Articolo da Il Caffè Geopolitico
In 3 sorsi – La crisi del Governo Scholz segna un punto di svolta per la Germania, che deve ridefinire il proprio spazio di influenza economica e politica in un contesto globale sempre più instabile. Il crollo di un modello basato su dipendenze critiche sfida l’intero progetto europeo.
1. LA CRISI DEL GOVERNO SCHOLZ INFRANGE UNA TRADIZIONE DI STABILITÀ
Mentre l’Europa era intenta a metabolizzare la rielezione di Trump alla Casa Bianca, in Germania si consumava un’inconsueta crisi politica.
La breve lista dei Cancellieri che hanno guidato il Paese a partire
dalla riunificazione del 1990 – Kohl, Schröder, Merkel e l’attuale
Scholz, – testimonia una stabilità politica raramente messa in dubbio da
crisi e rimpasti governativi. Ma stavolta la fragilità della coalizione “semaforo” al Governo, formata da SPD (centro-sinistra), Verdi e FDP (liberali), ha avuto la meglio. Il 12 novembre Scholz ha annunciato in diretta di aver licenziato il Ministro delle Finanze e leader dell’FDP, Christian Lindner, decretando di fatto la fine della coalizione a conferma delle indiscrezioni in circolazione.
Al centro del conflitto, il dibattito emerso nella riunione del 6 novembre sul Schuldenbremse
(freno al debito), un limite costituzionale al deficit pubblico allo
0,35% del PIL, che il Cancelliere avrebbe voluto sospendere per
affrontare la crisi economica e finanziare il bilancio 2025: idea
respinta categoricamente da Lindner.
La scelta di Scholz ha spinto i liberali fuori dalla maggioranza, lasciando SPD e Verdi con soli 324 deputati su 736, insufficienti per governare o approvare leggi, incluso il bilancio. Per evitare mesi di stallo politico, i principali partiti hanno deciso di anticipare il voto di fiducia a dicembre e portare il Paese alle urne entro il 23 febbraio 2025.
2. LE RADICI DELLA CRISI: UN SISTEMA ECONOMICO IN AFFANNO
La crisi politica riflette la crisi del modello economico tedesco, che per decenni ha rappresento la “locomotiva d’Europa”. Basato su esportazioni solide, energia a basso costo dalla Russia e una robusta industria manifatturiera, questo sistema si è sgretolato di fronte a cambiamenti strutturali: la guerra in Ucraina ha interrotto i flussi energetici dalla Russia, facendo impennare i costi dell’energia; la chiusura a seguito della pandemia,
il rallentamento economico della Cina e l’ascesa dei veicoli elettrici a
basso costo hanno colpito duramente il settore automobilistico tedesco.
Colossi come Volkswagen e BMW affrontano chiusure di impianti e cali nei profitti, mentre le minacce di dazi da parte degli Stati Uniti e le crescenti tensioni con la Cina aumentano l’incertezza per l’export tedesco.
Parallelamente, la transizione energetica, pur necessaria, è stata percepita come un costo immediato piuttosto che un’opportunità. Questo ha aggravato il malcontento interno,
contribuendo al calo di consensi dei Verdi e alle proteste di settori
tradizionalmente solidi come l’agricoltura. La Germania si trova oggi
senza una direzione chiara, costretta a ripensare il proprio modello
economico e modernizzare settori chiave come l’energia e la
digitalizzazione.
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Fonte: Il Caffè Geopolitico
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Articolo tratto interamente da Il Caffè Geopolitico
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