lunedì 26 febbraio 2024

A un anno dal naufragio di Cutro



Articolo da Open Migration

A raccontare il perché del viaggio, le speranze, il naufragio e le promesse mancate del governo italiano sono un sopravvissuto e tre parenti di chi, invece, un anno fa a Cutro perse la vita. A 365 giorni di distanza ancora non sono state riconosciute le responsabilità per quanto accaduto, né sono stati garantiti i ricongiungimenti familiari rapidi che la stessa Presidente del Consiglio Giorgia Meloni promise, ricevendo a Palazzo Chigi i parenti delle vittime.

“Sono Mojtaba Rezapour Moghaddam e sono nato il 26 febbraio 2023 a Crotone”.

Mojtaba cammina lungo il pontile nel lungomare di Crotone, oggi come un anno fa il mare è molto mosso, il vento soffia forte e i granelli di sabbia sono lame sulla pelle. “Di quella notte ricordo bambini, solo tantissimi bambini. Il 21 febbraio siamo partiti da Izmir, siamo stati 5 giorni in mare, ricordo di aver passato quei giorni a giocare con i figli degli altri. In Iran avevo lasciato i miei, in ogni bambino che stava su quella barca vedevo i miei figli. Durante il viaggio erano tutti felici di arrivare in Italia. Ora quelle persone non ci sono più e dopo un anno le sogno ancora ogni notte”, racconta Mojtaba. Iraniano di 47 anni, è uno degli 81 superstiti al naufragio del caicco Summer Love che nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 si è arenato in una secca a poche decine di metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro. “Quella notte non so come mi sono salvato, ricordo solo acqua, sale e benzina insieme come colla che ti soffoca. Ricordo che in cinque secondi avevo già l’acqua al collo. Non capivamo dove eravamo, vedevamo solo mare, buio e mare. Allora ho preso un legno, sono andato sott’acqua due o tre volte, pensavo di essere morto. Quando sono arrivato sulla spiaggia ne ero sicuro, ho capito che ero vivo solo quando mi sono reso conto che i corpi accanto a me non parlavano e avevano gli occhi sbarrati”.

Mojtaba è stato costretto a scappare dall’Iran per aver partecipato alle manifestazioni in seguito all’uccisione di Masha Amini nel settembre 2022. Un giorno a lavoro gli dicono che la polizia lo stava cercando per arrestarlo. Essere arrestati in Iran per aver partecipato al movimento delle donne vuol dire rischiare l’esecuzione. Mojtaba scappa in Turchia lasciando a casa la moglie e i suoi due figli, di 9 e 18 anni. “Speravo che sarei tornato presto in Iran, ma quando la polizia iraniana ha cominciato a cercarmi anche in Turchia ho capito che se volevo sopravvivere dovevo fuggire più lontano, in Europa. Non ero felice di questa scelta, sarei voluto tornare dalla mia famiglia, ma non potevo fare altrimenti”. Mojtaba adesso vive a Crotone da un anno, lavora in una gelateria e vive in una casa fornita dal progetto Baobab. “Crotone è la mia citta, il mio paese, è mio padre, è mia madre, è i miei fratelli, le mie sorelle, Crotone per me è Dio”, afferma con voce ferma e sicura. Insieme a lui solo altri nove sopravvissuti al naufragio sono rimasti a Crotone o nelle città vicine, tra loro Mojtaba è l’unico ad aver ottenuto la protezione internazionale. Tutti gli altri, infatti, hanno la protezione speciale che dura solo un anno. “Ho chiesto di far venire qui mia moglie e i miei due figli, come promesso da Giorgia Meloni – continua – il mio unico desiderio è rivederli”.

Era il 16 marzo 2023 quando la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni invitò a Palazzo Chigi i superstiti e i familiari delle vittime del naufragio di Cutro, tra le promesse fatte anche quella di ricongiungimenti familiari immediati (tramite corridoi umanitari) con i parenti delle vittime che stanno nel paese di provenienza.

