venerdì 19 agosto 2022

La ripresa dell’inflazione



Articolo da Sbilanciamoci.info 

Da dove viene il ritorno dell’inflazione e che politiche sono possibili? Un confronto con gli anni Ottanta, sui prezzi delle materie prime, instabilità internazionale, conflitti, ristrutturazione produttiva. E sull’antica questione del contenimento dei salari.

Da un po’ di tempo serpeggia sulla stampa quotidiana, non solo su quella economica, l’apprensione per la crescita dei prezzi, dell’inflazione. La possibilità che la pressione inflattiva possa acuirsi e, radicandosi in una spirale prezzi-salari, passare «da un regime di bassa inflazione a un regime di alta inflazione» è esplicitamente considerato nel recente Rapporto annuale della Banca dei Regolamenti internazionali (BIS, No Respite, Annual Economic Report, June 2022, https://www.bis.org/about/areport/areport2022.pdf). Sono considerazioni stimolate dallo shock subito dal prezzo del gas e da quello del grano in seguito alla guerra in Ucraina. 

La tendenza all’aumento dei prezzi delle materie prime, soprattutto di quelle legate all’energia, non sembra però dipendere da motivi contingenti; essa è latente nel sistema globale da diversi anni e, oltre a interessare le granaglie (frumento, riso, soia ecc.) come ricordano le ricorrenti crisi alimentari dei paesi più poveri, riguardano molte materie prime (oltre a quelle energetiche, il rame, litio, cobalto, nickel…) la cui domanda, crescente con la crescita della produzione mondiale (e per le necessità della transizione energetica), tende a eccedere un’offerta insufficiente per i colli di bottiglia nella catena globale dell’approvvigionamento, per le sanzioni e correlate restrizioni, per l’accumulo di scorte strategiche da parte dei paesi manifatturieri. L’impatto di un costante aumento di tali prezzi sul costo dei manufatti, assieme al perdurare di una situazione di incertezza produttiva (a causa del Covid e della guerra in Ucraina), sembra consolidare una prospettiva – come ricorda il citato Rapporto – del formarsi di una situazione in cui la stagnazione produttiva convive con un’inflazione monetaria richiama alla mente quella sperimentata a livello globale negli anni Ottanta. Senza trascurare che la soluzione adottata per superare quella crisi ha rappresentato uno spartiacque nella gestione della politica economica dei paesi occidentali, ponendo le basi per il modo di sviluppo neoliberista dei decenni successivi.

Il ritorno della stagflazione? 

L’ipotesi del radicarsi di un clima stagflazionistico merita un’adeguata attenzione. Un significativo, non-normale, aumento dei prezzi delle materie prime ha un impatto sui costi di produzione delle imprese provocando un aumento dei prezzi dei loro manufatti, ovviamente tanto maggiore quanto maggiore è il contenuto di risorse primarie. Aumento che necessariamente si diffonde e si generalizza all’intero sistema produttivo come effetto dell’interdipendenza che lega tra loro imprese e settori. All’aumento dei costi di produzione le imprese rispondono ridefinendo le tecniche produttive, i livelli di attività e soprattutto le condizioni del lavoro, salariali e normative. I consumatori adattano la loro domanda ai maggiori prezzi e, con il tempo, emerge una nuova struttura produttiva e un sistema dei prezzi relativi (inclusi i salari in termini reali) compatibile con la scarsità relativa delle risorse primarie. Nelle sue linee generali, la spiegazione è “tranquillizzante”: uno squilibrio nato “naturalmente”, “naturalmente” si conclude. Il tempo che ci mette per realizzarsi non ha rilevanza; occorre solo aver pazienza e attendere, civilmente, che tutto torni alla norma. Ma è così?

Gli anni Ottanta ci dicono che il processo ha sviluppi più complessi, e più interessanti. In quell’esperienza vi sono molti aspetti che si ritrovano nella realtà di oggi, ma vi sono anche delle specificità che fanno la differenza. Un processo che, potendo essere un discrimine strutturale, richiede un minimo di riflessione, utile per il dibattito politico-sociale nella prospettiva dell’assetto programmatico che caratterizzerà il prossimo Parlamento italiano. 

Una questione non solo teorica. 

Ho fatto riferimento più sopra alla stagflazione come spartiacque nella storia della politica economica. Non mi posso dilungare, ma una considerazione è necessaria per sottolineare come la vicenda segnali il legame tra formule teoriche e pratiche politiche. La stagflazione è una situazione della realtà che, per la teoria macroeconomica di quegli anni, è una situazione incomprensibile. La vulgata monetarista non poteva ammettere la compresenza di inflazione (spiegata come eccesso di domanda monetaria) con la deflazione (spiegata come carenza di domanda monetaria). Ciò che rende questa situazione inaccettabile per una teoria fondata sull’efficienza del mercato è il fallimento del potere regolativo che la disoccupazione dovrebbe avere sul livello dei salari. In termini analitici, nella teoria economica la Curva di Phillips descriveva la relazione negativa tra variazione dei prezzi e tasso di disoccupazione. 

La realtà è diversa. Lo “spettro” della disoccupazione ha un più ridotto impatto sulle richieste salariali e normative più favorevoli al mondo del lavoro. Il conflitto distributivo è radicato nei rapporti sociali. Il superamento teorico della stagflazione si avrà con la sostituzione nell’apparato analitico di una nuova spiegazione della regolazione del mercato del lavoro, il Nairu (il tasso di disoccupazione che non porta a incrementi dell’inflazione). Esso indica il pericolo dell’insorgere di richieste salariali eccedenti e giustifica i comportamenti che, in maniera anticipata, provocano le restrizioni della domanda (e dell’occupazione) necessarie a tenere sotto controllo il “mercato” del lavoro. Si ha così il superamento pratico della stagflazione sperimentato – storia lunga e ben nota – dalla politica economica in azione nel recente passato dell’austerity europea. Parlare di teoria significa orientare la prassi, ma allo stesso tempo le visioni politiche che impongono una prassi richiedono l’appoggio di un discorso teorico: la stagflazione, fantasma teorico negli anni Ottanta, diviene ora un attrezzo canonico della teoria macroeconomica.

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Articolo tratto interamente da Sbilanciamoci.info 

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