Articolo da Psiconarrativa
Avete mai avvertito quella spinta verso il cambiamento, per poi sentirvi dire che, in fondo, nulla muta veramente? Bene, è sorprendente pensare a quanto questa percezione sia distante dalla realtà. Se solo ci fermiamo un momento a riflettere sull’evoluzione del nostro pianeta, sulla diversità di animali e piante, e sull’adattamento continuo dell’essere umano, ci rendiamo conto di quanto il cambiamento faccia intrinsecamente parte di noi; è da stolti pensare di essere al di fuori di questo flusso evolutivo.
Il mito della Caverna di Platone
Per comprendere questa visione, lasciamoci in primis ispirare dall’allegoria della Caverna narrata nel VII libro della Repubblica di Platone. In questo mito, il filosofo greco, descrive un gruppo di persone che vivono incatenate in una caverna da quando sono nate, tutte con lo sguardo rivolto verso una parete interna. Alle loro spalle, la luce di un fuoco danza e gioca con la realtà. Tra questa fonte di luce e i prigionieri si estende un cammino rialzato, teatro di un incessante viavai di figure che, con oggetti di varia natura, proiettano ombre sulla parete davanti agli occhi incantati dei prigionieri che non hanno nemmeno la possibilità di ruotare la testa. Per questi ultimi, che non hanno mai avuto la possibilità di esplorare il mondo esterno, quelle ombre rappresentano l’unica realtà conosciuta.
Accade però, che uno dei prigionieri riesce a liberarsi dalle catene e uscire dalla caverna. Dopo un doloroso adattamento alla luce, scopre il mondo esterno e si rende conto che le ombre non sono la realtà ma solo una sua copia. Rientrando nella caverna per liberare i compagni, si scontra con la loro resistenza a credere alla sua scoperta che si trasforma in una doppia metafora: quella degli ostacoli interiori che affrontiamo nel viaggio verso l’auto-consapevolezza, ma anche ostacoli come una muraglia di dubbi e barriere collettive che affrontiamo nel tentativo di introdurre cambiamenti e nuove prospettive in un ambiente resistente all’idea stessa del cambiamento.
L’inconscio collettivo nel mito della Caverna
Qui che riusciamo a introdurre il concetto di “inconscio collettivo” di Carl Gustav Jung: un insieme di conoscenze e immagini condivise da tutta l’umanità, una sorta di deposito di esperienze ancestrali. Questo concetto ci aiuta a comprendere come certe idee e resistenze si radicano profondamente nelle culture e nelle società, influenzando inconsciamente il comportamento e le reazioni collettive.
Prendiamo come esempio un argomento attuale e molto dibattuto, soprattutto in Italia. Immaginate di passeggiare attraverso i secoli della storia umana, dove il concetto di benessere mentale ha attraversato trasformazioni radicali, da oscure superstizioni a una scienza dedicata alla comprensione profonda della psiche umana. Nel nostro viaggio, incontriamo un’idea radicata nell’inconscio collettivo: quella che solo gli individui “pazzi” o “fuori di testa” ricorrano alla consulenza psicologica. Eppure, se ci fermiamo un momento a riflettere sulla vastità dell’esperienza umana, ci rendiamo conto di quanto questa percezione sia limitante, se non addirittura errata.
Prendiamo, per esempio, l’adolescenza, quel periodo tumultuoso in cui il corpo si trasforma, passando dall’infanzia all’età adulta. È un’era di cambiamenti non solo fisici ma anche emotivi e psicologici, dove ogni giovane si trova a navigare le acque tempestose dell’identità, dell’appartenenza e della scoperta di sé. In questo contesto, la guida di un professionista della salute mentale non è solo utile, ma può essere fondamentale per attraversare con successo queste acque.
E che dire delle perdite e dei lutti che, prima o poi, toccano ogni vita? Siano essi la perdita di una persona cara, la fine di una relazione significativa o il cambiamento drastico delle circostanze della vita, questi eventi possono lasciare cicatrici profonde, a volte invisibili, che richiedono cura e comprensione per guarire.
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Fonte: Psiconarrativa
Autore: Giulia Averaimo
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Articolo tratto interamente da Psiconarrativa
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