martedì 7 aprile 2020

Un vuoto che resta



Articolo da Popoffquotidiano

Nei giorni scorsi, Isaia Invernizzi ha pubblicato i terrificanti dati relativi ai decessi da Covid-19 nella provincia di Bergamo. Da quel che si evince, i morti al 1° aprile superavano quota 4500: sono più del doppio delle cifre ufficiali, relative ai decessi avvenuti negli ospedali bergamaschi di pazienti a cui era stato applicato un tampone. Le cifre confermano quello che la cittadinanza locale aveva compreso osservando dalla finestra l’impressionante quantità di ambulanze di passaggio e i numerosi paramenti funebri appesi qua e là, sui cancelli e portoni. In alcuni piccoli comuni della Valle Seriana e della Valle Brembana i decessi, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, vedono una crescita prossima al 2000%. Si calcola che il virus abbia portato via l’1,45% degli ultrasessantacinquenni della provincia, percentuale non distribuita equamente, in primo luogo perché i decessi non sono diffusi in ugual misura su tutto il territorio, in secondo luogo perché in diverse località la curva demografica evidenzia maggiore concentrazione di anziani.

Se la curva dei contagi pare ora avere iniziato a rallentare, saranno senz'altro centinaia le persone che si aggiungeranno nelle prossime settimane a questo drammatico conteggio, in una situazione dove, peraltro, i parenti non possono seppellire i loro morti. Quando la vita riprenderà, le comunità in questione dovranno necessariamente metabolizzare l’accaduto, pensando i tempi e gli spazi in cui si possa dare al lutto una forma comunitaria e collettiva. Anche perché, spesso, quella generazione aveva una funzione nella vita culturale, economica e sociale delle loro comunità.

In questo senso, credo sia importante riflettere sui vuoti lasciati dalla decimazione degli anziani, sia a livello pubblico che privato. Prima di tutto, queste persone hanno rappresentato negli ultimi anni un punto di riferimento per numerose famiglie. Si tratta spesso di pensionate e pensionati, con una casa di proprietà, non necessariamente ricchi, ma quasi sempre abbastanza solidi da poter aiutare i figli, come accadde per esempio negli anni della crisi 2007/08. Si sono occupati e si occupano massicciamente dei nipoti, in un contesto che, per l’assistenza alla prima infanzia, conta molto sul “welfare familiare”, e cioè sulla disponibilità delle nonne e dei nonni nell'accudimento dei nipoti quando i genitori lavorano, o riposano.

Insieme, però, gli ultrasessantacinquenni costituiscono in molte comunità uno dei motori su cui poggia gran parte del mondo associativo e del volontariato. Sono volontari molti operatori dei patronati INCA-CGIL, spesso più fedeli a un modello di sindacato militante, distante dal sindacalismo dei funzionari in via di estensione. Volontari sono spesso anche i segretari e i presidenti delle associazioni che si occupano di animazione nei quartieri e nei comuni, quelli che reggono le feste popolari diffuse nei periodi estivi, generalmente organizzate allo scopo di raccogliere fondi per le realtà associative di riferimento, che vanno dagli oratori, alle associazioni degli alpini, all’AVIS, alla UILDM.

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Autore: Paolo Barcella

Licenza: Creative Commons (non specificata la versione


Articolo tratto interamente da Popoffquotidiano


4 commenti:

  1. La maggior parte di quelle morti si sarebbe evitata, se non avessero sacrificato quelle vite al dio denaro.

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  2. Il dolore di aver perso loro non deve farci dimenticare i loro insegnamenti. Loro continueranno a vivere per questo. Il loro patrimonio, l'educazione, l'esempio e nostra futura esperienza avrà valore comunque e saranno nostri per sempre. La memoria non morirà. Dobbiamo solo prendere tutto e farlo fruttare al meglio. Perché se lo meritano. Il vuoto infine sarà riempito. Ciao Vincenzo e grazie.

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