mercoledì 21 settembre 2022

Violazioni dello Stato di diritto



Articolo da Associazione Diritti e Frontiere – ADIF

1. Nelle ultime settimane si sono registrati diversi casi di abbandono in mare da parte degli Stati e delle autorità marittime competenti a svolgere attività di ricerca e salvataggio nelle acque del Mediterraneo centrale. In assenza di mezzi statali e con le navi delle ONG impegnate a raggiungere porti di destinazione molto lontani dai luoghi nei quali avevano effettuato i soccorsi, non si è riusciti ad intervenire in tempo per sottrarre alla morte per fame e per sete donne e bambini. Abbiamo così avuto diversi casi di soccorsi affidati dalle autorità marittime italiane e maltesi a navi commerciali, dopo giorni e giorni di attesa, e a seguito di questi soccorsi si sono contate altre vittime innocenti, persone che si sarebbero forse salvate se i soccorsi fossero stati più tempestivi.

Come riferisce il giornale L’Avvenire, agli inizi di settembre, una bimba siriana di 4 anni è morta, dopo giorni in attesa dei soccorsi, sul barcone in zona SAR maltese. Era stata evacuata dall’imbarcazione in cui si trovava., con a bordo 60 migranti, che da diversi giorni chiedevano soccorso dalla zona Sar di Malta, Ma nessuna autorità marittima ha risposto. Secondo Alarm Phone Malta ha rifiutato di autorizzare il mercantile Sti Solace, che si trovava nell’area, di soccorrerli. La bambina, ha spiegato la stessa organizzazione, era stata presa a bordo di un elicottero dal mercantile che aveva poi soccorso i migranti ,ma è spirata prima di arrivare in ospedale.

Le rotte dal Mediterraneo orientale sono più lunghe di quelle dalla Libia, i mezzi utilizzati sono generalmente più grandi, ma il numero delle vittime continua ad aumentare, come si sta verificando anche sulle rotte dalla Libia e dalla Tunisia. Tutte queste rotte attraversano infatti una zona SAR, quella maltese, che non è presidiata con mezzi di soccorso adeguati rispetto all’estensione della zona di mare che vi corrisponde, ed i barconi carichi di migranti si trovano spesso abbandonati anche dalle centrali di coordinamento dei singoli Stati (MRCC), che al di fuori delle rispettive acque territoriali ( 12 miglia dalla costa) si rimbalzano la competenza degli eventi SAR o negano che ricorrano situazioni di distress, tali da imporre interventi immediati in acque internazionali a salvaguardia della vita umana.

Ancora SOS Mediterraneé ha comunicato che “Tra il 25 e il 27 agosto, la Ocean Viking ha salvato 466 persone da dieci imbarcazioni in difficoltà. Due sono state trovate in acque internazionali al largo delle coste libiche, mentre le altre otto sono state trovate nella regione maltese di ricerca e soccorso. Quattro delle imbarcazioni in difficoltà, precarie e stracariche, sono state individuate con il binocolo dal ponte della Ocean Viking. Le segnalazioni di soccorso delle altre sei imbarcazioni sono state trasmesse da ONG civili come Alarm Phone, dagli aerei delle ONG Pilotes Volontaires e Sea-Watch, nonché dalle imbarcazioni a vela delle ONG Open Arms e Resqship.  Nessuno dei salvataggi è stato coordinato dalle autorità marittime. Tra i sopravvissuti ci sono diverse donne incinte e 81 minori, la maggior parte dei quali non accompagnati. A causa di un prolungato periodo di stallo prima della designazione di un luogo di sicurezza, tre donne incinte hanno dovuto essere evacuate d’urgenza con i loro parenti in due diverse operazioni, una tramite una motovedetta della Guardia Costiera italiana e la seconda tramite un elicottero della Guardia Costiera italiana“. In diversi casi, i naufraghi prima di essere trasbordati a bordo delle navi delle ONG o della Guardia costiera, in assenza di altri mezzi di soccorso, erano stati assistiti da navi commerciali in navigazioni sulle rotte del Mediterraneo. come si era verificato con i siriani partiti il 30 agosto dalla Turchia , presi a bordo dal mercantile Arizona 10 giorni dopo e poi trasbordati sulla motovedetta della guardia costiera. italiana che li sbarcava a Pozzallo il 12 settembre. In questo caso le attività di soccorso si erano svolte in piena zona di ricerca e salvataggio (SAR) maltese.

