Articolo da Info Cooperazione
Torna a farsi sentire un clima pesante sul mondo non governativo; da qualche giorno è ripartita puntuale la campagna di criminalizzazione della solidarietà e delle operazioni di ricerca e salvataggio nel Mar Mediterraneo, un braccio di ferro che negli ultimi anni è andato avanti sotto traccia specialmente in alcune procure italiane dopo i procedimenti legali aperti tra il 2016 e il 2019 principalmente contro le ONG operanti in mare.
Nulla di nuovo sotto al cielo. Le ONG, responsabili secondo dati ISPI del salvataggio del 12% dei migranti approdati nei porti italiani nel 2022, sono accusate delle peggiori nefandezze, ogni volta diverse, ma tutte riconducibili ad un impianto ideologico ben preciso, come emerge tra l’altro da diverse dichiarazioni alla stampa dei procuratori che si stanno occupando dei processi in corso.
Tra inchieste giudiziarie e fermi amministrativi delle navi, sono stati più di 40 i procedimenti a carico delle organizzazioni non governative. Procedimenti che si sono risolti per ora in una lunga lista di archiviazioni o in altri casi non sono ancora arrivati, dopo cinque anni, alla fase dibattimentale. Il più celebre, quello che si celebra a Trapani a seguito del sequestro della nave tedesca Iuventa, è ancora fermo da più di un anno dalla chiusura delle indagini. Un nulla di fatto fino ad oggi dovuto fondamentalmente alla mancanza di prove e alle tesi fantasiose di PM mossi dall’ostilità nei confronti delle ONG sobillata dalla politica ma che non hanno mai retto nei tribunali.
Andrà così anche per le accuse mosse dai PM nei confronti di tutti gli attivisti di Medici senza Frontiere, Save The Children, Jugend Rettet, Mediterranea, Open Arms e tutte le altre navi delle ONG, perché salvare vite non può mai essere considerato, a diritto vigente, un reato. È un reato invece non soccorrere le persone che rischiano la vita o farlo troppo tardi, crimine di cui più volte l’Italia e Unione Europea si sono macchiate senza che nessuna procura abbia mai aperto un’inchiesta sulle omissioni di soccorso che hanno causato la morte di centinaia di persone nel Mediterraneo centrale in tutti questi anni.
È ormai chiaro che ci troviamo davanti a un approccio diffamatorio nei confronti delle ONG che questo è funzionale ad un disegno politico esplicito: deformare la realtà, confondere rispetto ad altri problemi e polarizzare l’opinione pubblica. Il governo Meloni non si fermerà al primo decreto Piantedosi e al braccio di ferro appena concluso a Catania con le navi Geo Barents, Humanity1 e Ocean Viking. Questo sembra essere solo l’antipasto dell’inverno che ci attende. Il presidente del consiglio lo ha detto chiaramente: “gli italiani ci hanno votato per mettere un freno alle navi umanitarie che scaricano i migranti tutti in Italia e questo intendiamo fare”. La lite con la Francia, così come l’asse del Sud con Cipro, Malta e Grecia, dimostra che il governo si sta muovendo e non sembra interessato a fare passi indietro.
Secondo quanto scrive l’Ansa, infatti, l’esecutivo italiano starebbe preparando una nuova stretta sulle organizzazioni umanitarie. I “nuovi provvedimenti”, che la Meloni ha già annunciato, dovrebbero permettere alle autorità portuali e al Viminale di somministrare multe e disporre sequestri per le imbarcazioni delle Ong.
Organizzazioni che nel frattempo si stanno riorganizzando per tornare in mare alla luce di queste nuove disposizioni. La Geo Barents di Msf, dopo lo sbarco a Catania, sta riprendendo il largo. La Humanity1 farà altrettanto. L’Ocean Viking sta finendo i preparativi a Marsiglia e presto tornerà nel Mediterraneo centrale. A queste si aggiungono la Nadir della tedesca Resq ship, la Open Arms di Oscar Camps e la Sea Watch 5 delle chiese tedesche. Un’intera flotta pronta a sfidare la chiusura dei porti italiani. Senza contare che anche Emergency sta per varare una sua imbarcazione, Life Support, già pronta nel porto di Genova e che in banchina ci sono anche la Sea Watch 3 (bloccata da un fermo amministrativo disposto dalla ministra Lamorgese) e la Mare Jonio di Mediterranea.
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Fonte: Info Cooperazione
Autore: redazione Info Cooperazione
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Articolo tratto interamente da Info Cooperazione
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