martedì 28 marzo 2023

Il soccorso civile è sotto attacco



Articolo da Associazione Diritti e Frontiere – ADIF

1. Dopo la strage di Cutro, e le pesanti accuse rivolte da più parti a chi non ha coordinato tempestivamente le attività di soccorso prima e dopo il tragico schianto del caicco proveniente dalla Turchia, ma anche dopo una serie di “incidenti” nel Canale di Sicilia, ed a nord delle coste libiche, sta ripartendo un attacco politico-mediatico contro i soccorsi operati da navi civili. Navi anche di piccole dimensioni, finanziate dalla società civile, già colpite dal Decreto legge n.1 del 2023 che, intitolato falsamente sulla “gestione dei flussi migratori”, che nulla c’entrano con i soccorsi in mare, mirava esclusivamente a criminalizzare le attività di ricerca e salvataggio ancora operate dalle poche ONG presenti nel Mediterraneo centrale, imponendo porti di sbarco lontanissimi, con una evidente finalità dissuasiva, con pesanti pene pecuniarie e nuove possibilità di sequestro e confisca delle navi umanitarie. Si può dire adesso compiuta una svolta radicale, rispetto a quanto avveniva fino al 2017, nel rapporto tra soccorso civile e sistema istituzionale di ricerca e salvataggio in mare, centrato sui comandi della Guardia costiera (Centro di coordinamento dei soccorsi – IMRCC) e della Marina militare (CINCNAV). Che oggi diventano i principali accusatori degli operatori umanitari impegnati a soccorrere vite umane in acque internazionali, in aree nelle quali spesso le autorità statali, soprattutto quelle maltesi, hanno dimostrato di non arrivare ad effettuare la doverosa attività di ricerca e salvataggio (SAR). Perchè sono tante le vittime di zone SAR, zone di ricerca e salvataggio (search and rescue) istituite dagli Stati e riconosciute dall’IMO (Organizzazione internazionale del mare) per salvare persone in pericolo (distress) e non per contrastare quella che si continua a definire soltanto come “immigrazione clandestina”. Eppure dal 2015 al 2017 le navi del soccorso civile avevano svolto un ruolo essenziale per la salvaguardia della vita umana nelle acque del Mediterraneo centrale.

Nel 2017 le imbarcazioni delle Ong erano stabilmente inserite nel dispositivo di soccorso della Guardia costiera italiana, come si evince dai Rapporti annuali delle Capitanerie di porto. E si operavano anche 30 interventi in una giornata con una piena collaborazione tra unità civili e militari. Migliaia di persone che si potevano sbarcare in diversi porti, a rotazione, senza impegnare troppo a lungo le navi per trasferimenti vessatori, ma con un rapido ritorno nelle aree di soccorso. Tutto il contrario di quanto avviene adesso, con una situazione che a Lampedusa diventa esplosiva, perchè il vuoto che hanno fatto nella zona SAR libica, ed in quella maltese, dopo l’allontanamento delle ONG, ed il ritiro degli assetti navali europei, ha moltiplicato il numero dei barconi che puntano sulle coste italiane più vicine, dunque le isole delle Pelagie, ed arrivano in autonomia, se non fanno naufragio prima.

Ad esempio il 25 giugno 2017 venivano operati 31 interventi di soccorso con 3377 naufraghi salvati, ma già prima, il 6 maggio dello stesso anno erano stati operati 32 interventi di soccorso con 3579 naufraghi salvati .Gli stessi numeri di oggi. Essenziale in quel periodo il supporto operativo delle navi delle ONG, che nel 2017 salvavano 46601 naufraghi, a fronte di 28814 soccorsi dalla Guardia costiera, e circa 18000 persone soccorse da Frontex ed Eunavfor Med. Oggi Frontex ha ritirato quasi tutti gli assetti navali, e le unità della missione Eunavfor Med, che adesso viene denominata operazione IRINI, si limitano a tracciare le imbarcazioni che partono dalla Libia ed a collaborare con la sedicente Guardia costiera libica.

2, Dal 2017 ad oggi, però, le regole operative imposte dalle Convenzioni internazionali e dai Regolamenti europei per i soccorsi in acque internazionali non sono cambiate, ed è materia che il legislatore italiano o singoli ministri, con i loro decreti, non possono modificare. Lo stabilisce l’art. 117 della Costituzione italiana. E lo conferma la Corte di Cassazione.

Una vera e propria inversione – per volontà politica – delle regole sui soccorsi in mare ebbe inizio da quando Minniti a giugno del 2017, dopo il Memorandum d’intesa con il governo di Tripoli, imponeva un Codice di condotta per le ONG, che produceva l’immediato avvio dei sequestri delle navi umanitarie, con la Iuventa bloccata a Lampedusa il 3 agosto del 2017, e poi con la istituzione di una zona Sar libica fittizia, come spazio di dissuasione dei soccorsi, con motovedette regalate alla sedicente Guardia costiera libica, che neppure aveva una Centrale di coordinamento nazionale, ma delegava le attività di intercettazione in mare a milizie colluse con i trafficanti, come il “comandante”Bija a Zawia e la banda dei Koshlaf a Sabratha. E proprio in quegli anni, fino al 2020, con la missione Nauras (di Mare Sicuro) di base a Tripoli, la Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana coordinava di fatto le intercettazioni operate dalle motovedette libiche.

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Fonte: Associazione Diritti e Frontiere – ADIF

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Articolo tratto interamente da 
Associazione Diritti e Frontiere – ADIF



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