
Articolo da Valori
Le fabbriche sono più sicure, ma lo sfruttamento continua. A 12 anni dal Rana Plaza, le lavoratrici chiedono giustizia
Sono passati 12 anni dal crollo del Rana Plaza a Dacca. L’edificio che ospitava cinque fabbriche tessili in cui persero la vita almeno 1.138 lavoratrici mentre almeno duemila rimasero ferite, la metà gravemente e oggi disabili. Tutte le fabbriche lavoravano per i grandi marchi internazionali della moda. Trenta di questi sono stati identificati grazie alla ricostruzione manuale delle filiere ad opera di attivisti e giornalisti che frugarono letteralmente sotto le macerie. Brand molto noti, fra cui diversi italiani. Che sotto la pressione crescente di una straordinaria campagna pubblica, alla fine siglarono un globale vincolante per mettere in sicurezza le migliaia di fabbriche che nei decenni delle delocalizzazioni selvagge erano nate per servire i mercati internazionali.
Rana Plaza: più sicurezza strutturale nelle fabbriche, ma non basta
Il bilancio di questa immane tragedia a così lunga distanza varia a seconda dell’angolo di osservazione. Se parliamo di sicurezza, possiamo senza dubbio affermare che molto è cambiato per le lavoratrici che operano nelle fabbriche sottoposte al programma di riqualificazione degli edifici e prevenzione degli incendi previsto dall’accordo. Oggi quel protocollo, che ha messo in sicurezza più di 1.600 fabbriche che occupano circa due milioni di lavoratori, è stato replicato in Pakistan. E presto approderà in altri Paesi tra quelli più a rischio.
Ciò è dovuto alla natura internazionale dell’Accordo firmato oggi da più di 260 marchi e giunto al suo quarto rinnovo nel 2023. Un programma basato su governance paritaria tra imprese e sindacati, qualità e indipendenza delle ispezioni, un sistema bilanciato di incentivi e sanzioni, formazione alla sicurezza e meccanismi di reclamo sicuri che proteggono chi denuncia non conformità. Ma nonostante la sua efficacia, ci sono ancora molte aziende leader mondiali che non lo sottoscrivono. Come Ikea, Amazon e Wrangler cui infatti è rivolta una petizione internazionale. Per questo la mobilitazione continua.
Giustizia a metà per le vittime del Rana Plaza
Sul versante della giustizia le cose stanno diversamente. Il secondo grande risultato della campagna di pressione pubblica post crollo è stata la definizione di uno schema per il risarcimento delle vittime secondo la Convenzione ILO 121 che regola gli infortuni sul lavoro. Il Rana Plaza Arrangement ha segnato un punto di svolta perché per la prima volta i marchi (purtroppo solo quelli aderenti) hanno contribuito a un fondo che riconosceva alle sopravvissute e alle famiglie dei deceduti coperture finanziarie per il mancato reddito e le cure mediche. Non è invece mai stato riconosciuto il risarcimento per danni morali e psicologici. Per i quali sarebbe stato necessario avere norme internazionali che stabiliscono la corresponsabilità dei marchi per ciò che accade nella loro filiera. Oltre a un profilo di responsabilità civile in caso di danni derivanti dall’omissione di vigilanza e prevenzione.
Anche a seguito del Rana Plaza e non casualmente il 24 aprile del 2024, il Parlamento europeo ha approvato la direttiva sulla due diligence. Che impone alle imprese, di certe dimensioni, obblighi di vigilanza in materia di diritti umani e ambientali e sanzioni, in caso di omissioni. Quella direttiva però, ancor prima di entrare in vigore, è già sotto attacco da parte della nuova Commissione grazie al suo pacchetto semplificazioni, il cosiddetto Omnibus che, se attuato, vanificherà la portata trasformativa di questa legge per certi versi rivoluzionaria.
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Fonte: Valori
Autore: Deborah Lucchetti
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Articolo tratto interamente da Valori







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