mercoledì 10 luglio 2024

10 luglio 1976 – Un incidente nello stabilimento della ICMESA di Meda, al confine con Seveso, causa la diffusione nell'ambiente di una quantità di diossina



Articolo da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Il disastro di Seveso è il nome con cui si ricorda l'incidente, avvenuto il 10 luglio 1976 nell'azienda ICMESA di Meda, che causò la fuoriuscita e la dispersione di una nube di diossina TCDD, una sostanza artificiale fra le più tossiche. Il veleno investì una vasta area di terreni dei comuni limitrofi della bassa Brianza, particolarmente quello di Seveso.

Il disastro, che ebbe notevole risonanza pubblica e a livello europeo, portò alla creazione della direttiva 82/501/CEE, nota anche come direttiva Seveso.

Si trattò del primo evento nel quale la diossina era uscita da una fabbrica e aveva colpito la popolazione e l'ambiente circostante. Secondo una classifica del 2010 del periodico Time, l'incidente è all'ottavo posto tra i peggiori disastri ambientali della storia.[1] Il sito americano CBS ha inserito il disastro tra le 12 peggiori catastrofi umane ambientali di sempre.[2]

Presso l’ICMESA di Meda, industria chimica di proprietà della Givaudan, a sua volta controllata da La Roche, vi era una linea di produzione di 2,4,5-triclorofenolo, una sostanza impiegata nella produzione di diserbanti, fungicidi e battericidi. Per soddisfare l’elevata domanda i cicli produttivi settimanali vennero incrementati da 4 a 4,5: la produzione di triclorofenolo era attiva dal lunedì al venerdì e la lavorazione del ciclo lasciato a metà di venerdì riprendeva il lunedì seguente.[3]

Verso le 12:28 di sabato 10 luglio 1976, nello stabilimento della società ICMESA, sito nel territorio del comune di Meda sul confine con quello di Seveso (all'epoca in provincia di Milano, oggi nella provincia di Monza e della Brianza, in Lombardia) il sistema di controllo del reattore chimico A101 destinato alla produzione di triclorofenolo, un componente di diversi diserbanti, andò in avaria, consentendo alla temperatura ed alla pressione di salire oltre i limiti previsti. La causa prima fu probabilmente l'arresto volontario della lavorazione senza che fosse azionato il raffreddamento della massa, quindi l'esotermicità della reazione non fu contrastata; ciò fu aggravato dal fatto che nel processo di produzione l'acidificazione del prodotto veniva fatta dopo la distillazione, e non prima.

L'alta temperatura raggiunta causò una modifica della reazione, che comportò una massiccia formazione di 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), sostanza comunemente nota come diossina, una delle sostanze chimiche più tossiche. L’elevata pressione raggiunta nel reattore causò lo scarico del contenuto verso un sistema di sfogo, dove il disco di rottura non resse alla pressione ed esplose, causando la dispersione in atmosfera del contenuto del reattore. Un operaio di un reparto vicino, udendo un sibilo proveniente dal reparto B, dopo avere avvisato il capo della produzione, entrò nel reparto per avviare manualmente il sistema di raffreddamento del reattore, prevenendone l’esplosione.

La TCDD fuoriuscì nell'aria in quantità non definita e venne trasportata dal vento verso sud-est[4]. Si formò quindi una nube tossica, visibile ad occhio nudo, che colpì i comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno, Limbiate e Desio. Il comune maggiormente colpito fu Seveso, in quanto situato immediatamente a sud della fabbrica.

Le prime avvisaglie furono un odore acre e infiammazioni agli occhi. Nei giorni immediatamente successivi all’evento si iniziarono ad osservare gli effetti su flora e fauna: danni chimici sulle colture, morte improvvisa di piccoli animali domestici e uccelli, ustioni cutanee.

La certezza di dispersione di TCDD venne confermata il 14 luglio da analisi effettuate da Givaudan presso i suoi laboratori a Dübendorf, ma le autorità italiane non vennero informate. Il 15 luglio i sindaci di Seveso e Meda, dietro consiglio di un ufficiale sanitario locale, emisero ordinanze per proibire di toccare ortaggi, vegetazione, terreno e animali domestici e di adottare una scrupolosa igiene delle mani e dei vestiti, e successivamente venne ordinato di non ingerire prodotti di origine animale provenienti dalla zona inquinata.[5] Solo sette giorni dopo l'evento la notizia apparve sui giornali.[6][7]

Il 19 luglio Givaudan ammise la presenza di diossina nella nube tossica e il 21 luglio venne confermata dal Laboratorio provinciale di igiene e profilassi. Il territorio di Seveso a ridosso dell'ICMESA fu suddiviso in tre zone a decrescente livello di contaminazione sulla base delle concentrazioni di TCDD nel suolo: zona A (suddivisa in 7 sotto-zone), B, e R. Le abitazioni comprese nella zona A, la più colpita, furono divise nelle sotto-zone A1-A5. Il 24 luglio, con due rispettive ordinanze, i comuni di Seveso e Meda ordinarono l’evacuazione entro il 26 luglio della zona A, inizialmente estesa per circa 15 ettari ma successivamente espansa a più riprese.

Complessivamente tra il 26 luglio e il 2 agosto vennero evacuati 676 cittadini di Seveso e 60 di Meda, che vennero provvisoriamente collocati in due hotel nel milanese, uno a Bruzzano e uno ad Assago. La maggior parte di loro sarebbero rientrati nelle loro case bonificate tra ottobre e dicembre 1977, mentre 41 famiglie non poterono tornare perché le loro case vennero distrutte. Sarebbero state ricostruite negli anni seguenti.[8] Inoltre circa 240 persone, per la maggior parte bambini, vennero colpite da cloracne, una dermatosi provocata dall'esposizione al cloro e ai suoi derivati, che crea lesioni e cisti sebacee.

Quanto agli effetti sulla salute generale, essi sono ancora oggi oggetto di studi. I vegetali investiti dalla nube si disseccarono e morirono a causa dell'alto potere diserbante della diossina, mentre migliaia di animali contaminati dovettero essere abbattuti.[9] La popolazione dei comuni colpiti e l'Italia intera vennero però informati della gravità dell'evento solamente otto giorni dopo la fuoriuscita della nube, con un'ordinanza del sindaco che vietava di ingerire e toccare i prodotti ortofrutticoli della zona.[10] Nell'area più inquinata (Zona A), il terreno fu asportato (fino a una profondità di 80 cm) e depositato in vasche. Fu poi collocato un nuovo terreno proveniente da zone non inquinate ed effettuato un rimboschimento, che ha dato origine al Parco naturale Bosco delle Querce

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