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giovedì 1 maggio 2025

Un lavoro sempre più precario



Articolo da Volere la luna

Forse a Giorgia Meloni non è venuto in mente, o forse è vero che neanche a un governo di estrema destra conviene strafare, i diritti vanno sì cancellati, ma uno alla volta e i valori affogati senza fretta. Così, il lutto nazionale deciso da Palazzo Chigi per la morte di papa Francesco è durato “solo” 5 giorni, sufficienti a (tentare di) silenziare il 25 Aprile e la lotta partigiana contro il nazi-fascismo. Per (tentare di) silenziare anche il 1° maggio ci sarebbero voluti 11 giorni di lutto nazionale, decisamente troppi, difficilmente giustificabili con le menzogne. E dire che ne sarebbe valsa la pena, dal punto di vista dei nemici dei lavoratori: Papa Bergoglio era colui che, disinteressato al fatto che i suoi strani ospiti profumassero d’acqua santa o di comunismo, aveva ricevuto in sala Nervi cinquemila delegati e dirigenti della Cgil e li aveva spronati con le parole poco sobrie “Fate rumore”. Era colui che predicava contro “l’idolatria del denaro”, che difendeva, e ammoniva, le organizzazioni sindacali e benediceva le lotte per la dignità, «Non c’è sindacato senza lavoratori, non ci sono lavoratori liberi senza sindacato». E rispetto a un tema centrale in questo 1° maggio, la sicurezza nel lavoro e la lotta contro l’orrore capitalistico delle morti e degli infortuni, non usava mezze parole per indicarne le cause: «Il lavoro precario uccide. Uccide la dignità, uccide il futuro, uccide la speranza. È inaccettabile che ci siano lavoratori poveri, persone che, pur lavorando, non riescono a vivere con dignità. Questo – è sempre Francesco a parlare – è sfruttamento, non è economia».

Quest’anno per i lavoratori sarà un 1° maggio difficile, pieno di domande più che di risposte. Un 1° maggio segnato dalla crisi di un modello di sviluppo che non sa più nascondere il suo fallimento sul versante sociale, ambientale, economico. Il neoliberismo, basato sulla libertà assoluta dei capitali a detrimento della libertà delle persone, ha portato alle estreme conseguenze le diseguaglianze sociali con l’accaparramento della ricchezza e delle risorse in poche mani e l’esplosione globale delle povertà, ma va oggi a sbattere con i nazionalismi e i nuovi protezionismi – cioè con il capitalismo di un’epoca antica. Il capitalismo non è compatibile con la democrazia, la competizione estrema ha come esito finale la guerra. La politica, al servizio del capitale, ha perso la sua funzione e accompagna, subalterna, la barbarie. A chi chiede un cambiamento di paradigma mettendo al centro la difesa dell’ambiente e la dignità dei lavoratori e dei cittadini, la risposta dominante è inquietante: per fermare la crisi bisogna metter via la riconversione ambientale per riprendere a correre, pazienza se verso il burrone. Non basta: se le automobili si vendono sempre meno vorrà dire che produrremo carri armati, missili e bombe perché la guerra tira più della pace. La Germania, come nel secolo scorso, fa da apripista e l’Italia, come nel secolo scorso, tenta di agganciarsi al carro(armato) del presunto vincitore. Non è forse l’industria bellica, oggi in Italia, l’unico settore manifatturiero di rilievo che tira? Iveco non si allea forse a Leonardo, dagli autocarri alle autoblindo? Corvette e motovedette non sono forse nei piani industriali di Fincantieri?

Parigi val bene una messa? Detto senza fraintendimenti, per difendere il lavoro nella crisi si può cavalcare un missile con i cavalli vapore alimentati da energia fossile? La Fiom e la Cgil sono tra i pochi sindacati europei a rispondere no, la mitica Ig-Metal sembra meno categorica, più attratta dalle considerazioni di Enrico IV che per giungere al trono si fece cattolico abiurando la fede ugonotta.

La precarizzazione del lavoro si regge sul parallelo scatenarsi della guerra tra poveri: i penultimi contro gli ultimi, i bianchi contro i neri, i nativi contro i migranti, i maschi contro le femmine, i giovani contro gli anziani, i lavoratori di un paese contro quelli di un altro paese, di uno stabilimento contro quelli di un altro stabilimento. Dentro una competizione criminale a cui sono spinti, a volte i lavoratori rispondono con dignità e solidarietà, persino con un ritrovato internazionalismo, a volte soccombono perché sono soli, la politica si è liquefatta non prima di averli silenziati. E qui le categorie di destra e sinistra, ahinoi, aiutano sempre meno a orientarsi.

L’Osservatorio di Bologna sui morti del lavoro certifica che nel 2024 hanno perso la vita lavorando o in itinere 1.424 uomini, donne, migranti e nel primo bimestre di quest’anno il numero dei decessi è aumentato del 16%. Precarietà, ricatti, povertà costringono le persone ad accettare livelli inediti negli ultimi cinquant’anni di sfruttamento e di rischio, con un revisionismo legislativo che cancellando le conquiste degli anni Sessanta e Settanta regala ai padroni libertà assoluta di sfruttare, precarizzare, licenziare e immunità alle grandi aziende che fanno profitti su appalti e subappalti dove i diritti dei lavoratori semplicemente non esistono, ed è lungo la filiera che muoiono. Ma se muoiono o si infortunano, pace all’anima loro, la grande azienda è salva perché è deresponsabilizzata per legge.

La vittoria dei sì ai referendum dell’8 e 9 giugno è tanto importante quanto difficile in un contesto postdemocratico in cui la rottura tra società e politica produce sfiducia, disaffezione e anche rabbia sterile in assenza di interlocutori e sponde nella politica. Raggiungere un quorum più alto della percentuale di votanti a elezioni politiche e amministrative rappresenterebbe un cambiamento secco di paradigma, un’inversione di tendenza. A spiegarne l’importanza corre in aiuto una notizia arrivata fresca fresca dalla Florida. Il paragone tra le due sponde dell’Atlantico non sorprenda: sono anni che in Italia è in atto l’americanizzazione delle relazioni umane e sociali, spinta da leggi che inseguono lo spirito del tempo. Il Senato della Florida discute due proposte di legge volte ad abbassare da 14 a 13 anni l’età lavorativa, al fine di «ridurre le barriere che impediscono agli adolescenti di impararsi un mestiere e prepararsi alla vita». A questi adolescenti sarebbe “consentito” di lavorare per più di otto ore in mansioni usuranti e turni notturni. Già oggi in Florida sono 80 mila i minori al lavoro in violazione delle leggi esistenti, mentre l’abbandono scolastico è al 20%, il 40% in alcune contee. A monte, la crescente difficoltà delle imprese a trovare braccia a causa delle politiche anti-immigrazione: i migranti sono espulsi ammanettati e richiusi in gabbie in paesi compiacenti come il Salvador e chi fa lavorare gli irregolari è punito con multe di 1.000 dollari al giorno. Dunque, meglio arruolare i tredicenni. Lo dicono sfacciatamente i sostenitori delle due proposte di legge: l’assunzione di poco più che bambini «è parte di un processo per riempire il vuoto lasciato dall’espulsione di migranti irregolari».

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Fonte: Volere la luna

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Articolo tratto interamente da Volere la luna


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