Secondo quanto comunicato dall’agenzia DIRE il 12 settembre scorso, ventotto persone sono sbarcate da una nave della Guardia Costiera italiana a Pozzallo ed hanno raccontato una terribile odissea nella quale hanno perso alcuni compagni di viaggio.. “L’Unhcr denuncia che sei siriani sono tragicamente deceduti durante il viaggio disperato in mare per cercare sicurezza in Europa. Tra le vittime ci sarebbero due bambini di uno e due anni, un dodicenne e tre adulti, tra cui la nonna e la madre di bambini sopravvissuti. Si pensa che siano morti di fame e di sete. Molte delle persone sbarcate presentano anche condizioni estremamente gravi, tra cui ustioni.” Nel caso di questo soccorso, completato dalla Guardia costiera italiana, la lunga attesa in mare, dopo le prime richieste di aiuto, ha anche aggravato la condizione dei sopravvissuti, persone che si erano messe in navigazione sulla rotta orientale, partendo dalla Turchia e dal Libano, dopo essere fuggite dalla Siria e dall’Afghanistan, dimenticato da tutti. Persone perdute in mare, vittime del cinismo e della indifferenza, come tante altre annegate o respinte, che, dopo gli abusi sofferti in Libia, erano riuscite ad imbarcarsi sulla rotta del Mediterraneo centrale, portandosi addosso ferite profonde e gravi ustioni sul corpi.

Se i maltesi arrivano in ritardo o non si muovono affatto, accettando soltanto qualche evacuazione medica (MEDEVAC), la Guardia costiera libica intercetta e deporta, non soccorre., al massimo recupera cadaveri. Secondo quanto comunicato da SOS Mediterraneé e dalla Organizzazione internazionale delle migrazioni (OIM), il 27 agosto scorso un’imbarcazione si è rovesciata al largo delle coste libiche, causando la morte di 21 persone, secondo quanto riferito dai sei sopravvissuti al naufragio, intercettati dalle autorità libiche. Due corpi sono stati recuperati e altri 19 risultano dispersi e presumibilmente morti. 

.I maltesi sostengono di non avere mezzi adeguati per andare ad operare nella loro porzione di zona Sar sovrapposta (overlapped) a quella italiana, 50-70 miglia a sud di Lampedusa. Non si può pensare di continuare a delegare alle navi commerciali di passaggio attività di ricerca e soccorso in acque internazionali, attività che costituiscono obblighi precisi per gli Stati costieri e richiedono interventi tempestivi e specializzati.

Come ha denunciato l’Unhcr, l’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, questa inaccettabile perdita di vite umane, e il fatto che le persone abbiano trascorso diversi giorni alla deriva prima di essere soccorse, evidenziano ancora una volta “l’urgente necessità di ripristinare un meccanismo di ricerca e soccorso tempestivo ed efficiente guidato dagli Stati nel Mediterraneo.” Perché gli Stati non si possono sottrarre al coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali e hanno in proposito l’obbligo di coordinarsi tra loro per garantire la massima tempestività degli interventi SAR (di ricerca e salvataggio) al fine di evitare la perdita di vite umane in mare. La sistematica elusione dei doveri di coordinamento tra gli Stati per il soccorso nelle acque del Mediterraneo centrale, e gli accordi di cooperazione conclusi con il governo di Tripoli non solo dall’Italia, ma anche da Malta, hanno comportato la perdita di almeno 1500 vite umane lo scorso anno e oltre 1200 vite umane, tra morti e dispersi, sono il tributo pagato nel corso del 2022 alle politiche di esternalizzazione delle frontiere, praticate dagli Stati costieri e dall’Unione Europea. In diverse occasioni le autorità maltesi non hanno risposto a chiamate di soccorso provenienti da imbarcazioni che si trovavano nella loro area di responsabilità.

