giovedì 27 ottobre 2022

Il mito di Atlantide

Lost City of Atlantis


Articolo da L’Undici

Atlantide: un’isola favolosa più grande della Libia, una sorta di Eden dove gli uomini non avevano l’abitudine di scannarsi come purtroppo capitava e capita nelle guerre di ieri e di oggi, e si viveva una sorta di età dell’oro grazie al clima favorevole e alla saggezza dei suoi governanti. E’ questo il mito raccontato da Platone nel Timeo e nel Crizia, tra i suoi dialoghi più noti. Il filosofo descrive questa terra benedetta dagli dei collocandola oltre le Colonne d’Ercole – il nome greco per lo stretto di Gibilterra – nel bel mezzo dell’oceano e datandola a un’era antica, circa 9000 anni addietro, in un’epoca che noi definiremmo protostorica e in cui l’uomo stava cominciando ad addomesticare le pecore e il cane. Quando gli dei decisero di spartirsi la terra, l’isola era toccata in sorte a Poseidone che l’aveva popolata con la sua discendenza, generata dai figli che aveva avuto con Clito, una mortale di cui – come spesso gli capitava – si era innamorato. Atlantide era ricca di metalli tra cui l’oricalco, che secondo gli antichi era quasi prezioso quanto l’oro, e che si credeva rendesse indistruttibili armi e scudi. Il dio però aveva pensato anche alla natura, ai monti, alle foreste, alle praterie, ai laghi e ai corsi d’acqua (la sua specialità) e si era inventato due fonti, una di acqua calda e una di acqua fredda. Questi luoghi erano splendidi e rigogliosi, popolati da animali di ogni genere, per non parlare dei frutti e dei cereali che l’isola forniva in abbondanza.

Poseidone aveva dato ad Atlantide una forma simile a un mandala, ossia una triplice serie di cerchi concentrici, in questo caso di terra e di acqua, con al centro un santuario dedicato a lui e a Clito. L’isola era governata da dieci re che – come dice Platone – avevano “ tutto a disdegno fuorché la virtù”, e si erano impegnati a non combattere mai gli uni contro gli altri, aiutandosi vicendevolmente e deliberando in comune le decisioni da prendere. Questa situazione idilliaca durò finché non si fu estinta la parte divina della natura degli abitanti e il carattere umano ebbe il sopravvento per cui – è sempre il filosofo a parlare – “si diedero a comportamenti sconvenienti”…“pieni di ingiusta bramosia e di potenza”. In altre parole, non gli bastava la loro isola, volevano altre terre, e ridussero in schiavitù buona parte dei popoli del Mediterraneo tranne Atene che riuscì a sconfiggere il nemico. In tal modo si attirarono l’ira degli dei che in un solo giorno e una notte causarono un catastrofico terremoto seguito da uno tsunami, che fece inabissare il grande impero atlantico.  Atlantide è esistita? Attraverso i secoli e fino ai nostri tempi si sono snocciolate parecchie ipotesi: Aristotele, allievo di Platone, ritenne il racconto una fantasia del maestro e liquidò la storia asserendo che chi l’aveva inventata l’aveva anche fatta scomparire, Durante il Medioevo l’argomento fu pressoché ignorato e la scoperta dell’America da parte dei Vichinghi non ebbe conseguenze sulla ricerca storica, mentre l’oceano Atlantico  aprì i suoi confini solo all’immaginazione: vale la pena di ricordare in proposito la “Navigazione di San Brandano”, un testo anonimo in latino che narra le avventure in un monaco e santo irlandese vissuto nel VI secolo, a cui Dante si ispirò per la sua Commedia. Secondo la leggenda il frate si mise alla testa di un gruppo di monaci per cercare il Paradiso terrestre incontrando creature fantastiche, tra cui un’isola-balena risvegliata incautamente dal frate cuciniere che aveva acceso un fuocherello sul dorso del cetaceo per cucinare il pasto.

Ci sono tuttavia narrazioni ancora più antiche che adombrano il mito dell’isola oceanica: basterebbe ricordare il racconto sumerico di  Gilgameš, un poema epico risalente al III secolo a.C., quindi precedente Omero, in cui si narra di come gli dei scatenarono un diluvio che colpì tutta la terra per sette giorni e sette notti, uccidendo ogni essere vivente a parte pochi giusti; non solo la somiglianza col racconto biblico di Noè è impressionante, ma occorre aggiungere che la stessa storia si ripete con poche varianti in quasi tutte le culture del globo: nella mitologia egizia la dea leonessa Sekhmet inonda la terra con birra rossa, in quella greca Deucalione e Pirra, due anziani e pii coniugi si salvano dal diluvio grazie alla benevolenza degli dei. Il Corano narra una storia molto simile a quella biblica della Genesi, con la differenza che uno dei quattro figli di Noè e sua moglie non vollero entrare nell’arca, convinti di potersi salvare da soli dal diluvio e finirono annegati, mentre l’enorme barcone non si posò sul monte Ararat ma sulla vetta dello Judi che si trova nell’odierno Iraq. Scavalcando l’Atlantico ritroviamo il racconto presso gli Aztechi, i Maya, gli Inca, e persino i Polinesiani e alcune tribù degli Indiani d’America, mentre la stessa storia si ripete in Oriente, in India, in Cina e in Australia; in quest’ultimo continente la narrazione della catastrofe assume aspetti quasi comici, con una gigantesca rana che inghiotte tutta l’acqua del mondo per poi vomitarla causando un immenso tsunami che ricopre addirittura l’intero pianeta. In epoche molto più recenti il mito di Atlantide e della sua società perfetta fu ripreso da Francesco Bacone, filosofo e politico inglese, dallo scienziato svedese Olaus Rudbeck, convinto – chissà perché – che la sua lingua fosse quella di Adamo e che la Svezia non fosse altro che la leggendaria isola, da Isaac Newton e da molti altri studiosi.

Nell’Ottocento l’americano Igniatius Donnelly rilanciò il mito in un libro di enorme successo,”Atlantis: the antediluvian world “, in cui non solo ribadiva l’esistenza dell’Isola di Platone, ma affermava senza uno straccio di prova che era la sede da cui proveniva la famiglia degli Ariani e che gli alfabeti europei, a cominciare da quello fenicio, derivavano dall’alfabeto di Atlantide. Nello stesso secolo la leggenda fu nuovamente ribadita da Helena Blavatsky, la sensitiva fondatrice della Società teosofica, tuttora esistente. Durante il Novecento Atlantide colpì la fantasia malata dei nazisti, e in particolare di Heinrich Himmler che era affascinato dall’occultismo e aveva fondato l’Ahenerbe (in tedesco Eredità ancestrale) una società di ricerca sulle origini della cosiddetta razza ariana. Ormai la scienza ha dimostrato che le razze umane non esistono, e che l’uomo deriva da uno stesso gruppo di antenati comuni, ma il fanatismo non conosce ragioni, motivo per cui Himmler ordinò di scovare l’origine di Atlantide in  Germania, e precisamente nel sito megalitico di Externsteineine, nella foresta di Teutoburgo, ricerche che però non diedero alcun esito.

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Fonte: 
L’Undici



Articolo tratto interamente da 
L’Undici



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