venerdì 31 marzo 2023

La Cina sta conquistando il predominio della ricerca tecnologica



Articolo da CRS - Centro per la Riforma dello Stato

La gran parte delle persone in qualche modo interessate al tema pensa che la Cina stia sviluppando fortemente nel tempo la sua presenza nelle tecnologie avanzate, ma che gli Stati Uniti mantengano un rilevante vantaggio complessivo sul paese asiatico nel settore.

La svolta forse più importante in tema di lotta competitiva tra gli Stati Uniti e la Cina sul fronte delle nuove tecnologie si è verificata nel 2015, quando il paese asiatico ha svelato un suo piano all’orizzonte 2025 (il “Made in China 2025”) che si poneva l’obiettivo di raggiungere gli Stati Uniti entro tale data sul fronte della gran parte delle tecnologie innovative. Da allora assistiamo a un’escalation crescente delle ostilità statunitensi verso la stessa Cina, ostilità che negli ultimi mesi ha raggiunto con Biden certamente un’intensità parossistica, con nuovi episodi quasi ogni giorno: gli Stati Uniti cercano di contrastare a tutto campo e con tutti i mezzi – da quelli economici, a quelli politici, tecnologici, militari – l’ascesa del rivale, in particolare, appunto, nelle nuove tecnologie.

Ma gli ultimi dati e alcune tra le più recenti valutazioni pongono in forte dubbio l’opinione comune e la possibilità da parte statunitense di riuscire a fermare i processi in atto, che vanno per molti versi nella direzione di una crescente tendenza al primato tecnologico del paese asiatico.

Le spese in ricerca e sviluppo ed altri dati di base

Nel 1996 la Cina spendeva all’incirca lo 0,56% del suo Pil nelle spese di ricerca e sviluppo, mentre nel 2022 tale percentuale era salita ormai al 2,5%, raggiungendo un valore di circa 450 miliardi di dollari a prezzi di mercato (con una crescita del 10,4% rispetto all’anno precedente) e tendeva a crescere ancora fortemente. Tale cifra appare ancora abbastanza inferiore a quella degli Stati Uniti, il cui livello di spesa appare essere superiore al 3,0% del totale del Pil, con una cifra che nel 2022 dovrebbe essersi collocata intorno ai 607 miliardi di dollari, ma con una dinamica di crescita che appare comunque abbastanza inferiore a quella della Cina. Considerando tali dati, la spesa cinese appare all’incirca comunque ormai come pari ai tre quarti di quella USA.

Ma se misurassimo l’importo della stessa spesa con il criterio della parità dei poteri di acquisto (in questo caso in particolare considerando tra l’altro che gli stipendi dei ricercatori, voce che rappresenta una parte molto consistente della spesa complessiva, sono inferiori in Cina rispetto agli Stati Uniti) la distanza tra i due paesi si accorcia notevolmente, collocandosi ormai intorno all’85% di quella USA per il paese asiatico. Per altro verso, la Cina è ormai il primo paese del mondo per quanto riguarda il numero dei ricercatori e quello degli addetti al settore della ricerca e sviluppo.

Le cifre diventano ancora più favorevoli alla Cina se prendiamo in considerazione degli altri parametri, dal numero dei brevetti depositati ogni anno, al numero dei laureati in discipline scientifiche, a quello degli articoli scientifici pubblicati sulle riviste di tutto il mondo. Su tutti tali fronti il paese asiatico ha ormai superato da tempo gli Stati Uniti.

Per quanto riguarda il numero dei brevetti, secondo le cifre dell’OMPI di Ginevra, nel 2021 gli uffici cinesi hanno ricevuto circa 1,6 milioni di domande su 3,4 milioni complessivi di richieste a livello mondiale, mentre tutte quelle asiatiche sono complessivamente circa i due terzi del totale; gli Stati Uniti a loro volta ne hanno ricevute “solo” 591 mila.

Se guardiamo poi al numero di articoli scientifici pubblicati, già nel 2020 la Cina era a circa 744 mila contro i 625 mila degli Stati Uniti e il divario sembra essere cresciuto negli ultimi anni. Nel 2022 inoltre si sono laureati in Cina sette volte tanti ingegneri che negli Stati Uniti e comunque cinque milioni di giovani complessivamente vi hanno ottenuto una laurea nelle discipline scientifiche.

Ovviamente questi dati peseranno sempre più nel corso del tempo e plausibilmente il divario tra i due paesi si allargherà ancora.

Lo studio dell’Aspi

Un centro di ricerca australiano, l’Australian Strategic Policy Institute (ASPI), ha di recente svolto una ricerca, finanziata dal Dipartimento di Stato statunitense, riguardante la situazione dei vari paesi in 44 tecnologie chiave (Hurst, 2023). Come hanno riportato molti giornali, in 37 di queste 44 tecnologie (comprese tra l’altro le batterie elettriche, le tecnologie ipersoniche, le comunicazioni con il 5G e il 6G), la Cina appare ormai il paese più importante del mondo, mentre gli Stati Uniti restano quello guida solo nelle restanti sette tecnologie (tra le quali i vaccini, i computer quantistici, i sistemi spaziali), mentre, quasi ovviamente, in nessuno di tali campi l’Europa ha una posizione di prima fila. Così il paese asiatico appare ormai avviato a essere la superpotenza guida nella scienza e nelle tecnologie; in alcune di esse appare occupare tutte le prime dieci posizioni nel campo delle istituzioni di ricerca. Così l’Accademia delle scienze cinese si colloca al primo o al secondo posto per quanto riguarda la classifica dei centri di ricerca per la gran parte delle 44 tecnologie incluse nell’analisi.