Anche quest’anno decine di migliaia di persone sono state bloccate in acque internazionali della sedicente Guardia Costiera Libica, supportata dalle unità aeree di Frontex, agenzia dell’Unione Europea, e riportate in Libia dove sono state esposte ad altri abusi e ad altre estorsioni da parte dei trafficanti e da parte delle milizie che controllano i centri di detenzione in quel paese. Per questa ragione non si può sostenere che una maggiore collaborazione con i libici diminuirebbe il numero delle vittime, perché è incontrollabile il numero delle persone che, dopo essere state intercettate in mare, vengono riportate nei campi di detenzione in Libia dove perdono la vita o subiscono lesioni permanenti che ne compromettono le residue possibilità di vita. L’unica soluzione possibile oggi è l’apertura di canali legali di evacuazione dalla Libia, anche attraverso la concessione di visti di ingresso per motivi umanitari, e la chiusura dei centri di detenzione gestiti dalle milizie. Le morti in mare non sono tragedie, ma crimini, come ha recentemente affermato padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli,

Purtroppo tanto la politica nazionale, al pari dell’opinione pubblica, quanto l’Unione Europea, ormai condizionata da paesi a guida sovranista e nazionalista, si dimostrano indifferenti rispetto a queste stragi di innocenti, stragi annunciate, di persone che fuggono da guerre, persecuzioni e miseria, e che cercano salvezza affidandosi a trafficanti, in mancanza di qualsiasi alternativa legale di attraversamento delle frontiere. Gli Stati europei si propongono piuttosto di intensificare gli accordi con i paesi terzi, come si vorrebbe fare con il governo di Tripoli per instaurare un vero e proprio “blocco navale”. L’Unione Europea continua a finanziare l’ agenzia Frontex, da tempo al centro di documentate denunce per la sua gestione opaca e talora violenta dei respingimenti nei confronti dei migranti che vengono intercettati in mare. Si deve ancora ricordare come siano proprio mezzi aerei di Frontex, dopo il ritiro di tutte le unità navali europee, a collaborare attivamente con la sedicente guardia costiera “libica” per segnalare le imbarcazioni in fuga dalla Libia e facilitare quindi, anche in acque internazionali, le attività di intercettazione e di respingimento “su delega” che le motovedette libiche, in gran parte fornite dall’Italia e oggi sotto controllo della Turchia, svolgono sulle rotte del Mediterraneo centrale.

2. Gli obblighi di ricerca e salvataggio non sono soltanto imposti dal diritto internazionale ma costituiscono anche precisi doveri a carico degli Stati in base alla normativa interna che questi si danno in materia di assistenza delle persone in pericolo in mare.

Ancora nella giornata di domenica 18 settembre “tra Siracusa e Catania c è rimasta in attesa dell’assegnazione di un porto di sbarco la nave Ong Humanity 1, con 398 persone a bordo, migranti stremati, salvati dal naufragio. a bordo della nave l’acqua dolce sta per esaurirsi.” Come comunicato dalla stessa ONG, “le persone soccorse difficilmente riescono a lavarsi, le malattie infettive si diffondono più facilmente. Molti stanno diventando più deboli e soffrono di dolore, mal di testa e insonnia. Anche altre forniture, come il latte in polvere per bambini, stanno finendo.” Si soffre la sete anche dopo il soccorso, quando si impedisce un rapido sbarco dei naufraghi a terra. Anche in questo caso le Convenzioni internazionali, recepite dal nostro ordinamento interno, impongono la immediata assegnazione di un porto sicuro di sbarco (POS).

Per effetto degli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione Italiana tanto il legislatore interno quanto le autorità marittime sono tenute al rigoroso rispetto delle prescrizioni derivanti dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare, come la Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 UNCLOS definita come convenzione di Montego Bay, la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) e la Convenzione ricerca e salvataggio( Sar) di Amburgo del 1979 che è alla base del Piano Sar Nazionale secondo le regole guida del Manuale internazionale IAMSAR.

