mercoledì 14 novembre 2018
Cartolina da Taranto
Articolo da Effimera
Ho passato circa una settimana, che è il minimo per festeggiare un vero Halloween, vestita da sposa cadavere (il personaggio di Tim Burton). E a un certo punto ho cominciato a chiedermi davvero di che cosa fossi morta. E la risposta è di clima, anzi di cloro.
L’accordo di Parigi era stato troppo ottimista: secondo i dati IPCC, in realtà, moriremo prima.[1] E anche questa volta ho subito pensato a Taranto. Ma non l’ho capito subito. Prima ho fatto sogni terribili, poi, anche se la letteratura se ne occupa da decenni (vd. qui), ho deciso di trovare una personale connessione tra il fatto planetario e la storia individuale.
Alla domanda seria che tutti si rivolgono alle feste di Halloween, di che cosa sei morto? rispondevo con una bugia sull’abuso di Ambien e pinot noir, ma avevo in testa un’altra fine: immagini da Armageddon in una cappella Sistina dipinta da sconcertanti pittori lombardi, come Gaudenzio Ferrari (andate alla pinacoteca di Brera e capirete). Santi Cristi e Madonne, una ressa di teste tagliate e seni turgidi durante il supplizio, ragazzi trafitti o già cadaveri con un parterre di popolino a guardare. I ricchi arcigni, invece, ritratti composti dai volti bianchissimi in cima a strati di mussola nera. Nelle flagellazioni di Simone Peterzano c’è una suprema gioia di punire che quasi si avvicina al tema profano di Gaudenzio Ferrari, dove un orrendo satiro sfila un panneggio di seta blu dalle cosce di un’ingenua ninfa botticelliana. L’unico tema veramente profano resta forse la sua natività di Maria. Maria viene partorita da Sant’Anna in un cerchio di femmine accorse all’evento, dove non resta più neanche un angioletto bambino.
Il clima sembra una cosa difficile ma può diventare un fatto sublime. Ha una misura negativa, cioè numerica, che infrange il nostro linguaggio percettivo, ma è pure una dismisura di relazioni politiche rimesse a una scala planetaria. Sul piano politico è solo distopia. Sul piano del mondo conosciuto, però, il cambiamento climatico, questa morte lenta a cui la specie umana sembra andare incontro come nella leggenda sulla naturale tendenza dei lemming al suicidio, non è per niente una notizia bizzarra.
Per esempio, quando si passa dall’Adriatico allo Jonio si attraversa quel pezzetto di Puglia tra Lecce e Taranto che significa attraversare il pianeta Marte. Alberi, caseggiati, erbaccia, silos, ponti, asfalto, la rete di strade e d’impianti, tutto il visibile è ricoperto e probabilmente costituito al suo interno di una polvere rossa e rugginosa. E Marte è un paesaggio sublime.
Le fiamme in cima alle torri sono sempre accese. L’Ilva non dorme mai. Quasi mai. Perché nell’ultimo decennio, qualche volta, è stata costretta a rallentare. Nel quartiere Tamburi, com’è noto, ci sono i tassi di mortalità per tumore più alti in Europa. Il cambiamento climatico è il sintomo di questo modello marziano. E il modello marziano prima di essere ambientale è politico. Un modello ripetuto centinaia di volte, in centinaia di luoghi.
Il modo migliore per capire il meccanismo sociale e politico che produce Marte è un libro indimenticabile: Dalle macerie. Cronache sul fronte meridionale (2018) di Alessandro Leogrande, che raccoglie i suoi scritti prima di morire. E morire giovane.
Scritto da uno di quegli intellettuali che se ne vanno via troppo presto, prima di fare scuola, Dalle macerie è incentrato su una domanda semplice: perché le crisi al Sud, o meglio, in alcune città del Sud, invece che riorganizzare la società in senso progressista, diventano l’occasione per rafforzare e consolidare la Reazione?
La Reazione è quel miscuglio di ultradestra, sanfedismo, eterie e logiche carcerarie, rassegnazione, legame tra malavita e industria, scempio urbanistico e segregazione della povertà. Il disastro ambientale, questo c’insegna Leogrande, prima di essere ambientale è umano e politico. Così l’ultradestra di Cito sembra il laboratorio politico di Trump e l’atteggiamento di rimozione e fiducia nel “bene” che spesso hanno i ceti più progressisti non fa che consolidarla. Anche riguardo al clima, l’unico modo possibile è partire da sé. Fare etnografia, con pazienza e costanza, come Leogrande.
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Fonte: Effimera
Autore: Mariaenrica Giannuzzi
Licenza: Copyleft
Articolo tratto interamente da Effimera
Photo credit mafe de baggis from Milano, Italy [CC BY-SA 2.0], attraverso Wikimedia Commons
4 commenti:
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non mi ero mai soffermato in questo zona, grazie della riflessione che il post mi ha fatto nascere
RispondiEliminaLa devastazione ambientale ha rovinato tanti bei luoghi d'Italia.
EliminaIo abito a circa 50 km da qui, e devo all'ospedale di Taranto la mia rinascita, visto che fui ricoverata qui dopo l'incidente stradale che mi condusse al coma.
RispondiEliminaPerò, purtroppo, ho sempre preferito evitare la zona.
Troppo, troppo inquinata. 😢
Una zona colpita da tanti casi di tumori, per troppi anni solo parole e pochi fatti.
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