Articolo da Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile - ASviS
Cambiamento climatico e sovrasfruttamento tra le cause della riduzione della fauna, rileva il Wwf. Due terzi degli oceani e tre quarti delle terre emerse sono alterati dall’azione dell’uomo. 17/10/22
“Il pianeta è nel mezzo di una crisi biologica e climatica, e abbiamo un’ultima occasione per agire”. È il grido d’allarme lanciato dal Wwf nel Living Planet Report 2022, il rapporto pubblicato il 13 ottobre che fornisce una panoramica dello stato della biodiversità, dei suoi stretti legami con la crisi climatica, dei fattori umani che la causano e delle potenziali soluzioni a favore della nostra stessa sopravvivenza.
Le due facce della medaglia. Il pianeta sta affrontando la doppia emergenza del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità, sottolinea il report, due aspetti strettamente connessi tra loro, che minacciano il benessere delle generazioni attuali e future. Nell'affrontare queste sfide non esiste una soluzione valida per tutti. I cambiamenti nell’uso del suolo restano la più grande minaccia attuale per la natura, causando distruzione e frammentazione degli habitat naturali di molte specie vegetali e animali, sulla terraferma, nelle acque dolci e nel mare.
“Sappiamo cosa sta succedendo, conosciamo i rischi e conosciamo le soluzioni” scrive nella prefazione Marco Lambertini, direttore generale del Wwf Internazionale. “Ciò di cui abbiamo urgente bisogno ora è un piano che unisca il mondo nell'affrontare questa sfida esistenziale. Un piano concordato a livello globale e attuato localmente. Un piano che stabilisca chiaramente un obiettivo globale misurabile e definito nel tempo per la natura”.
Il declino delle specie. L’edizione di quest’anno del Living Planet Index, che analizza 32mila popolazioni di oltre 5mila specie, mostra un calo medio del 69% delle popolazioni di specie di vertebrati – mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci – analizzati dal 1970 al 2018. Le popolazioni d’acqua dolce mostrano un allarmante calo dell’83%. In America Latina e Caraibi i peggiori trend per la perdita di biodiversità, con un calo medio del 94% dal 1970.
Nello stesso periodo, le popolazioni monitorate in Africa sono diminuite del 66%, in Asia-Pacifico del 55%, in Nord America del 20%, mentre l’Europa e l’Asia centrale hanno registrato un calo del 18%. Un milione di piante e animali è a rischio di estinzione. Una percentuale tra l'1 e il 2,5% delle specie di uccelli, mammiferi, anfibi, rettili e pesci si è già estinto. L'abbondanza delle popolazioni e la diversità genetica sono diminuite e le specie stanno perdendo i loro habitat. La Terra si è già riscaldata di 1,2°C dai tempi preindustriali.
Nonostante il cambiamento climatico non sia stato fino ad oggi il principale motore della perdita di biodiversità, se il riscaldamento non sarà contenuto sotto i 2°C, preferibilmente 1,5°C, è probabile che diventi la causa principale di perdita di biodiversità e degrado di servizi ecosistemici nei prossimi decenni. Circa il 50% dei coralli di acque calde è già andato perso a causa di una varietà di cause. Un aumento delle temperature medie di 1,5°C comporterà una perdita del 70-90% dei coralli, mentre un riscaldamento di 2°C la perdita sarà oltre il 99%.
Fuori strada. Ad oggi, continua il Rapporto, i progressi per fermare la perdita di biodiversità sono in gran parte falliti in tutti i Paesi: nessuno dei 20 obiettivi di Aichi per il 2020 è stato pienamente raggiunto e in alcuni casi la situazione nel 2020 è risultata peggiore rispetto al 2010. Allo stesso modo, scrive nello studio l’ex presidente dell’Ipbes Rober Watson, “non stiamo riuscendo a raggiungere l’obiettivo di Parigi di mantenere l’aumento della temperatura sotto i 2°C; gli attuali impegni stanno portando a un aumento di 2-3°C e forse più. Mantenere il riscaldamento entro 1,5°C richiede, entro il 2030, il 50% delle emissioni in meno rispetto alle emissioni attuali e zero emissioni nette entro la metà del secolo. Purtroppo, è probabile che supereremo l'obiettivo di 1,5°C prima del 2040”.
