"Perché una parola semplice come il no entrasse a far parte del vocabolario delle donne italiane bisognò aspettare gli anni Settanta, quando le donne in piazza, gridando a gran voce lo slogan «io sono mia», affermarono come assoluta ed esclusiva la libertà di disporre di se stesse e del proprio corpo. Era e resta ancora difficile abbattere il condizionamento di decine d'anni di educazione al consenso. Mentre l'uomo per generazioni è stato incoraggiato sin da bambino a essere volitivo e perentorio – e probabilmente più manifestava la propensione al rifiuto, più di lui si diceva che avesse «carattere» – alle bambine si insegnava invece la virtù dell'obbedienza, a essere compiacenti, inculcando in loro l'idea che il no fosse scortesia e il rifiuto superbia e presunzione di sé. In questo modo le donne sono cresciute con l'idea di essere una specie consenziente, ma ha finito per radicarsi anche negli uomini l'errata convinzione che le donne quando dicono no in realtà vogliano dire forse, e quando dicono forse è perché in fondo desiderano dire sì. Su questo sfondo culturale, i rifiuti delle donne non sono quasi mai considerati una cosa seria."
Michela Murgia
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