Oggi pubblico una lettera trovata in vari blog e profili
scritta da Manuela Cibellis, figlia di un operaio. Le sue parole sono molto
significative e anch'io sono parte in causa; essendo un operaio turnista in un ciclo
continuo. La mia solidarietà va a tutti i lavoratori Fiat di Termini Imerese che hanno perso il lavoro ieri. Purtroppo un manager che intasca milioni di euro
giocando sulla pelle di molte famiglie, non potrà mai capire cosa significa
perdere il lavoro. Come al solito, la crisi è pagata dai meno colpevoli e i
veri autori sono sempre ai loro posti; vergognatevi!
Lettera:
"Per anni ho visto mio papà soltanto nei fine settimana. Per anni, la
domenica pomeriggio ho visto mia mamma preparargli con cura e amore la
valigia per una settimana. Per anni, la domenica sera si accompagnava il
papà a prendere l’autobus. E lo si vedeva rientrare il venerdì sera.
Distrutto da ore di lavoro e alienato dal lavoro sempre uguale.
Per
anni non ho capito perché il mio papà era costretto a partire tutte le
domeniche per poter lavorare. E farsi centinaia di chilometri ogni
domenica ed ogni venerdì.
“Qui non c’è lavoro” – mi spiegava mia
mamma quando mi vedeva appiccicata al finestrino della macchina mentre
guardavo l’autobus che portava via mio papà insieme ad altri tanti
operai - “Il papà deve andar via per forza, lavorare è importante per
mangiare, vestirsi, andare a scuola” – spiegava mia mamma a me e al mio
piccolo fratellino.
Ma il venerdì, a casa mia era una festa, e
quando il papà rientrava la mamma preparava sempre delle cene buonissime
e si passava la serata davanti al camino, tutti insieme.
Per
anni, mio papà, dedito al lavoro ha sacrificato la possibilità di stare
tutte le sere con noi, a casa. E l’ha fatto – mi ha spiegato più tardi –
perché ha sempre creduto nel valore del lavoro. Valore così poco
rispettato in Meridione. E non è mai voluto scendere a compromessi. Per
questo motivo piuttosto che accettare condizioni di lavoro pessime e
piuttosto che vedere i propri diritti calpestati, ha sempre rinunciato
al tempo da condividere con noi. Per anni. Per 25 anni. Per un salario
minimo, ma garantito. Quando la crisi lavorativa riguardava più il Sud
che il Nord dell’Italia.
L’ho visto soffrire, quando si è trovato
nelle condizioni di dirmi che il suo stipendio non gli permetteva di
concedermi le vacanze, d’estate.
L’ho visto soffrire quando ci
doveva spiegare che il suo stipendio non ci permetteva di andare a
mangiare fuori il sabato sera ma che forse la pizza era meglio prenderla
e mangiarla a casa.
L’ho visto soffrire quando ha dovuto dirmi
qualche anno fa: “La laurea specialistica magari si può rimandare di
qualche anno, eh? Tuo fratello è ancora al liceo e il mio stipendio non
basta per tutto”.
L’ho visto soffrire quando ho comprato la macchina
e ho dovuto fare un finanziamento con la mia prima busta paga perché i
risparmi dei miei genitori erano stati utilizzati per i miei tre anni di
università.
L’ho visto preoccupato quando la crisi stava
diffondendosi anche al Nord. E i primi a pagarne le spese erano gli
operai, tra cui lui. Mio padre.
L’ho visto amareggiato, quando è
arrivata la cassa integrazione. E l’ho visto ancora più afflitto quando è
arrivata la mobilità perché a differenza della cassa integrazione che
illude gli operai del fatto che potrebbero essere re-integrati a lavoro,
la mobilità non è alternativa al licenziamento, lo presuppone.
L’ho
visto sentirsi sconfitto quando un giorno mi ha detto: “Nemmeno il
sindacato in cantiere ci difende, è d’accordo con i padroni”.
L’ho
visto distrutto, quando a 53 anni è rimasto senza lavoro. L’ho visto
sentirsi umiliato quando, cercando lavoro, imprenditori e padroni gli
hanno detto che era troppo vecchio per le loro esigenze.
E mi
sento male tutte le volte che sento politici e industriali chiedere di
alzare sempre più l’età lavorativa, tutte le volte che sento politici
chiedere agli operai di fare sacrifici, per il bene del paese, tutte le
volte che vedo sindacati firmare accordi a scapito degli operai. Mi
sento male tutte le volte che sento dire che la soluzione alla crisi è
la flessibilità lavorativa.
Il mio sangue ribolle nelle vene quando
leggo editoriali di noti economisti “esperti” risolutori di questa crisi
che dicono che la “difesa del posto di lavoro” deve essere sostituita
da una volatile “garanzia della continuità delle occasioni da lavoro”, e
i “diritti dei lavoratori” diventano “componenti non monetarie della
retribuzione”. E ancora: il lavoratore, i cui salari sono ormai ridotti
al minimo, non necessita più del “tempo libero in cui spendere quei
salari”, ma deve solo pensare a soddisfare le maggiori richieste della
controparte. Traduzione: il tempo libero di un operaio non ha alcun
valore, perché non è correlato al denaro.
Provo vergogna per alcuni
sindacati, per alcuni partiti di sinistra, per gente che non comprende
il reale significato di questa crisi che si protrae da 20 anni.
Io
oggi ho quasi 30 anni e provo imbarazzo nei confronti di mio padre che
ha sempre riposto fiducia nelle possibilità reali di cambiamento, che mi
ha trasmesso il valore reale delle lotte per i diritti, che mi ha
insegnato a non abbassare la testa, che mi ha educata secondo una logica
NON borghese, che mi ha insegnato che cosa è la dignità.
Provo
imbarazzo quando partiti cosiddetti di *sinistra* appoggiano proposte
come il libero licenziamento e quindi l’abolizione dell’art. 18.
Provo rabbia di fronte ad un governo terrorista: un governo tecnico, un
governo unico delle banche. Un governo nelle mani di uno che ha
contribuito alla crisi dell’Italia. Provo rabbia di fronte a quelle
complici opposizioni che danno a banchieri e padroni gli strumenti per
licenziare, derubare e affamare la povera gente.
Provo rabbia e tristezza nello stesso tempo. Ed è per questo che ora più che mai mi tornano in mente le parole di Marx:
“Eppure, tutta la storia dell’industria moderna mostra che il capitale,
se non gli vengono posti dei freni, lavora senza scrupoli e senza
misericordia per precipitare tutta la classe operaia a questo livello
della più profonda degradazione”
Ieri sera mio padre al telefono mi ha detto: “Ed ora cosa cambierà dopo il capolinea di Berlusconi?”
Io un po’ imbarazzata gli ho detto: “Beh, bisogna che ci mobilitiamo
tutti. C’è da ribellarsi di fronte a qualsiasi forma di governo che
procede sulla stessa linea del precedente!”
“Hai ragione” – mi ha risposto – “ne va della nostra dignità!”
Eh già. La dignità. Non ci avevo pensato. Mio padre lo sa bene che cosa è la dignità. E’ un operaio."
di Manuela Cibellis
figlia di un operaio
Tratto da Informare ControInformando News