Articolo da Transform! Italia
È questo il tempo di mettere in discussione la legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) visti alcuni suoi pesanti limiti?
Lo chiedo perchè mi è capitato di leggere o ascoltare voci in tal senso anche all’interno del mondo femminista.
Poichè ciò mi ha preoccupato provo a spiegare perché io credo che la 194 vada ancora difesa.
La legge 194 vede la luce il 22 maggio 1978. Fino ad allora
l’interruzione volontaria di gravidanza era regolata dal Codice Penale
ed era considerata un reato.
Poco più di un anno prima, precisamente nel gennaio del 1977, l’UDI (Unione Donne Italiane) pubblicò Sesso amaro,
libro nel quale vennero raccolte le testimonianze di oltre trentamila
donne su maternità, sessualità, aborto. La sua lettura (che mi permetto
di consigliare anche oggi) consentì di conoscere e capire quanto la vita
delle donne fosse segnata da prevaricazioni, ignoranza, solitudine e
sofferenza. E di comprendere quindi quanto fosse necessaria una legge
sull’interruzione volontaria della gravidanza.
Con Sesso amaro l’aborto, fino ad allora pratica clandestina
vissuta in solitudine e rischiosa per la salute (numerose furono le
donne che persero la vita) divenne argomento non solo di discussione sui
media ma sopratutto di mobilitazione e di lotta.
Il discorso sulla scelta o meno di essere madri il movimento
femminista lo aveva posto ancor prima dell’uscita del libro e lo aveva
posto come problema politico su cui discutere collettivamente per
sfidare il sistema patriarcale.
Questo positivo e generalizzato fermento, dentro un clima sociale e
politico favorevole al conflitto di classe e di genere, fece sì che il
movimento delle donne riuscisse a favorire un’utile convergenza fra
differenti esperienze femministe e femminili divenendo protagonista di
imponenti mobilitazioni per pretendere che l’IVG non fosse più
considerata reato e che le donne potessero accedervi liberamente e in
sicurezza, scegliendo se essere madri oppure no.
La legge 194 fu il frutto di tali lotte.
Essa fu certamente una legge di compromesso, come denunciarono diverse
realtà femministe, ma al contempo quanto di meglio si potesse ottenere
in un Paese segnato dall’iniziativa politica delle gerarchie vaticane e
delle forze politiche che a queste si rifacevano, che avevano in odio
(allora come oggi) la libertà delle donne di avere, sul proprio corpo,
la prima e l’ultima parola.
In particolare sono due gli articoli della legge che danno conto di tale
compromesso, e cioè l’articolo 2 che consente ai consultori di
avvalersi della “collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali
di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la
maternità difficile dopo la nascita”, quindi anche di associazioni
anti-abortiste, e l’articolo 9 che permette l’obiezione di coscienza,
cioè la possibilità per il personale sanitario di non praticare aborti
in ragione di scelte individuali sul piano morale.
Senza alcun dubbio due articoli negativi e insidiosi, benché la legge
italiana sull’IVG resti, ancora oggi, fra le più avanzate non solo in
Europa.
La legge, nonostante le limitazioni e le ambiguità, ha dato comunque buoni risultati.
Come è scritto nell’ultima relazione al Parlamento sulla 194 del
Ministero della salute, nel 2020 si è confermato il continuo andamento
in diminuzione del fenomeno (-9,3% rispetto al 2019) a partire dal 1983.
“Il tasso di abortività (numero di IVG rispetto a 1.000 donne di età
15-49 anni residenti in Italia), che è l’indicatore più accurato per una
corretta valutazione del ricorso all’IVG, conferma il trend in
diminuzione del fenomeno: 5,4 per 1.000 nel 2020 con una riduzione del
6,7% rispetto al 2019″.
Certo l’obiezione di coscienza è andata aumentando in modo esponenziale.
Lo riconosce anche il Ministero quando sottolinea che nel 2020 il
fenomeno ha riguardato il 64,6% dei ginecologi (valore in diminuzione
rispetto al 67,0% del 2019), il 44,6% degli anestesisti e il 36,2% del
personale non medico”.
L’Associazione “Luca Coscioni” ha recentemente denunciato che nel
nostro Paese ci sono ben 31 strutture con il 100% di obiettori di
coscienza tra ginecologi, anestesisti, infermieri e assistenti sanitari
ausiliari.
Come ho già avuto modo di scrivere anche su queste pagine,
l’ampiezza del ricorso all’obiezione di coscienza ha ormai raggiunto
l’insopportabile media del 70%, fino a toccare in alcune regioni, per
esempio il Molise, punte del 90%.
Fatto questo che favorisce il ricorso agli aborti clandestini. È lo
stesso Ministero della Salute a riconoscere questa pericolosa tendenza
approssimando che ogni anno sono fra le 10mila e le 13mila donne che
abortiscono in clandestinità.
Il ritorno alla clandestinità è un dato che desta preoccupazione prima
di tutto per la salute delle donne che sono costrette a ricorrervi e
rende evidente quanto siano pesanti le ricadute dell’obiezione di
coscienza sulla salute delle donne stesse.
Anche la possibilità data alle associazioni anti-abortiste di entrare
nei consultori o nelle strutture sanitarie ha prodotto effetti negativi,
specie nelle Regioni governate dalla destra.
La giunta regionale del Piemonte, tanto per fare un esempio, avrebbe addirittura trovato modo di finanziare con denaro pubblico queste associazioni grazie alla creazione di un albo regionale ad hoc. La rete femminista “Più di 194 voci” si sta opponendo a questa scelta così come ha fatto anche in altre occasioni sventando per il momento, ulteriori attacchi alla 194.
Se la situazione è questa, da dove nasce la mia contrarietà alla messa in discussione della legge 194?
Prima di tutto nasce dal fatto che di fronte alla vittoria elettorale
della destra e alla composizione del governo che ne è conseguita,
mettere in discussione la legge potrebbe offrire il fianco ed aprire un
ulteriore varco al suo smantellamento.
In secondo luogo credo che la forza materiale del movimento
femminista e, più in generale, dei movimenti che si oppongono
all’egemonia della destra, non sia tale da consentire la possibilità di
ottenere una legge migliore.
Sul piano politico istituzionale, inoltre, la situazione è molto diversa
da quella di quarant’anni fa, quando esistevano “cinghie di
trasmissione” fra la società e la rappresentanza politica, specie a
sinistra. Oggi il discredito verso le forze politiche è ai massimi
livelli anche a causa della loro quasi totale incapacità di essere in
sintonia con i problemi reali delle persone.
Ma c’è un ulteriore aspetto che, a mio avviso, dovrebbe indurre alla prudenza.
È vero che, grazie all’onda lunga del femminismo, le nuove generazioni
di donne sono più consapevoli dei loro diritti e più decise a voler
autodeterminare la propria vita.
Ma l’autodeterminazione dipende da molti fattori quali le condizioni
materiali, la provenienza, la conoscenza della lingua, il sapere e
l’essere informate, l’esigibilità dei diritti alla salute,
all’istruzione, al lavoro, alla casa. Ed anche dall’esistenza di alcune
leggi, seppur perfettibili, come la 194.
Fonte: Transform! Italia
Autore: Nicoletta Pirotta
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