Zahra Barati, rifugiata afgana, quel giorno era lì. “Un anno fa siamo stati invitati come familiari delle vittime del naufragio di Cutro a Palazzo Chigi per incontrare Giorgia Meloni. In quell’occasione avevamo fatto delle richieste al governo italiano che ci aveva promesso avrebbe mantenuto. Tra queste c’era il ricongiungimento familiare con i nostri parenti. Ci hanno chiesto di fare una lista con i nomi di chi volevamo far arrivare in Europa. Io scrissi quelli di mamma, papà e delle mie due sorelle. E’ passato un anno, ma loro non sono mai arrivati e nessuno ci ha fatto sapere nulla” racconta sotto il tendone del palazzetto dello sport di Crotone. Lo spazio vuoto del PalaMilone fa eco alla sua voce, lo stesso spazio che un anno fa ospitava 68 dei 94 corpi senza vita restituiti dal mare sulla spiaggia di Cutro. Tra quei corpi c’era anche quello di Sajad Barati, 23 anni, avvolto in un sacco di plastica e poi depositato in una delle bare allineate in attesa di essere riconosciute. Era stata Zahra, giunta a Crotone per riconoscerlo e identificarlo a dare un nome a quel corpo, si trattava di suo fratello Sajad.

“Quando è arrivato in Turchia Sajad ci ha fatto sapere il giorno e l’ora in cui sarebbe partito da Izmir. Il 25 febbraio la persona che faceva da intermediario tra le famiglie e chi conduceva la barca, ci aveva avvisati che in poche ore sarebbero arrivati in Italia. Il giorno dopo, però, mio cognato ha saputo di un caicco carico di migranti partito da Izmir che era naufragato vicino alle coste italiane. Così ha avvisato mio marito e lui dopo due giorni di ricerche mi ha detto che anche mio fratello si trovava su quell’imbarcazione. Sono andata subito a Crotone per cercarlo, ma ho potuto solo riconoscerne la salma”.

Zahra oggi vive in Finlandia, dove ha raggiunto il marito due anni fa. E’ qui che è stato seppellito il fratello insieme al sogno di un futuro europeo. “Venti anni fa sono fuggita dall’Afghanistan e sono andata a vivere in Iran con tutta la mia famiglia – continua Zahra – “per noi profughi afgani la vita non è semplice in Iran, non abbiamo nessun diritto. Per questo motivo ho deciso di fuggire, lo stesso motivo che ha spinto mio fratello ad andare in Turchia e imbarcarsi sul Summer Love. Sajad non poteva studiare né lavorare in Iran, sognava di venire in Europa per frequentare la scuola, costruirsi un futuro e aiutare mamma, papà e le mie due sorelle a raggiungerlo qui”. Adesso è di Zahra il compito di far arrivare in Europa la famiglia, per questo, a distanza di un anno dalla morte del fratello la rabbia, in lei, sembra più forte del dolore. “Le mie due sorelle minori, due gemelle di dieci anni, sono ancora in Iran, la loro condizione psicologica è molto grave. Dopo la morte di nostro fratello non si sono più riprese, hanno bisogno di venire a trovarlo, hanno bisogno di pregare sulla sua tomba. La sua bara non è mai stata rimpatriata. Sajad è seppellito in Finlandia, i miei genitori non l’hanno neanche potuto salutare per l’ultima volta” dice indicando il punto in cui si trovava la bara del fratello l’anno scorso. “Le vittime non sono soltanto le persone che hanno perso la vita, ma anche noi che siamo ancora vivi, – continua – le nostre vite sono cambiate moltissimo dopo quella tragedia e vogliamo delle spiegazioni. Perché, nonostante sia passato un anno, ancora non conosciamo la verità? Perché i nostri parenti non sono stati soccorsi? Perché non sono intervenute subito le autorità italiane? Perché le promesse fatte dal governo italiano non sono ancora state mantenute?”

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Fonte: Open Migration


Autore: 
Lidia Ginestra Giuffrida

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Articolo tratto interamente da 
Open Migration


2 commenti:

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