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Il disastro di Balvano è un incidente ferroviario avvenuto il 3 marzo 1944 nella galleria "Delle Armi", nei pressi della stazione di Balvano-Ricigliano, in provincia di Potenza, lungo la ferrovia Battipaglia-Metaponto. Il treno merci 8017, che trasportava abusivamente numerose persone, si fermò all'interno del tunnel e non riuscì a proseguire in quanto troppo pesante per la pendenza della linea. I tentativi falliti di smuovere il mezzo messi in atto dalle due locomotive produssero elevate quantità di gas di scarico tossici che provocarono il decesso di oltre 500 persone.
Secondo i dati forniti dall'allora Consiglio dei ministri, la tragedia provocò 517 morti; secondo altri le vittime sarebbero di più, forse più di 600. Alcuni sopravvissuti, 90 in totale, riportarono danni permanenti. La tragedia, avvenuta poco più di un anno prima della fine della seconda guerra mondiale, venne censurata dalle forze alleate; solo nel dopoguerra furono eseguite indagini più accurate, ma restarono parecchi interrogativi a causa dell'irreperibilità di alcune documentazioni. Il disastro di Balvano è il più grave incidente ferroviario per numero di vittime accaduto in Italia e uno dei più gravi disastri ferroviari della storia[1][2].
Storia
Un mese prima dei fatti, in una galleria sulla tratta Baragiano-Tito, successiva nella direzione verso Potenza a quella in cui avrebbe avuto luogo la tragedia, con pendenze superiori al 22% un treno dell'autorità militare statunitense aveva subito un incidente simile: il personale era rimasto intossicato dai gas di scarico prodotto dal carbone di scarsa qualità. Il macchinista Vincenzo Abbate era svenuto ed era rimasto schiacciato tra la motrice e il tender.[3]
Nel primo pomeriggio della giornata di giovedì 2 marzo 1944 il treno merci 8017 partì da Napoli per Potenza, trainato da una locomotiva E.626, che alla stazione di Salerno venne sostituita da due locomotive a vapore poste in testa al treno per poter percorrere il tratto successivo, che all'epoca non era elettrificato (e sarebbe stato dotato di trazione elettrica solo nel 1994). Il treno arrivò nella stazione di Battipaglia poco dopo le 18:00.
Alle 19:00 il treno 8017 ripartì da Battipaglia in direzione di Potenza. Le due locomotive erano la 476.058[4] e la 480.016, assegnate al deposito di Salerno. Il convoglio era composto da 47 carri merci[5] e aveva la ragguardevole massa di 520 tonnellate.
In origine non erano nemmeno previste due locomotive; la 480.016 fu aggiunta in quanto era necessario spostarla da Battipaglia a Potenza per esigenze di servizio e si volle approfittare del fatto che la doppia trazione avrebbe reso più facile l'attraversamento del difficile valico tra Baragiano e Tito. Come tutte le locomotive a vapore dell'epoca, entrambe avevano la cabina aperta e richiedevano un equipaggio di due persone: un fuochista che alimentava e controllava la caldaia a carbone e un macchinista che si occupava della condotta.
Sul treno salirono centinaia di persone, tra cui molte donne e alcuni ragazzi, provenienti soprattutto dai comuni tra Napoli e Salerno, stremati dalla guerra, che nei paesi di montagna lucani speravano di poter acquistare derrate alimentari in cambio di piccoli oggetti di consumo. Alla stazione di Eboli alcuni di questi passeggeri abusivi vennero fatti scendere, ma alle stazioni successive ne salirono ancora di più, fino ad arrivare a circa 600. Molti avevano acquistato un regolare biglietto valido sulla tratta nonostante il treno fosse composto da soli carri merci.
Verso mezzanotte il treno arrivò alla stazione di Balvano-Ricigliano, dove registrò 37 minuti di ritardo per le procedure di accudienza delle locomotive, per poi ripartire alle 0:50 di venerdì 3 marzo in direzione della stazione successiva, quella di Bella-Muro, a cui sarebbe dovuto giungere circa venti minuti dopo, percorrendo un tratto caratterizzato da forti pendenze e numerose gallerie molto strette e poco aerate, tra le quali la galleria "Delle Armi", lunga 1968 metri e avente una pendenza media del 12,8‰. A causa di una serie di movimenti inconsulti e dello slittamento delle ruote, in quanto la grande pendenza impediva alle locomotive di movimentare agevolmente la grande massa del convoglio, a 800 metri dall'ingresso esso finì per fermarsi e cominciare a procedere in senso contrario.
La galleria presentava già una concentrazione significativa di monossido di carbonio a causa del passaggio, poco prima, di un'altra locomotiva. Gli sforzi delle locomotive svilupparono a loro volta grandi quantità di fumi di scarico contenenti zolfo e monossido di carbonio, che fecero perdere i sensi al personale di macchina. In poco tempo anche la maggioranza dei passeggeri, che in quel momento stava dormendo, venne asfissiata dai gas tossici, che non riuscivano a defluire dalla strettissima galleria.
L'unico membro del personale di bordo che sopravvisse fu Luigi Ronga, il fuochista della locomotiva 480; egli dichiarò che il macchinista suo compagno, Espedito Senatore, prima di svenire aveva tentato di manovrare per uscire dalla galleria all'indietro. Nella seconda macchina, la 476.058, invece, il macchinista Matteo Gigliano e il fuochista Rosario Barbaro interpretarono la retrocessione come una perdita di potenza e aumentarono la spinta. I due equipaggi non poterono comunicare per accordarsi sulla manovra da eseguire prima di essere sopraffatti dalle esalazioni; così le due locomotive agirono in modo opposto: la prima in spinta all'indietro e la seconda in trazione in avanti. Determinante in tale sequenza di eventi fu il fatto che la locomotiva 476 era di costruzione austriaca, quindi con la postazione di guida del macchinista situata sulla destra. A complicare ulteriormente la situazione, quando il treno iniziò a retrocedere, il frenatore del carro di coda, rimasto fuori dalla galleria, siccome il regolamento prevedeva l'attivazione del freno manuale in caso di arretramento, eseguì tale operazione, rendendo quindi del tutto impossibile un ulteriore movimento del mezzo.
Il capostazione di Balvano dette l'allarme solo alle 5:10, più di quattro ore dopo l'inizio degli eventi. I soccorsi arrivarono ancor più tardi e la situazione apparve subito molto grave, al punto da non poter rimuovere il convoglio a causa dei corpi riversi anche sotto le ruote.
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