Ovviamente poi l’istituto australiano sottolinea come in ogni caso ci sia un grande gap tra la Cina e gli USA da una parte e tutti gli altri paesi dall’altra. In tale quadro sappiamo che i due, messi insieme, rappresentano ogni anno circa il 50% delle spese mondiali in ricerca e sviluppo. Comunque alcune cose sorprendono un poco, ad esempio il fatto che il Giappone non si collochi al primo posto nella robotica.

La Cina e le energie rinnovabili

Ancora più sorprendenti appaiono i numeri per quanto riguarda la lungimiranza e i successi delle strategie cinesi se prendiamo in considerazione uno dei settori esaminati nella ricerca dell’Aspi, quello relativo alle energie rinnovabili, come pure è testimoniato da uno studio anch’esso recente della IEA, International Energy Agency (IEA 2023).

Dunque, secondo i dati di questa organizzazione, la Cina domina la produzione e la commercializzazione a livello mondiale della gran parte delle tecnologie relative alle energie pulite. Tale dominio ha tra l’altro contribuito grandemente a ridurre i costi a livello mondiale nelle tecnologie chiave del settore. Così, nella produzione di pannelli solari la quota cinese sul totale mondiale si colloca oggi intorno al 75% (da un’altra fonte, Bronner 2013, apprendiamo che in particolare la quota della Cina nella produzione della materia prima impiegata, il silicio, è del 79%, nei wafer di silicio del 97%, nelle cellule fotovoltaiche dell’85%, e appunto nei pannelli solari, il prodotto finale, del 75%), nelle energie eoliche intorno al 57%, nelle batterie di nuovo intorno al 75%, mentre nelle pompe di calore la quota si ferma al 38%. Per quanto riguarda la produzione dei relativi materiali di base, nell’acciaio siamo al 54%, nel cemento al 56%, nell’alluminio al 48%. Incidentalmente, i pannelli solari cinesi non sono soltanto i meno cari presenti nel mercato, sono anche i più efficienti.

Se consideriamo poi le attività di estrazione di alcuni materiali critici, per il rame abbiamo al primo posto il Cile con circa il 25% del totale, per le terre rare la Cina con il 60%, per il litio l’Australia con il 48%, per il nickel l’Indonesia con il 38%, infine per il cobalto il Congo con circa il 70%. Per quanto riguarda invece la lavorazione degli stessi metalli, in tutti i casi la Cina è costantemente al primo posto: nel rame siamo al 34%, nel litio al 58%, nel nickel al 56%, nel cobalto al 70%, nelle terre rare al 90%.

Sugli annunci relativi ai piani di espansione della capacità produttiva del paese asiatico al 2030 nei vari settori sopra indicati, l’IEA segnala che nei pannelli solari saremmo all’85% dei piani annunciati a livello mondiale per tale anno, per le celle e i moduli all’85% e al 90% per i wafer, mentre per quanto riguarda il settore delle energie eoliche registriamo l’85% per pale e il 90% per le torri e le piattaforme; per i componenti delle batterie, il 98% per gli anodi e il 93% per i catodi. La Cina è responsabile dell’80% di tutta la capacità di produzione addizionale annunciata al 2030 per il rame, del 95% per il cobalto, del 60% per il litio e il nickel.

Il paese ha poi l’ambizione di raggiungere, sempre nel 2030, l’installazione di 1,2 miliardi di kilowatt di capacità installata di impianti eolici e solari.

Circa la metà dei pannelli solari prodotti in Cina sono esportati, prevalentemente in Europa e in Asia Pacifico, mentre sempre l’Europa importa il 25% delle batterie utilizzate dalla Cina. Nel settore eolico il paese è responsabile della metà delle esportazioni globali.

Lo studio non parla infine della questione dei boschi, ma la Cina appare anche essere ancora la leader mondiale per quanto riguarda la messa in opera di nuovi impianti boschivi.

I computer avanzati

Come sottolinea un altro rapporto pubblicato negli Stati Uniti di recente per conto del Massachussets Institute of Technology, del Council on competitiveness e della società Silicon Catalyst (Thompson, Evans, Armbrust 2023), il primato statunitense nei computer avanzati, una tecnologia fondamentale tra l’altro per la sicurezza nazionale, è quasi giunto alla fine. La ricerca indica che la Cina è ormai molto vicina agli Stati Uniti nel settore e che sta facendo dei passi in avanti più velocemente dei secondi. Così sino al 2015 all’incirca la metà dei supercomputer del mondo si trovavano negli Stati Uniti e la Cina era molto indietro nella classifica. Ma negli ultimi anni il paese asiatico ha fatto grandi passi in avanti e ora possiede più supercomputer dell’altro paese. Storicamente, poi, gli Stati Uniti guidavano il mondo nello sviluppo di nuovi algoritmi per il computing avanzato, generando i due terzi del totale mondiale, ma anche in tale campo il paese asiatico sta facendo grandi progressi; tra l’altro, la ricerca sottolinea come nel 2025 le istituzioni di ricerca cinesi impiegheranno il doppio di personale in possesso di un dottorato scientifico rispetto agli Stati Uniti.

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Fonte: CRS - Centro per la Riforma dello Stato


Autore: 
Vincenzo Comito

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Articolo tratto interamente da CRS - Centro per la Riforma dello Stato



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