sabato 6 marzo 2021

Crisi sanitaria: bisogna liberare i brevetti per curare tutti


Articolo da CRS - Centro per la Riforma dello Stato

È trascorso poco meno di un anno da quando, l’11 marzo del 2020, il Direttore Generale dell’OMS ha dichiarato l’emergenza pandemica globale da Covid-19. Sin dai suoi albori, non poche voci hanno invocato un ‘utilizzo’ della pandemia per mettere finalmente in agenda una riforma sostanziale del capitalismo nella sua forma neoliberale. Mentre tali voci sono rimaste inascoltate, sono andate intensificandosi le tendenze già in atto di un sistema profondamente ineguale e in costante crisi. Nel contributo che segue, proponiamo alcune riflessioni sull’attuale configurazione delle relazioni tra il Nord e il Sud globale, dal punto di vista della sempre più spinosa questione del cosiddetto nazionalismo vaccinale. Di per sé rilevante, la questione dei vaccini è anche un’arena di contesa quanto mai illuminante della ratio che sottende le scelte in atto rispetto alla crisi, delle conseguenze di tali scelte e delle possibili alternative. È doveroso premettere che è di per sé fuorviante considerare i vaccini la panacea di tutti mali. Utile ricordare i molti studi che affermano la centralità dei fattori ambientali e sociali per l’emergere delle malattie. Si richiama qui la necessità di ripensare la struttura produttiva delle società (le pratiche predatorie dell’agrobusiness, per esempio; si guardi l’utile testo diRob Wallace) così come di rafforzare il sistema di prevenzione primario (il che esige un sistema sanitario al servizio delle esigenze della popolazione tutta). Rimane vero, tuttavia, che a oggi i vaccini rivestono un ruolo centrale per il possibile contenimento del contagio da Covid-19 e della perdita di vite umane.

1. Il progresso tecnologico e la ricerca hanno consentito lo sviluppo e la produzione di vaccini in tempi rapidissimi. Nonostante l’approvazione da parte delle autorità competenti e l’inizio della somministrazione lo scorso dicembre, permangono non poche incertezze e lati oscuri.

Le multinazionali del farmaco come Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson & Johnson hanno sviluppato i propri vaccini grazie a ingenti finanziamenti pubblici. Avvalendosi della situazione emergenziale, queste hanno ottenuto dagli Stati non solo le risorse necessarie per lo sviluppo di nuove tecnologie e prodotti – più di 10 miliardi di dollari solo per la ricerca diretta sul vaccino, secondo le stime – ma anche la stipula di contratti secretati basati sulla strategia del derisk (si veda ad esempio il contratto tra AstraZeneca e Ue reso pubblico da Report). Tali contratti sottraggono le BigPharma a quel famoso rischio d’impresa su cui si basa la legittimazione morale del profitto, consentendo loro di scaricarlo sul pubblico sia nel caso di fallimento in fase di sperimentazione, che nel caso di rivalse legali per ipotetici effetti collaterali derivanti dalla somministrazione dei vaccini. La Pfizer è un chiaro esempio di come questa configurazione del rapporto tra il privato e il pubblico consenta al primo di ottenere profitti e guadagni altissimi, da un lato, e socializzare i costi e i rischi d’impresa, dall’altro. Basti pensare che per il 2021 la multinazionale ha previsto ricavi aggiuntivi di circa 15 miliardi di dollari dalla vendita del vaccino prodotto in collaborazione con la tedesca BioNtech. Secondo un’analisi riportata dal Wall Street Journal il 19 febbraio, l’aumento delle quotazioni dei titoli di diverse società farmaceutiche protagoniste della produzione di vaccini ha consentito a 13 manager di guadagnare 364 milioni di dollari in più rispetto all’anno precedente dalla sola vendita delle azioni in loro possesso.