Nell’ applicazione delle norme cogenti derivanti da queste Convenzioni occorre anche considerare la Convenzione di Ginevra del 1951 a tutela dei rifugiati perché da questa Convenzione si ricava il fondamentale principio di non respingimento (articolo 33) secondo il quale nessuna persona può essere respinta verso un paese nel quale rischia la vita o la integrità fisica. Questa norma, se incrociata con le prescrizioni di diritto internazionale del mare, assume particolare rilievo quando si pensa che nel Mediterraneo centrale la maggior parte delle attività di respingimento, adesso delegate alla sedicente Guardia Costiera Libica e in parte promosse anche dalle autorità di Malta, che hanno stipulato appositi accordi con il governo di Tripoli, sono attività che hanno come target persone in fuga dalla Libia dove hanno subito abusi di ogni genere e dove questi abusi ritroveranno se saranno riportate indietro, magari con la collaborazione delle autorità italiane, maltesi o europee. Ma anche chi fugge dalla Tunisia ha diritto di essere soccorso in mare e non può essere costretto a pagare con la vita il tentativo di sopravvivenza ad una crisi economica devastante che attanaglia quel paese. Gli obblighi di soccorso in mare non vengono meno a seconda delle persone da salvare o degli accordi tra Stati.

3. Quando si parla di violazioni dello Stato di diritto ci si può riferire non soltanto a quelle violazioni che vengono perpetrate a livello interno, come per esempio la soppressione della libertà di informazione, l’abolizione della indipendenza della magistratura o la cancellazione dei diritti civili, come si è verificato in Ungheria paese rispetto al quale L’Unione Europea ha emesso recentemente una severa sentenza di condanna, con il voto contrario di Lega e Fratelli d’Italia. Ci si può riferire anche alla violazione dello Stato di diritto con riferimento alle violazioni sistematiche del diritto internazionale del mare e della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, quando vengono violati obblighi di salvataggio stabiliti per la salvaguardia della vita umana in mare, soprattutto quando l’inadempimento di questi obblighi discende della discrezionalità politica e magari finisce per diventare mezzo di propaganda elettorale E allora che si registra una violazione di quello che si intende stato di diritto, basato sul rispetto delle norme e sulla garanzia del principio di uguaglianza tra tutti gli esseri umani. Questo principio di uguaglianza viene violato, con riferimento al valore primario della vita umana, quando si omette o si ritarda l’invio di imbarcazioni di soccorso se le richieste di aiuto provengano da imbarcazioni cariche di migranti. che si trovano in acque internazionali. Omettendo o ritardando i soccorsi per precise scelte di governo impartite alle autorità marittime viene violato il diritto internazionale, il diritto interno e dunque il principio di uguaglianza e lo stato di diritto. Verso gli Stati che non rispettano gli obblighi di soccorso in mare, e verso la stessa agenzia europea Frontex, si dovrebbero promuovere le medesime azioni portate avanti a livello europeo contro l’Ungheria per violazione dello Stato di diritto. Vedremo se l’Unione Europea, di fronte all’avanzata dei nazionalismi, sarà capace di assumere qualche iniziativa nella direzione del rispetto degli obblighi di salvaguardia della vita umana in mare. I risultati di recenti scadenze elettorali, come in Svezia, non fanno bene sperare, a causa del diritto di veto ancora attribuito ai singoli Stati. Senza un superamento di questa regola decisionale l’Unione Europea si avvia al tracollo, e non solo sul terreno delle politiche migratorie. Ed è anche per questa ragione che suonano come comodi alibi i richiami all’Europa di certi politici italiani, che sollecitano aiuto in materia di respingimenti e accordi con i paesi terzi, ma che pure contestano l’eccessiva invadenza della politica europea sulle scelte nazionali. Come ha dichiarato Amnesty International poche settimane fa, “sui diritti umani non si torna indietro”.


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Fonte: Associazione Diritti e Frontiere – ADIF

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Articolo tratto interamente da 
Associazione Diritti e Frontiere – ADIF


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