonte: Global Voices


Autore: scritto da Safa
 tradotto da Federica Giampaolo

Licenza: Creative Commons License
This work is licensed under a Creative Commons Attribution 3.0 Unported License.


Articolo tratto interamente da 
Global Voices 


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