Le multinazionali farmaceutiche operano sul mercato in una condizione di estremo vantaggio grazie alla protezione dei diritti di proprietà intellettuale, in particolare dei brevetti. Il primo accordo commerciale globale che ha regolamentato la tutela della proprietà intellettuale è noto come TRIPs (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights). Frutto delle pressioni dei Paesi a capitalismo avanzato e di potenti lobby economiche, l’accordo è entrato in vigore nel 1995 (data di creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio). Come rilevato da Ha-Joon Chang nel suo i Cattivi Samaritani diversi anni fa, il TRIPs ha introdotto un sistema mondiale di protezione della proprietà intellettuale di ampiezza, durata e rigidità senza precedenti. Secondo lo studioso, la protezione della proprietà intellettuale rappresenta l’esempio più significativo di regole formalmente uguali per tutti ma di fatto (ri-)produttrici di profonde disuguaglianze. Perpetuando il divario strutturale tra Paesi ricchi e poveri in termini di capacità tecnologica e accesso alle conoscenze – divario che affonda le proprie radici in persistenti relazioni di tipo coloniale e neocoloniale – essa crea una situazione di quasi monopolio. Ossia una situazione in cui i primi rappresentano quasi sempre i produttori/‘venditori’ e i secondi quasi sempre i destinatari delle vendite, normalmente a prezzi altissimi. Per citare ancora una volta il caso del Sudafrica, il Paese ha pagato il farmaco (poi considerato solo parzialmente efficace) di AstraZeneca a un prezzo doppio rispetto ai Paesi europei.

I meccanismi di ‘libero’ mercato, mediati dalla protezione dei brevetti, limitano artificialmente le capacità produttive, determinando scarsità di prodotto, aumento dei prezzi e una smisurata concentrazione di potere nelle mani di soggetti privati, cui è rimesso compito di decidere chi e quando potrà essere vaccinato. Al contempo, sin dagli albori della pandemia, le classi dirigenti dei Paesi ricchi hanno intrapreso un’altrettanto smisurata corsa all’accaparramento del farmaco (ossia alla chiusura di contratti unilaterali con le grandi compagnie farmaceutiche) e alla copertura vaccinale dell’intera popolazione nazionale (incluse le fasce meno fragili) in una logica sempre più estrema di nazionalismo vaccinale. Tale logica – che apre la strada a vere e proprie forme di apartheid vaccinale – va ricondotta alla ricerca di consenso e legittimità in un più ampio contesto caratterizzato da una spietata competizione economica che spinge alla ripartenza anticipata delle economie nazionali rispetto a quelle concorrenti.

2. Nell’insieme, le dinamiche descritte sopra impediscono di soddisfare le esigenze di quella che dovrebbe essere una campagna vaccinale globale; di fatto, la più imponente della storia e l’unica in grado di aprire vie di uscita dalla crisi sanitaria e socio-economica in corso in tempi ragionevoli. La comunità scientifica converge ormai nel ritenere che una campagna realmente efficace non possa che includere i Paesi a basso e medio reddito. Ciò in considerazione tanto dell’altissimo grado d’interconnessione e mobilità che segna i nostri tempi, quanto del fatto che la mancata copertura vaccinale del grosso della popolazione mondiale lascia spazio e tempo all’emergere di nuove varianti del virus più contagiose, potenzialmente più letali e resistenti ai farmaci già sperimentati. In questi giorni si discute molto dell’efficacia dei vaccini attualmente disponibili sulle varianti già in circolazione e identificate per la prima volta in Gran Bretagna, Brasile e Sudafrica. Quest’ultimo, ad esempio, ha deciso di non utilizzare il milione di dosi del farmaco acquistato da AstraZeneca perché ritenuto poco efficace. Insieme alle incertezze relative alla durata dell’immunità (da cui la possibilità di dover procedere a richiami vaccinali frequenti), il possibile emergere di nuove varianti rende reale il rischio che la continua esigenza di nuovi vaccini annulli gli sforzi sanitari, economici e sociali già fatti. E porti dunque a ripetute ondate di diffusione globale della malattia, all’aumento dei morti, a nuovi lockdown, a più forti pressioni sui sistemi sanitari, sull’economia e le società. Un importante richiamo a questo proposito è provenuto di recente dal direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus. Questi ha individuato nel nazionalismo vaccinale non soltanto un fallimento morale catastrofico, ma anche una logica inconcludente sul piano epidemiologico, controproducente dal punto di vista clinico e contraria agli interessi della maggioranza della popolazione mondiale.

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Fonte: CRS - Centro per la Riforma dello Stato


Autori: Francesco Pontarelli - Michela Cerimele 

Licenza: Licenza Creative Commons
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Articolo tratto interamente da CRS - Centro per la Riforma dello Stato


2 commenti:

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