Soluzioni dal mondo. Gli impatti del cambiamento climatico saranno avvertiti da tutti, ovunque, ma non allo stesso modo, sottolinea il Rapporto. Alcune delle comunità più vulnerabili al cambiamento climatico vivono nei Paesi del sud del mondo e alcune di queste, nonostante le risorse limitate, stanno applicando soluzioni creative per affrontare la crisi a favore delle persone e della natura, basandosi su un patrimonio di conoscenze locali. In Kenya, le donne delle comunità Masai, in difficoltà perché la siccità ha deteriorato le condizioni di salute del bestiame, la cui vendita è il loro mezzo di sussistenza principale, hanno creato un sistema di baratto con i contadini che vivono oltre confine in Tanzania. Scambiano Magadi, il terreno minerale salato che si trova in abbondanza nella loro regione, con fagioli, patate, mais, olio da cucina e zucchero. Questo accordo è possibile perché il clima varia notevolmente tra le aree di confine dei due paesi; il versante tanzaniano si trova ai piedi del monte Kilimangiaro, dove la siccità non è così intensa come in Kenya.
In Zambia, l'aumento delle temperature e il cambiamento del regime delle precipitazioni hanno portato a un aumento della frequenza di inondazioni ed eventi di siccità, sconvolgendo i sistemi idrici fondamentali per sostenere gli ecosistemi, le condizioni di vita e la salute delle comunità locali. Nella provincia meridionale del Paese, la scarsità d'acqua è una realtà costante, a causa dei periodi di siccità prolungati del passato, del taglio degli alberi e dell’alterazione dei bacini idrografici. Una coalizione locale, la Climate smart agriculture alliance, sta lavorando con i membri della comunità nell'area, piantando specie di colture autoctone all'interno dei bacini idrografici di uno dei distretti, con l’obiettivo di aumentare le risorse idriche per un uso futuro. Una soluzione locale alla crisi idrica che consente a coloro che sono più colpiti dalla scarsità d'acqua di assumersi la responsabilità della gestione sostenibile della risorsa. I membri della comunità locale gestiscono i bacini idrografici, proteggendoli e preservandoli e allo stesso tempo aumentando la resilienza agli impatti della crisi climatica.
Il diritto di vivere in un ambiente sano. “Sappiamo”, continua il Rapporto, “che la salute del nostro pianeta è in declino e sappiamo perché. Sappiamo anche di avere le conoscenze e i mezzi per affrontare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità”. Nel 2022 l’Assemblea Generale delle Nazioni unite ha finalmente riconosciuto che tutti, ovunque, hanno il diritto di vivere in un ambiente pulito, sano e sostenibile. Adempiere a questo diritto non è più un'opzione, ma un obbligo. In più di 80 nazioni, il diritto a un ambiente sano ha innescato leggi e politiche ambientali più forti, una migliore attuazione e sorveglianza, una maggiore partecipazione pubblica e, soprattutto, risultati migliori per l’ambiente. Dopo aver aggiunto il diritto a un ambiente sano nella sua costituzione nel 1994, il Costa Rica è diventato un modello nella tutela ambientale a livello globale. Il 30% del suo territorio ricade in parchi nazionali, il 99% della sua elettricità proviene da fonti rinnovabili, tra cui idroelettrico, solare, eolico e geotermico. Le leggi vietano l'estrazione a cielo aperto e lo sviluppo di petrolio e gas, mentre le tasse sul carbonio vengono utilizzate per pagare le popolazioni indigene e gli agricoltori per ripristinare le foreste. Nel 1994, la deforestazione aveva ridotto la copertura forestale al 25%, ma oggi la riforestazione ha riportato quel numero al di sopra del 50%. La Francia ha abbracciato il diritto a un ambiente sano nel 2004, dando vita a nuove leggi forti per vietare il fracking, attuare il diritto di respirare aria pulita e vietare l'esportazione di pesticidi.
Un futuro “nature positive”. Per costruire un futuro in cui le persone e la natura possano prosperare, sarà fondamentale individuare soluzioni per affrontare nel modo più efficace la perdita di biodiversità sulla base di un ventaglio di scenari climatici e di sviluppo. “Abbiamo bisogno di cambiamenti radicali nel modo in cui produciamo e consumiamo, nella tecnologia che utilizziamo e nei nostri sistemi economici e finanziari”, si legge nel Rapporto. “Abbiamo bisogno di un futuro nature positive, che significa più natura entro la fine di questo decennio rispetto ad ora”. In tutto il mondo sono disponibili numerose best practices, sviluppate da diversi stakeholder, che vanno da nuove iniziative di trasparenza finanziaria dedicate a comprendere e allineare meglio l'impatto della finanza, agli approcci territoriali che integrano i diversi usi.
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Fonte: Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile - ASviS
Autore: Tommaso Tautonico
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Articolo tratto interamente da Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile - ASviS
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