Articolo da La chiave di Sophia
«La vita fugge e non s’arresta un’ora» recita un famoso sonetto del Canzoniere del poeta Petrarca. Niente di più vero! Ogni giorno facciamo i conti con la consapevolezza che il tempo a nostra disposizione trascorre velocemente e verso l’inevitabile fine. Ciò nonostante, quante volte, non curanti, lasciamo che passi, cullati dall’illusione di poter recuperare le occasioni perdute? Così rimandiamo a un domani, vicino o lontano, quello che potremmo fare oggi, mettiamo in stand by la nostra vita, senza poi realizzare le nostre “buone” intenzioni.
Ci capita, poi, di consolidare l’abitudine a procrastinare perché tacitamente ci convinciamo che non siamo noi ad appartenere al tempo, ma che sia il tempo ad appartenerci, come se fosse una proprietà che ci è stata consegnata al momento della nascita per poterne disporre a nostro piacere.
Ecco, allora, il dilemma: siamo effettivamente noi che disponiamo del tempo o è il tempo che dispone di noi?
Certamente non abbiamo potuto decidere
quando nascere e dare inizio al nostro tempo, né tanto meno possiamo
prevedere il termine della nostra vita; tuttavia è vero che siamo noi a
disporre del tempo: ce ne serviamo per quantificare lo scorrere dei
giorni, dei mesi, delle stagioni e la quotidianità della nostra
esistenza, per soddisfare il nostro bisogno di porre ordine ai fatti che
ci vedono personalmente coinvolti o che avvengono al di fuori di noi.
È stato il filosofo Aristotele, nel libro IV della Fisica, a definire il tempo come «la misura di ciò che muta, secondo l’ordine del prima e del poi», evidenziando che il tempo ci serve per ordinare e quantificare ciò che accade. Ed è evidente che questa capacità di misurare secondo l’ordine del prima e del poi non è qualcosa che risieda nel tempo, bensì è un’attività specificatamente umana.
Il tempo non sarebbe se non ci fosse l’uomo a concepirlo. Lo aveva ben compreso Sant’Agostino che nelle Confessioni, riflettendo sul tempo passato, futuro e presente, giunge a costatarne l’inconsistenza, notando che «il primo non è più, il secondo non è ancora» e che il terzo, il presente, è un attimo che velocemente trapassa nel passato. Difatti il tempo si annullerebbe, passerebbe senza lasciare traccia se l’uomo non lo trattenesse nella sua anima e nel suo pensiero, custodendo la memoria delle azioni compiute nel passato; attendendo la concretizzazione di progetti e speranze nel futuro; prestando, infine, attenzione ai fatti che accadono hic et nunc, nel presente.
Facciamo ora un’altra riflessione. Il tempo ci consente di quantificare, secondo parametri oggettivi, la durata dell’anno solare o i cicli delle stagioni, di definire in date fisse e inequivocabili ricorrenze e festività, di scandire lo scorrere delle giornate secondo tabelle orarie che sappiamo essere valide allo stesso modo per tutti. È però innegabile che nel dato oggettivo del tempo vada contemplato sempre anche un aspetto soggettivo. Il tempo esteriore dell’orologio, pur rappresentando per tutti la medesima quantità, interiormente può essere percepito in maniera totalmente diversa da soggetto a soggetto, a seconda della situazione emotiva che si prova in quel momento: così gli stessi cinque minuti per alcuni possono essere fonte di dolore e sembrare infiniti, per altri invece possono trascorrere gioiosamente e dare l’impressione che passino in un baleno. Il tempo possiede un indiscutibile valore e significato privato e personale, che riguarda esclusivamente chi lo vive.
Continua la lettura su La chiave di Sophia
Fonte: La chiave di Sophia
Autore: Maria Buonadonna
Licenza:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.
Articolo tratto interamente da La chiave di Sophia
Il tempo vola, ecco perché bisogna vivere ogni attimo.
RispondiElimina