Articolo da Popoffquotidiano
Rapporti choc di Ocse, Fondazione Ambrosetti e Fondazione Di Vittorio. La profittabilità delle imprese italiane è tra le più alte d’Europa, i salari sempre più bassi e per ogni posto vacante ci sono dieci disoccupati
I bassi salari in Italia non sono giustificati da una minor profittabilità delle imprese.
Ho copiato pari-pari questo leed da un report – il Global Attractivenes Index – della Fondazione Ambrosetti, il salotto buono della borghesia italiana che a Cernobbio, la scorsa settimana, ha tenuto la propria kermesse annuale per fare il punto con gli esecutori politici dei programmi liberisti. Il mainstream ha dato grande enfasi al faccia a faccia dei grandi leader ma perlopiù non ha dato troppo risalto, tranne La Stampa nelle pagine dell’economia, a questo rapporto che smentisce le fake più trite di imprenditori italiani stressati da fisco e costo del lavoro.
Salari sempre più bassi, profitti sempre più alti
A parità di potere d’acquisto, continuo a copiare, i salari italiani sono equiparabili solo a quelli spagnoli mentre risultano inferiori di 8181 euro rispetto a quelli francesi, di 15mila 226 euro rispetto a quelli tedeschi e ammontano al 55,4% di quelli Usa. Solo il Messico, tra i paesi OECD, ha una performance peggiore dell’Italia dove i salari in trent’anni sono cresciuti appena del 3,4%, la metà di quanto sono cresciuti in Spagna, un decimo di quanto sono aumentati in Germania e un undicesimo rispetto alla media Ue e al dato della Francia. Tutto questo lo avevamo appreso leggendo i dati Eurostat. Non sapevamo, invece, e riprendo a copiare che la remunerazione del capitale nelle imprese italiane è più alta: 42,1%, mezzo punto sopra la media UE, +3,2% rispetto alla Germania e +7,8 rispetto alla Francia. Le “nostre” imprese spendono meno per la remunerazione del lavoro. Qui i salari incidono per il 18,6% sui costi di produzione, mentre in Francia il lavoro costa il 26,8%, in Germania 25,7% e in Spagna 24,9%. Anche i padroni, anzi i ricercatori per conto dei padroni, comprendono che la mancata crescita dei salari crea delle conseguenze: consumi stagnanti, distorsioni del mercato del lavoro, disuguaglianze. La raccomandazione è che per crescere in termini di Pil, l’Italia non dovrebbe trascurare la dinamica dei consumi che, tra il 2000 e il 2019, sono restati sostanzialmente stabili. E, ultima copiatura, ai bassi salari si aggiunge l’inflazione che grava in modo asimmetrico sulla popolazione colpendo più duramente le famiglie più povere. Da luglio del 2021 il reddito disponibile per spese out-of-pocket delle famiglie meno abbienti è crollato del 16,2%.
Se da un lato il salotto buono della borghesia chiede di intervenire sui salari, la cabina di comando, la Bce ha fatto la scelta opposta alzando il costo del denaro sebbene l’inflazione non sia causata da un’ondata di aumenti salariali ma dalla speculazione sull’energia e dalla guerra.
Invece di imporre regole alla speculazione finanziaria la Bce ha deciso di far pagare il conto della guerra ai popoli.
«L’evidenza scientifica mostra che in generale i banchieri centrali non sono in grado di governare l’inflazione – ha spiegato l’economista Emiliano Brancaccio su Radio Uno – quando il banchiere centrale aumenta i tassi la sua priorità è un’altra: compensare i creditori delle perdite subite a causa dell’inflazione. E’ una specie di ‘scala mobile’ per i capitalisti: loro ce l’hanno, i lavoratori no. I meccanismi per contenere l’inflazione sono altri. A partire dalla questione della guerra. Finché c’è la guerra, le tendenze al rialzo dei costi e dei prezzi perdurano”.
Un trentennio di politiche bipartisan di contrazione salariale è stato condito da leggi bipartisan che hanno reso il lavoro più precario, miliardi di incentivi non sono mai diventati gli investimenti promessi anche grazie a un’azione sindacale palesemente inadeguata se non proprio complice.
In Italia i salari scenderanno più che altrove
La galleria fotografica di un Paese in declino si arricchisce in queste ore di altri due rapporti.
Il primo è un rapporto OCSE sull’occupazione, presentato ieri 9 settembre a Parigi, che lancia l’allarme nelle proiezioni contenute nelle Prospettive dell’Occupazione Ocse 2022: «I salari reali scenderanno del 3% in Italia nel corso del 2022, contro una media Ocse del 2,3%… Nonostante l’aumento della tensione nel mercato del lavoro, la crescita salariale nominale rimane debole in Italia. Nel secondo trimestre 2022, la crescita annua dei salari orari negoziati è rimasta intorno all’1%, mentre l’inflazione ha raggiunto il 6,9% (contro una media Ocse del 9,7%)», si legge nella scheda dedicata all’Italia.
«In Italia – precisa ancora l’Ocse – l’incidenza di posti di lavoro vacanti ha raggiunto livelli record nella seconda metà del 2021, per stabilizzarsi intorno a 1,9 nel primo trimestre 2022. L’aumento del tasso è stato particolarmente forte nei servizi di alloggio e di ristorazione, dove ha raggiunto il 3% all’inizio del 2022». Questi posti sarebbero circa 430mila, dato pure in leggero aumento se non fosse che i disoccupati reali, stimati dalla fondazione di Vittorio nel terzo rapporto consultato per questo pezzo, sono circa 4 milioni e 300.000.
Fonte: Popoffquotidiano
Autore: Checchino Antonini
Licenza: Creative Commons (non specificata la versione)
Grazie per portare questo tema, scandaloso come i governi non abbiano mai fatto un intervento serio.
RispondiEliminaAnzi, hanno peggiorato la situazione.
Elimina