mercoledì 5 ottobre 2022

In Iran non si fermano le proteste

Woman life freedom Richmondhill


Articolo da Transform! Italia

 Pubblichiamo il testo inviatoci da due attiviste iraniane sulla situazione in Iran. Nel rispetto della loro volontà non rendiamo pubblici i loro nomi. Un grazie infinito a P. e H. per la loro disponibilità ed il loro coraggio

Nicoletta Pirotta

In Iran non si fermano le proteste scoppiate dal 16 settembre, il giorno della morte di Masha Amini, arrestata il 13 settembre dalla cosiddetta polizia morale (gashte ershad) della repubblica islamica per avere indossato il velo in modo inappropriato.

L’introduzione dell’obbligo del velo per le donne nella legislazione iraniana risale al 1979, poche settimane dopo la vittoria della rivoluzione islamica.

Una legge che viene contestata da molte donne dell’epoca, anche da parte di chi portava il velo con convinzione. Oggi, 43 anni dopo la grande manifestazione tenuta a Tehran l’8 marzo del 1979 contro il velo obbligatorio, le attiviste iraniane stanno ancora lottando contro l’obbligatorietà del velo insieme alle numerose donne che indossano l’hijab volontariamente.

La lotta di donne iraniane non è contro l’hijab, contro un sistema patriarcale che le vuole cancellare dallo spazio pubblico: è una lotta dunque per ottenere la libertà di scegliere.

Si tratta di un movimento inclusivo nei confronti di tutte le minoranze oppresse dal sistema che detiene il potere in Iran. Un movimento in lotta da diversi decenni che nelle ultime settimane è balzato agli onori della cronaca con un significativo slogan di origine curda: Donna, Vita, Libertà.

Masha (Zhina) Amini, nata il 22 luglio del 2000 a Saqez nel Kurdistan iraniano, il 13 settembre arriva a Teheran con il fratello per fare visita ad alcuni parenti. Viene fermata dalla polizia morale come tante altre donne chiamate “malvelate”. Gli agenti la portano via ed aggrediscono  il fratello che cerca di opporsi.

Dopo interminabili ore d’attesa dietro le porte dell’edificio Vozara, il terribile luogo di detenzione delle donne arrestate dalla polizia morale, il fratello vede un’ambulanza portare via Masha e la segue in ospedale.

L’indomani, Nilufar Hamadi, una giornalista del quotidiano Sharq, riesce a scattare una foto di Mahsa nello stato di incoscienza che in poche ore farà il giro del mondo e le costerà l’arresto come tanti altri giornalisti che hanno denunciato le violenze subite da Mahsa da parte degli agenti.

Il 16 settembre, Mahsa (chiamata da tutti Zhina che in lingua curda significa vita) muore all’ ospedale Kasra di Teheran.

La diffusione di questa immagine tragica insieme alla foto dei genitori che si abbracciano dopo aver avuto la conferma della morte della figlia, scatena la rabbia e l’indignazione collettiva e la notizia diventa virale.

Dopo Nilufar Hamedi, anche una sua collega Elahe Mohammadi (giornalista del giornale Ham Mihan) viene arrestata. In seguito centinaia di giornaliste/i, artiste/i, scrittori/scrittrici, studentesse/studenti ed intellettuali ed attiviste/i, sono stati prelevati dalle proprie case o dai luoghi di lavoro oltre alle centinaia, se non migliaia, di cittadine e cittadini che vengono portati via mentre protestano per le strade conto l’uccisione di Mahsa e per la dignità delle donne in Iran al grido di “Donna, Vita, Libertà”.

È impossibile stimare il numero di persone arrestate, ferite o uccise.

Tragicamente, dopo Mahsa, sono state assassinate anche tante giovani donne e tanti giovani uomini che hanno partecipato alle manifestazioni in numerosi città iraniane.

Ghazaleh Chalavi (20 anni), Hadis Najafi (22 anni), Hanane Kia (22 anni), Nika Shakarami (17 anni) sono solo alcuni nomi delle giovanissime donne iraniane che hanno sfidato il regime.

Come succede spesso quando le proteste iniziano a dilagare, la connessione internet viene estremamente rallentata e in alcune zone addirittura bloccata in modo da  ostacolare la diffusione delle notizie e immagini della repressione brutale dei manifestanti.

Ma nonostante tutto ciò, le proteste diventano sempre più diffuse nel Paese.

Il 30 settembre a Zahedan, capoluogo della regione Sistan e Balucistan nel sudest dell’Iran, una delle regioni più discriminate e povere del Paese, dopo una brutale repressione dei manifestanti, gli agenti arrivano a sparare sulla folla. I manifestanti esprimevano il loro sdegno non solo per l’uccisione di Mahsa Amini ma anche per lo stupro impunito di una quindicenne da parte di un capo religioso in un villaggio di in una zona remota della regione. Secondo alcuni attivisti Baluci, ci sono state più di 40 vittime mentre fonti ufficiali sostengono che si tratti di 19 persone uccise in un attacco terroristico.

Nei giorni successivi, anche la comunità iraniana fuori dall’Iran sta organizzando diverse manifestazioni in numerose città del mondo in sostegno di donne e uomini che ogni giorno scendono per le strade dell’Iran rischiando la propria vita.


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Fonte: 
Transform! Italia


Autore: P. e H. - a cura di Nicoletta Pirotta



Articolo tratto interamente da Transform! Italia



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