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Il naufragio della Katër i Radës, noto anche come tragedia di Otranto o tragedia del Venerdì Santo del 1997, è stato un sinistro marittimo avvenuto il 28 marzo 1997 all'omonima motovedetta albanese (in italiano: Quattro in Rada[1]).
La nave, carica di circa 120 profughi in fuga dall'Albania in rivolta, entrò in collisione nel canale d'Otranto con la corvetta Sibilla della Marina Militare italiana, che ne contrastava il tentativo di approdo sulla costa italiana. Nel conseguente affondamento perirono 81 persone di cui si riuscì a recuperare il corpo[2] e, si stima, tra 27[3] e 24 persone mai ritrovate.[2] I superstiti furono 34.[4]
Dopo anni di isolamento forzato e di divieto assoluto di espatrio, con ordini di aprire il fuoco al confine, al crollo del regime socialista in Albania nel 1990 migliaia di albanesi iniziarono a fuggire in Italia e Grecia. Due grandi ondate di persone raggiunsero l'Italia, prima nel marzo e poi nell'agosto 1991. La prima ondata fu innescata dalla diffusione della notizia che l'Italia stava concedendo visti d'ingresso, cosicché migliaia di persone si imbarcarono al porto di Durazzo su natanti di ogni dimensione diretti in Italia, mentre il governo comunista albanese era ancora in piedi. A quel punto, circa 20.000 rifugiati albanesi avevano già raggiunto l'Italia, la maggior parte dei quali sbarcati a Brindisi. Nel gennaio 1997 scoppiò una gravissima crisi in Albania a seguito di un'immensa truffa di marketing piramidale, che portò il paese all'anarchia, caos, deterioramento sociale e nella violenza criminale. Il 2 marzo 1997 avvenne una ribellione con conseguente dichiarazione dello stato di emergenza nazionale e l'imposizione del coprifuoco. L'emigrazione albanese in Italia raggiunse il suo apice nella seconda metà di marzo, quando si verificò una forte pressione sui centri di accoglienza italiani e provocando una forte reazione nell'opinione pubblica italiana.[5] L'Italia concluse allora un accordo bilaterale con l'Albania, affinché la Marina Militare italiana potesse abbordare tutte le navi albanesi ogniqualvolta si fossero imbattute nelle acque internazionali del canale d'Otranto venne così istituita l'operazione Bandiere bianche, che attuò de facto un blocco navale.[6]
La Katër i Radës era stata rubata al porto di Saranda da gruppi criminali che gestivano il traffico di immigrati clandestini.[7] Partì da Valona nel pomeriggio (alle 16:00) del 28 marzo 1997 carica di profughi che cercavano di raggiungere le coste italiane, per fuggire dall'Albania in preda all'anarchia.[8] Sulla piccola imbarcazione, progettata per 9 membri dell'equipaggio,[9] avevano trovato invece posto verosimilmente 142 persone.
Alle 17:15 al largo dell'isola di Sàseno[10] fu avvistata dalla fregata Zeffiro,[11] impegnata nell'operazione Bandiere Bianche, nome in codice con cui era nota l'operazione di blocco navale realizzata per limitare gli sbarchi delle cosiddette carrette del mare provenienti dalle coste albanesi. Nave Zeffiro intimò alla Katër i Radës (inizialmente identificato come un motoscafo con circa 30 civili a bordo) di invertire la rotta, ma la nave albanese proseguì.[1] Quindici minuti più tardi la nave viene presa in consegna dalla corvetta Sibilla, più piccola ed agile, che si occupò di effettuare le manovre di allontanamento, avvicinandosi in cerchi sempre più stretti alla Katër i Radës.[11]
Alle 18:45 avvenne l'urto che fece ribaltare la nave albanese,[9] che alle 19:03 affondò definitivamente.[11] Secondo alcune testimonianze, dopo il ribaltamento della nave albanese, la Sibilia si sarebbe inizialmente allontanata per poi ritornare circa 20 minuti dopo.[10] Vennero subito recuperati i cadaveri di almeno 52 persone,[12][13] mentre il numero totale di vittime venne stimato in 83 passeggeri.[14] I sopravvissuti furono condotti nel porto di Brindisi, dove arrivarono alle 2:45 del mattino seguente; caricati su un autobus, raggiunsero un centro per l'immigrazione per essere identificati.[15]
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Photo credit Holger Uwe Schmitt, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
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