Tutti gli occhi sono puntati, e giustamente, su Rafah. Lì dove continua il massacro, lo sterminio della popolazione palestinese da parte dell’esercito israeliano. Un immane disastro umanitario, che ha provocato oltre 37mila vittime, di cui 36mila palestinesi. Mentre sono già 105 i giornalisti, di cui 100 palestinesi, e 224 i volontari delle Ong uccisi dall’Idf. Ma lo sterminio non è solo quello di donne, vecchi e bambini uccisi, torturati, o comunque spossessati della loro casa e delle loro comunità. Dove, se mai un giorno riusciranno a tornare, troveranno solo macerie. Il massacro è anche economico e finanziario.
Avevamo già scritto che i danni economici dell’invasione israeliana ammontavano al 97% Pil palestinese. Ma c’è un altro problema. Israele ha deciso di non trasferire più all’Autorità Palestinese i fondi fiscali – le tasse doganali e quelle pagate dai lavoratori palestinesi – che le sue banche amministrano in vece di quelle palestinesi. In questo modo non solo blocca tutto il credito bancario della Cisgiordania, impedendo a una popolazione già affamata di accedere al denaro per sopravvivere. Ma blocca anche ogni ipotesi di ricostruzione e di rinascita, se mai la Palestina ne avesse avuta ancora una.
Come Israele attraverso il sistema bancario strozza l’economia palestinese
In base ad accordi stipulati negli anni Novanta, Israele riscuote le tasse per conto dell’Autorità Palestinese. E ovviamente tali entrate costituiscono la maggior parte del bilancio palestinese, soprattutto perché negli ultimi anni gli aiuti internazionali sono diminuiti. Ogni anno il ministero delle Finanze israeliano firma una deroga che protegge le sue banche da qualsiasi esposizione legale correlata al trasferimento di fondi a gruppi terroristici, di modo che possano effettuare le transazioni verso quelle palestinesi. Già così è evidente il regime di apartheid economico e finanziario in cui versa la popolazione che abita nei territori occupati.
E visto che la situazione è peggiorata, e l’Autorità Palestinese che governa la Cisgiordania è già in una grave crisi finanziaria a causa dell’invasione israeliana, della diminuzione degli aiuti internazionali e delle restrizioni sui finanziamenti, a maggio è riuscita a pagare meno della metà degli stipendi di decine di migliaia di dipendenti pubblici. Senza contare gli oltre 100mila lavoratori palestinesi cui è stato impedito l’accesso in Israele, e quindi la possibilità di portare a casa lo stipendio. Perché è vero che tutto intorno ci sono solo macerie. Ma anche in queste situazioni la gente ha bisogno di denaro liquido per comprarsi il pane e le sigarette. E avrebbe diritto di potersi comprare anche un profumo o dei fiori. O anche solo di pensare di poterlo fare.
Il tutto per ripicca, per fare un dispetto a chi riconosce lo Stato di Palestina
Invece, dopo aver concesso una proroga della deroga di tre mesi all’inizio dell’anno, e poi una successiva a marzo, a fine aprile fa il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich ha detto che potrebbe non fare nuove proroghe. E l’ultima scade a luglio. La cosa non è ovviamente passata inosservata, e alcuni funzionari dell’Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) hanno detto a chiare lettere che separare le banche palestinesi da Israele essenzialmente lo separerebbe dal sistema bancario globale. E paralizzerebbe ancora di più l’economia palestinese.
Ma la cosa assurda è che la decisione del Ministro delle finanze Bezalel Smotrich, un leader di estrema destra che si oppone alla sovranità palestinese, è palesemente stata presa come una meschina ripicca. L’ufficio di Smotrich ha infatti spiegato che la decisione è – almeno in parte – una risposta preventiva alla volontà di Spagna, Norvegia e Irlanda di riconoscere uno Stato Palestinese. Riconoscimento che poi è divenuto ufficiale. «[Questi Paesi] adoperandosi per il riconoscimento unilaterale stanno agendo contro Israele legalmente e diplomaticamente. E quando qualcuno agisce contro lo Stato di Israele, ci deve essere una risposta», ha detto Eytan Fuld, portavoce del ministro Smotrich.
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Fonte: Valori
Autore: Luca Pisapia
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Articolo tratto interamente da Valori
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